Qualcuno penserà che sia una cosa assai difficile, dato tutto quello che abbiamo detto fin qui, e assai costosa; ma io vi affermo e vi dimostrerò in breve che è invece una cosa molto facile, e che può esser fatta dai Re senza la minima spesa e anzi con molto vantaggio dell'erario pubblico. E con che mezzi? Con una parola; ma deve essere parola di Re.
E questa parola deve essere un comando a quei ladri che non sono abituati a restituire, perché restituiscano integralmente tutto quanto hanno rubato.
E affinché i ladri non si rammarichino per aver perso in questo modo il frutto delle loro ruberie, considerino che, anche se essi sono cattivi come il Cattivo Ladro, non solo devono desiderare e accettare questo svolgersi di avvenimenti, ma anzi devono chiedere loro stessi allo stesso Re, che si comporti nel modo in cui si deve comportare.
Credo che nessuna coscienza cristiana potrà non approvare questa teoria. E affinché non rimanga una pura teoria astratta, cioè campata in aria, scendiamo a dare qualche esempio di come essa deve venir messa in pratica.
I ladri di cui ci occupiamo oggi, sono soliti rubare, durante il loro incarico o governo, o cose appartenenti al patrimonio del Re, o cose appartenenti ai patrimoni privati: nell'uno e nell'altro caso l'obbligo di restituzione non riguarda soltanto i funzionari-ladri, ma anche lo stesso Re, sia che egli abbia chiuso un occhio e sia stato consapevole del furto al momento in cui veniva perpetrato, sia (e questo è quanto basta) che ne venga informato quando il furto è già stato commesso. A questo punto è necessario far osservare una notevole differenza (di solito quasi inosservata) fra il patrimonio del Re e i patrimoni privati. I privati, quando viene perpetrato un furto a loro danno, non solo non sono obbligati a restituzioni di alcun genere, ma anzi acquisteranno grande merito se sopporteranno il furto con pazienza, e, nel caso che ci riescano, possono anche condonare al ladro.
I Re, in un caso dello stesso genere, si trovano in condizione assai peggiore: essi infatti sono obbligati a restituire ciò che è stato rubato dal loro patrimonio, e non possono tollerare indifferenti il furto, come non possono condonarlo. La ragione della differenza è data dal fatto che i patrimoni privati appartengono al loro possessore, mentre il patrimonio del Re appartiene allo Stato.
Come il depositario o tutore non può permettere che si alieni il patrimonio che gli è stato affidato, e in caso di furto sarebbe obbligato alla restituzione, così il Re, che è tutore e quasi depositario del patrimonio e dei beni dello Stato, è obbligato alla restituzione, per non dover gravare lo stesso Stato con nuovi tributi imposti al fine di riassestare le finanze diminuite dai furti.
Re e Principi mal serviti, se volete salvare le vostre anime e ricuperare i vostri patrimoni, introducete, senza eccezione di persona, il sistema di restituzione usato da Fra Teodorico.
Si appuri che cosa possedeva ognuno quando entrò al vostro servizio. E tutto quanto c'è di più, ritorni là donde è venuto, e si salvino tutti.
Così dall'India si pescano 500.000 scudi, dall'Angola 200.000, dal Brasile 300.000 e dal povero Maranao più di quello che vale tutto intero. Che si dovrà fare con tutta questa ricchezza? La usi il Re per salvare la sua anima e l'anima di quelli che rubarono.
Parlando dei Governatori che l'Imperatore Massimino mandava nelle diverse province, si diceva, con acuta e ben appropriata similitudine, che erano delle spugne. La furbizia o astuzia con la quale egli usava di questi strumenti, era tutta volta a saziare la sete della sua cupidigia. Infatti essi, proprio come spugne, assorbivano dalle province che governavano tutto quanto potevano. L'Imperatore, a sua volta, quando le spugne tornavano le spremeva e riservava all'accrescimento del patrimonio reale tutto quello che essi avevano rubato. Così castigava loro e arricchiva se stesso. Questo Imperatore faceva dunque una cosa buona e una cattiva, e tralasciava di fare la migliore di tutte. Faceva una cosa cattiva mandando come Governatori nelle province uomini-spugne ; nello spremere le spugne al loro ritorno, confiscando i proventi di furti che portavano con sé, faceva una cosa buona e giusta; però da ingiusto tiranno quale era, tralasciava di fare la migliore delle azioni: infatti tutto quello che riusciva a spremere dalle spugne non doveva prenderlo per sé, ma restituirlo alle province cui era stato rubato.
Questo sono tenuti a fare in coscienza i Re che desiderano salvarsi e che non pensano di soddisfare gli obblighi e i dettami della giustizia, mandando in prigione in un castello coloro che derubarono una città, una provincia, uno Stato.
Che importa dar loro questa parvenza di castigo che dura qualche giorno o qualche mese, se dopo di questo tempo gli stessi ladri possono andare e godere il frutto delle loro ruberie, mentre quelli che hanno patito il danno non ricevono nessuna restituzione?
In questa, che pare giustizia, c'è un gravissimo errore: né il castigato né il castigatore si liberano dalla condanna eterna. Ma affinché l'errore appaia chiaro, affinché non si possa far finta di non capirlo, sarà meglio specificare.
Chi si è impadronito delle cose altrui, è soggetto a due riparazioni: deve sopportare la pena comminata dalla legge e deve restituire ciò che ha rubato.
Per finire torniamo a San Tommaso. Il Santo Dottore pone una domanda: Utrum sufficiat restituere simpliciter, quod injuste ablatum est. Perché la restituzione sia completa e ben fatta, basta restituire ciò che si è preso? E dopo essersi risposto che basta, essendo la restituzione un atto di giustizia e consistendo la giustizia in uguaglianza, argomenta contro questa sua risposta con la legge del capitolo XXII dell'Esodo, in cui Dio ordina a chi rubò un bue, di restituirne cinque. Allora, che si è rubato? E se basta restituire solo tanto quanto, come noi avevamo prima risposto, come si deve intendere questa legge? Si deve intendere - è sempre il Santo che risponde - distinguendo in essa due parti; la legge naturale, che obbliga alla restituzione, e la legge positiva che obbliga alla punizione del furto. La legge naturale vuole l'uguaglianza del danno, e perciò comanda che si restituisca tanto per tanto; la legge positiva invece vuole il castigo del delitto di furto, e contempla una pena quattro volte superiore al furto, ordinando di restituire cinque invece di uno. Si deve tuttavia notare - aggiunge il Santo Dottore - che fra la restituzione e la pena c'è una grande differenza: infatti il colpevole non è obbligato a scontare la pena prima della sentenza; è invece sempre obbligato a restituire ciò che ha rubato, anche se non lo sentenzieranno, e non lo obbligheranno a farlo.
Da queste parole risulta chiaro anche l'errore enorme di quella parvenza di giustizia che qualche volta viene posta in atto. Si pone agli arresti, chi si è macchiato del delitto di furto e poi, finita la pena, lo si libera.
Ma che cosa si conclude con questo? Chi è stato in prigione, una volta scontata la pena, se ne va allegro e contento; il Re pensa di aver soddisfatto l'obbligo di fare giustizia, e invece né uno né l'altro non ha scontato niente, e tutti due sono obbligati alla restituzione del furto, sotto pena di non salvare le loro anime; il reo perché non ha fatto la restituzione, il Re perché non lo ha fatto restituire. Tolga dunque il Re in modo esecutivo il patrimonio a quelli che hanno rubato, e faccia lui stesso la restituzione, dato che i ladri non la fanno mai, e con questo sistema (non ce n'è e non ce ne può essere un altro diverso) invece di essere i ladri a portare con sé i Re all'inferno, come sta avvenendo, saranno i Re a condurre in paradiso i ladri, come fece Cristo: Hodie mecum eris in paradiso.