Preparazione alla confessione
Discorso tenuto nella Cappella Reale di Lisbona, la III Domenica di Quaresima del 1655.
Cum eiecisset daemonium, locutus est mutus: et admiratae sunt turbae. (Luc. 11, 14)
Ed è proprio questa anticaglia che io decido oggi di dissotterrare; è di questo vecchiume che voglio parlare, e mi dispiace soltanto che ciò possa costituire (contrariamente al mio desiderio) una novità.
Il peggior stato di questa, vita e il più infelice di tutti è lo stato di peccato. Ma se può essercene ancora uno che oltrepassi questo estremo male, è lo stato di peccatore muto.
Cristo volle lasciarci un terribile esempio della peggiore infelicità cui può giungere un uomo, e lo fece in quella parabola delle nozze, narrandoci di quell'uomo che per ordine del Re fu gettato, mani e piedi legati, a scontare una pena eterna nel carcere delle tenebre. Quel Re era Dio, quel carcere era l'inferno, e quell'uomo era il più sventurato di tutti gli uomini, perché in quel luogo e in quel giorno in cui tutti si salvarono lui solo si dannò. E in che cosa consisté la sua disgrazia? Solo nel suo peccato? No, perché molti che avevano peccato si salvarono. E allora in che cosa? Nell'ammutolire dopo aver peccato. Il Re s'indignò con lui per l'affronto fattogli sedendosi alla sua tavola, in tal giorno, con un vestito non adatto; ed egli, anziché sollecitare il perdono per la sua colpa riconoscendola, sanzionò la sua condanna tacendo: At ille obmutuit (Nota 1): Ed egli - dice l'Evangelista - ammutolì. In questo consisté il culmine della sua disgrazia. Più disgraziato nell'ammutolire che nel peccare, perché pur avendo peccato poteva contare ancora sul rimedio offerto dalla confessione; ma non facendo la sua confessione, non gli restava per il peccato altro rimedio.
E che fece Cristo in questo caso? Erat ejiciens daemonium (Nota 2). L'Evangelista non dice che Cristo scacciò il demonio, sebbene Cristo stesse scacciando il demonio.
Cristo trovava resistenza, perché nessuna cosa può opporre resistenza a Dio in questo mondo, ma un peccatore muto sì. Dio dava tante voci alle sue orecchie, e che faceva il peccatore muto? Tanti raggi e tante luci ai suoi occhi, e che faceva il peccatore muto? Tante ragioni al suo intelletto, tante occasioni alla sua volontà, tanti esempi e così tragici e così frequenti alla memoria, e che faceva il peccatore muto?
Dice che prima se ne andò il demonio, e poi il muto parlò: cum ejecisset daemonium, locutus est mutus. E in questa circostanza sembrano incontrarsi l'ordine del miracolo con l'essenza del mistero. Nella confessione, prima parla il muto, e poi il demonio esce; prima il peccatore si confessa, e poi si rimettono i peccati. Allora (se in questo miracolo si vuol rappresentare il mistero della confessione) prima avrebbe dovuto parlare il muto, e poi il demonio sarebbe uscito. Invece no, e proprio per la ragione che questo miracolo rappresenta il mistero della confessione, ma della confessione perfetta; e la confessione perfetta non è quella in cui prima si confessa il peccato e poi si perdona, bensì quella in cui prima si perdona e poi si confessa.
Il Figliol Prodigo decise di tornare a casa disuo padre e confessare la sua colpa, e da buon penitente decise e pose come primo passo la sua confessione: Ibo ad patrem meum et dicam ei: Pater, peccavi in coelum et coram te (Nota 3). Presa questa prima decisione si pose in cammino; ed essendo ancora molto lontano, cum adhuc longe esset, ecco che improvvisamente si trova fra le braccia del padre, che lo stringe strettamente, avvicinandosi al suo volto con infinito affetto: Accurrens cecidit super collum ejus, et osculatus est eum. Dopo questo il Prodigo si prostrò ai piedi del padre e fece la sua confessione, come l'aveva pensata: Et dixit ei filius: Pater peccavi in coelum et coram te. Ma che succede. Figliol Prodigo? Non era stato disposto così. Ecco, la rappresentazione non corrisponde alle prove, la scena ne viene alterata. Il padre si è fatto avanti troppo presto, il figlio ha parlato troppo tardi, i personaggi hanno perso le battute, confuso la storia, sbagliato il mistero.

Se non esistessero al mondo altri tipi di confessione diversi da quelli che ho illustrato, oggi non mi rimarrebbe che seguire (come ho detto) le orme dei nostri predicatori che mi hanno preceduto, ed esortare alla frequenza di questo Sacramento, alla confessione e al pentimento dei peccati.
Ma, se non m'inganno, esiste ancora un altro tipo di confessione, e molto in voga fra le persone della corte. Deve essere qualcosa come i vestiti, confessione all'ultimo grido della moda.
Abbiamo detto che c'è una confessione nella quale prima esce il demonio e poi parla il muto, e una confessione in cui prima parla il muto e poi esce il demonio. Ma c'è un altro tipo di confessione. E qual è? Quella in cui il muto parla, ma il demonio non esce. Il muto parla, ma il demonio resta.
Il nome Giuda significa: Confessio, confessione. E come fra gli Apostoli di Cristo ci fu un Giuda traditore e un Giuda Santo, così oggi nella Chiesa di Cristo ci sono confessioni sante e confessioni false. Giuda il traditore non tradì tacendo; anzi la bocca e la lingua furono gli strumenti principali del suo tradimento: 'Ave, Rabbi!' (Nota 4), e lo baciò.
Molte delle confessioni odierne appartengono a quest'ultimo tipo descritto; e per questo da molto temo più le confessioni che i peccati stessi. È dogmaticamente certo che ogni vera confessione apporta la grazia nell'anima; mai come oggi ci furono tante confessioni e così frequenti; nonostante ciò vediamo così pochi effetti della grazia. E come mai tante confessioni e così poca grazia? Io non so quale sia la causa, ma penso che l'unica possibile è che queste confessioni sono di quelle in cui i muti parlano, ma i demoni rimangono dentro di loro. La confessione ben fatta è un Sacramento. La confessione mal fatta è un sacrilegio. La confessione ben fatta spazza via dall'anima tutti i peccati. La confessione mal fatta aggiunge agli altri ancora un peccato. La confessione ben fatta caccia fuori il demonio. La confessione mal fatta lo ficca ancora più dentro. E se giorno per giorno vi vediamo sempre più penetrati e posseduti dal demonio, come possiamo credere nelle vostre confessioni?
Ma siccome questa materia appartiene ai più reconditi nascondigli dell'anima, e potrebbe sembrare un temerario chi volesse giudicarla dal di fuori, dirò prima di tutto qual è il mio atteggiamento riguardo a tutto ciò che andrò dicendo. Il miracolo del diavolo muto che abbiamo esaminato, produsse differenti reazioni negli animi dei presenti. Ci fu chi approvò, chi condannò, chi ne stupì. Una donna devota lodò: Beatus venter qui te portavit (Nota 5). Gli scribi ed i farisei condannarono: In Belzebub, principe daemoniorum, eicit daemonia' La gente del popolo stupì: Et admiratae sunt turbae. Io mi porrò tra questi ultimi. Non sarò di quelli che lodano, né di quelli che condannano; sarò soltanto di quelli che si stupiscono. Le vostre confessioni viste da un certo angolo sono lodevoli, da un certo altro biasimevoli; io né le loderò né le biasimerò; soltanto mi meraviglierò di loro. E voi ascolterete proprio queste mie meraviglie. Non sarà un discorso meraviglioso, ma sarà un discorso meravigliato: Et admiratae sunt turbae.
Esame di coscienza dell'uomo politico
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