La seconda qualità superlativamente buona che ebbe questo Consiglio, fu il modo di formulare la proposta: Quid facimus, quia hic homo multa signa facit? Non so se avete prestato attenzione a quello che dicono e a quello che non dicono.
Non dicono: che dobbiamo fare? bensì Che facciamo?. Grande Consiglio, e grandi consiglieri: consiglieri del Che dobbiamo fare? non sono consiglieri. I consiglieri devono essere gli uomini del che facciamo?
E osservate quanto saviamente analizzarono la questione e la controbilanciarono. Essi erano nemici di Cristo, e naturalmente giudicarono Cristo come loro nemico e dissero: Quid facimus, quia hic homo multa signa facit? Notate il facit'e il quid facimus. Ma come? Il nostro nemico fa e noi non facciamo? Il nostro nemico fa e noi dobbiamo fare? Il nostro nemico fa miracoli e noi non facciamo ciò che può essere fatto senza miracoli? Opera lui, operiamo anche noi!
La ragione, per cui sì perde tanta parte di quella Monarchia d'Asia, così gloriosa e guadagnata con sangue tanto illustre, quale fu? Fu che il nemico faceva e noi dovevamo fare. E non importa andare così lontano.
Fintanto che il Portogallo ebbe uomini del 'dobbiamo fare' (e purtroppo sempre li ha avuti), noi non avevamo libertà, né regno, né corona. Appena si ebbero uomini del Che facciamo, subito si ottenne tutto.
Osservate l'espressione del Vangelo: Jesus autem cum cognovisset, quia venturi erant, ut raperent eum, et facerent eum regem, fugit (Nota 6)): Vedendo il Signore che quegli uomini dovevano venire per prenderlo e farlo Re, fuggì. Si trattava di persone che dovevano venire, dovevano prenderlo, dovevano farlo Re. Ecco perché Cristo non volle essere acclamato da quegli uomini
Accettò il titolo dagli uomini che lo fecero, e non da quelli che lo dovevano fare; perché gli uomini del 'dobbiamo fare' non sono uomini, e tanto meno uomini che possan fare un Re e mantenerlo.
Per cui penso che se quelli fossero stati uomini del Quid facimus, certamente Cristo non sarebbe fuggito da loro.
Il primo Consiglio, che si riunì nel mondo, fu quello della torre di Babele. Un'assemblea, composta da tutti gli uomini allora esistenti, decise, per eternare la memoria dei loro nomi, di costruire una torre, i cui estremi pinnacoli toccassero le stelle: Cujus culmen pertingat ad caelum (Nota 7).
La meraviglia che produsse in cielo questa decisione fu indescrivibile. Dio fece suonare l'adunata, e, circondato immediatamente da tutti gli eserciti degli Angeli, tenne loro questo discorso: Coeperunt hoc lacere, nec desistent a cogitationibus suis, donec eas opere compleant (Nota 8): questi uomini riuniti in Consigli hanno deciso di fare una torre che giunga fino al cielo, e non desisteranno dal loro intento prima di aver compiuto la loro opera: Descendamus igitur et confundamus linguas eorum. Bisogna discendere subito sulla terra a confondere i loro linguaggi, affinché non possano proseguire nel loro intento.
Nel loro intento. Signore! Ma che importanza o che peso possono avere gli intenti degli uomini contro il Cielo? Ma se il cielo e gli Angeli, e più ancora Dio, sono così al sicuro, così al di sopra di ogni potenza umana? Se tutte le macchinazioni dell'ingegno degli uomini e delle loro mani contro il cielo sono da considerarsi vaneggiamenti più che propositi, perché si preoccupa il cielo? Di che temono gli Angeli? Da che cosa si protegge Dio con tanta cura, con tanta preoccupazione, con tanta ostentazione?
E c'è di più. Se la costruzione immensa di quella progettata torre era non solo temeraria, ma assolutamente impossibile (non fosse altro per la distanza infinita che corre fra la terra e il cielo), come mai Dio poté continuare ad affermare che gli uomini non avrebbero desistito dall'impresa, finché non l'avessero portata a termine? Ve lo dirò io il perché; e lo stesso Testo scritturale lo dice.
Quegli uomini non si consigliarono che su due punti, per tutto quello che iniziarono e decisero: si consigliarono sui mezzi e sul fine. Nel primo consulto decisero: Venite, faciamus lateres: suvvia facciamo mattoni. Nel secondo: Venite, faciamus turrim: Suvvia facciamo la torre. Uomini che nelle loro assemblee non dicono faremo né dobbiamo fare, ma facciamo (Faciamus lateres, faciamus turrim), uomini così, anche se si mettono nelle più impossibili imprese, le portano a termine. Uomini che si radunano operando, uomini che hanno decisioni di pietra e di calce, uomini che, quando devono tirar fuori una discussione, tirano fuori muraglie! Di fronte a uomini simili, stia in guardia il mondo, stia in guardia il cielo, stiano in guardia gli Angeli e (se è lecito dire una cosa simile) stia in guardia lo stesso Dio!
Dello stesso tipo e della stessa potenza fu il Concilio riunitesi contro Gesù, del quale abbiamo parlato all'inizio di questa lezione. Ed ebbe effetti della stessa potenza. Appena Cristo vide che cosa era stato discusso e deciso in quella adunanza, che fece? L'Evangelista dice che il Signore si ritirò subito da Gerusalemme, e nascostamente fuggì ad Efrem e si nascose nel deserto: Jesus ergo jam non palam ambulabat apud judaeos, sed abiit in regionem juxta desertum in civitatem, quae dicitur Ephrem (Nota 9). Ma come. Cristo si ritira? Si nasconde? Sparisce? Sì. Perché uomini, che nei loro Concili e nelle loro Assemblee non dicono Che dobbiamo fare? ma piuttosto Che facciamo? preoccupano anche Dio, incutono timore, e si direbbe quasi che Lui stesso non si senta sicuro di fronte a tali uomini e a tali Consigli: Non palam ambulabat, abiit in regionem iuxta desertum.