Supposto l'obbligo di confessare tutti i peccati, ci si deve dunque confessare anche di queste confessioni. È una grave disgrazia non risanarsi con le medicine che si prendono a questo fine; ma è assai peggior disgrazia l’ammalarsi più gravemente proprio a causa delle medicine. E quando ci si ammala per causa delle medicine, quale medicina può apportare il rimedio? Non resta che curare l'uomo dalle medicine, come si cura dalle malattie. Questo è il nostro caso. La medicina del peccato è la confessione; ma se le mie confessioni invece di mondarmi dal peccato, per mia disgrazia, l'aumentano in me, non c'è altro rimedio che raddoppiare le medicine e confessarsi delle confessioni mal fatte, così come ci si confessa dei peccati. Tertulliano, parlando di coloro che tornavano a fare i peccati già fatti, diceva che facevano penitenza della penitenza e che si pentivano di essersi pentiti. Se i cattivi si pentono di essersi pentiti, perché coloro che devono e vogliono essere buoni non dovrebbero confessarsi delle confessioni mal fatte? Qualcuno lo dovrà fare per essere veramente sicuro, parecchi altri per liberarsi dal dubbio e dalle angustie della coscienza.
E affinché questa confessione delle confessioni risulti tale da non esser più necessario ripeterla, dobbiamo seguire in tutto e per tutto l'esempio dateci da Cristo nella parabola che abbiamo esaminato e che parla dell'espulsione del diavolo muto. Prima di tutto: Erat ejiciens (Nota 48). Cristo compiva tutti gli altri miracoli in un solo istante: questo di cacciare il demonio non lo compì in un solo istante e non ebbe fretta, ma agì lentamente e usò un certo tempo. Prima di tutto è necessario che colui che deve confessare le sue confessioni prenda tempo sufficiente, tempo libero e privato di tutte le altre preoccupazioni, perché questa deve essere ed è la più grave di tutte.
Cum accepero tempus, ego justitias judicabo (Nota 49). Se Dio dice che deve prendere tempo per esaminare e giudicare le coscienze di coloro che governano, come potranno proprio quelli che governano giudicare le loro coscienze e esaminare i loro esami, se non prenderanno tempo a questo fine? Qualcuno obietterà che non ha il tempo necessario per fare questo. Ma ha tempo per una partitina? Ha tempo per una passeggiatina alla villa in campagna? Ha tempo per una conversazioncina? Ha tempo, e tante volte, per divertimenti di così poca importanza; solo per la confessioni non ha tempo! Se non ha altro tempo disponibile, lo prenda dal suo orario di ufficio, da quello che occupa in tribunale o nelle riunioni. Il tempo che si occupa per fare meglio il proprio dovere, non è tempo rubato al proprio lavoro.
Nel passo evangelico chi operò il miracolo fu Cristo: Erat Jesus ejiciens daemonium (Nota 50). Il confessore occupa dunque il posto di Cristo; e chi deve prendere il posto del Dio-Uomo deve essere veramente un uomo ed avere in sé molto di Dio. Non confundaris confiteri peccata, et ne subjicias te omni homini pro peccato (Nota 51): Non vi vergognate di confessare i vostri peccati (dice lo Spirito Santo), ma badate a non sottoporvi a un qualsiasi uomo per confessarli. Se avete tanta cura di non affidare la salute del vostro corpo (che pure in fondo è mortale, e quindi un giorno o l'altro deve pur finire) al primo venuto, perché dovreste affidare a un confessore qualsiasi la salute della vostra anima, dalla quale dipende la sua eternità? È chiaro che non deve essere un ignorante, questo confessore; ma non basta che sia dotto: deve essere dotto e timorato. Deve essere un confessore che sappia guidare la vostra anima, e che tema di perdere la sua. Giuda confessò il suo peccato ai principi dei sacerdoti: Peccavi tradens sanguinem Justum (Nota 52). E che risposero essi? Quid ad nos? Tu videris: E ce lo vieni a dire a noi? Arrangiati. Vedete che razza di sacerdoti, che non si preoccupavano né della loro coscienza né di quella di colui che era andato da loro per confessarsi!
Voi dovete scegliere un confessore che si preoccupi della vostra coscienza tanto quanto della sua propria. Non basta che sia dotto e timorato. Deve essere dotto, timorato e forte. È così grande la debolezza umana, che perfino nel tribunale di Cristo si guarda alle persone importanti come a persone importanti, e ci si comporta con essi con rispetto umano quando addirittura non si adulano.
Una volta Filippo II andava a caccia, e, per un malessere improvviso, fu necessario sottoporlo immediatamente ad un salasso. Fu chiamato il salassatore del villaggio vicino, perché non era possibile chiamarne un altro.
Il Re quando lo vide gli chiese: sai chi stai per salassare? Ed egli rispose: Sì, un uomo. Quel grande Re concesse la sua stima a quest'uomo che veramente la meritava, e in avvenire si servì di lui.
Inginocchiato davanti a uno di questi uomini, al cospetto di Dio, parli il muto con tanta verità, con assoluta integrità e con umile franchezza di ciò che ha confessato e di ciò che non ha confessato, dell'adempimento soddisfatto o non soddisfatto dei suoi obblighi, in modo che una volta per sempre il demonio venga cacciato fuori. E questo avvenga con tanto orrore e ribrezzo dei peccati passati, con tanta ferma risoluzione di ripararli tutti, e con tanto sincero e intimo dolore per aver arrecato offesa a un Dio infinitamente degno di essere amato sopra ogni cosa al mondo, che il demonio non solo se ne vada per sempre e per non tornare mai più, ma sia stato già cacciato lontano dall'anima ancor prima che il muto cominci a parlare: Et cum ejecisset daemonium, locutus est mutus.