Io veramente non riesco a capire come i Principi non si preoccupino di riflettere su cose di tanta importanza, o come non facciano riflettere su ciò coloro che nel tribunale terreno o in quello dell'anima hanno l'incarico di assistere le loro coscienze. Vedano gli uni e gli altri come Cristo insegnò a tutti che
un ladro che ruba in grazia del posto che occupa non deve essere neppure per un momento di più mantenuto in quel posto né appoggiato dalla acquiescenza degli altri.
Malgrado quanto ho già detto, io ho ancora qualche scusa che porterò in favore di questi ladri davanti al signore e davanti all'Autore di questa Parabola, che è Cristo. Ammettiamo che né l'entità del furto, né la qualità della persona sembrino meritare per sempre la privazione dell'incarico.
Quest'uomo, signore, quantunque sia caduto in questo errore, è un uomo di grande talento, di grande sagacia, di grande intelligenza e prudenza, come voi stesso avete ammesso. Anzi voi avete lodato in lui queste qualità, il che è ancora meglio: Laudavit Dominus villicum iniquitatis, quia prudenter fecisset (Nota 22). Se dunque egli è uomo di tanta utilità e capacità e talento che può ancora esservi utile, perché privarlo per sempre del suo incarico? Jam enim non poteris villicare. Sospendetelo dalle sue mansioni per qualche mese, come si usa fare, e poi riammettetelo al suo posto, cosicché voi non lo perderete ed egli non si perderà.
No, risponde Cristo. Una volta che è conosciuto per ladro, non solo deve esser sospeso e privato del suo incarico ad tempus, ma per sempre e per non ritornare mai più e per non potervi tornare mai più: Jam enim non poteris. Infatti l'uso e l'abuso di questi ripristinamenti in carica, anche se possono sembrare pietà, sono assoluta ingiustizia. In questi casi, invece che essere il ladro a restituire ciò che ha rubato durante il suo incarico, si restituisce l'incarico al ladro, perché possa rubare ancora!
No, non sono queste le restituzioni per le quali vengono rimessi i peccati; sono quelle che fanno condannare i riammessi e insieme con loro, anche quelli che hanno ordinato le loro riammissioni. Si lasci pur perdere un uomo già perduto, e non si perdano i molti che possono perdersi.
Visto dunque che la prima delle mie scuse non ha fatto presa, passiamo ad altro. I furti di quest'uomo furono così da poco, il loro numero fu così irrilevante che il Testo non li chiama furti veri e propri, ma quasi-furti: Quasi dissipasset bona ipsius (Nota 23).
Ma dunque, o Signore, in un'epoca in cui si vedono tollerati negli alti incarichi tanti ladri e in cui, quel che è peggio, si vedono anche premiati i ladri più ladri di tutti, sarà giusto che venga privato per sempre del suo incarico un povero uomo che arriva appena ad essere un quasi-ladro?
Ora ho veramente inteso l'enfasi con cui la Pastorella dei Cantici disse: Tulerunt pallium meum mihi (Nota 24): Rubarono a me il mio mantello. Infatti si può derubare un uomo della sua veste, togliendola non a lui stesso, ma a qualcun altro. In questo senso agì l'astuzia del ladro della parabola, che rubò il denaro al suo padrone, non togliendolo a lui direttamente, ma diminuendo i suoi crediti così che chi prima era un ladro solo, si trasformò poi in molti ladri, non contentandosi di rubare lui solo, ma trasformando anche i debitori in ladri. Se ne vada dunque questo Tizio all'inferno, e tutti gli altri vadano assieme con lui. Ma i Principi imitino il padrone della parabola, che evitò di andar all'inferno, perché con tanta tempestiva decisione depose dall'incarico quel colpevole.
Oh, come l'inferno è pieno di anime che con queste e altre interpretazioni, fatte per adulare i grandi e i potenti, non si fanno scrupolo di preparare la loro dannazione! Ma affinché non credano agli adulatori, stiano a sentire che cosa dice Dio, e credano a lui.
Dio rivelò a Giosuè che era stato commesso un furto fra le spoglie di Gerico espugnata, dopo averglielo ben fatto capire con l'insuccesso del suo esercito; e gli comandò che, scoperto il ladro, lo facesse ardere vivo. Si fece accurata inchiesta e si trovò che un certo Achan aveva rubato una bella zimarra scarlatta, un piccolo lingotto d'oro e alcune monete d'argento. Ma chi era questo Achan? Era forse un uomo di bassa condizione, era forse un soldatino che faceva il militare per caso, un piccolo bastardo, figlio di nessuno? No, signori. Nelle sue vene scorreva nientemeno che il sangue reale della famiglia di Giuda, e, per discendenza di linea maschile, era il suo quarto nipote. Una persona di così alto lignaggio, al quale appartenevano i soli nobili d'Israele, doveva morire bruciato, condannato come ladro? E per un furto che al giorno d'oggi sarebbe veniale, deve rimanere per sempre infamato un nome così illustre? Voi mi direte che era meglio chiudere un occhio: ma Dio, che vede meglio di voi, pensò il contrario. In materia di furti non si fa eccezione di personalità dei ladri, e chi giunse a macchiarsi di siffatte bassezze, perdette in quello stesso istante tutti i diritti di nobiltà.
La legge fu eseguita fino in fondo; Achan fu giustiziato e bruciato; il popolo ricevette un ottimo insegnamento da quel castigo, come osservano autori degni di fede, perché Dio mutò in quel fuoco temporale il fuoco che egli avrebbe dovuto patire all'inferno. Coloro che chiudono un occhio, impediscono ai ladri di godere questo privilegio.
Se osserviamo il delitto compiuto da Adamo, ritroveremo in esso il concorso di queste due circostanze. Dio gli aveva ordinato di non mangiare i frutti dell'albero proibito, sotto pena di morire lo stesso giorno: In quo cumque die comederis, morte morieris (Nota 25). Adamo non ubbidì all'ordine, rubò il frutto, e, ipso facto, fu soggetto alla morte. Ma come si comportò Dio in questa occasione? Lo mandò immediatamente via dal paradiso terrestre, ma gli concesse una vita che durò molti anni. Ma se Dio lo mandò via dal paradiso a causa del furto che aveva commesso, perché non eseguì su lui anche la pena di morte, provvedimento che egli stesso si era meritato disubbidendo? Perché dalla vita di Adamo dipendeva la conservazione e propagazione del genere umano nel mondo; e quando le persone sono così importanti e tanto necessarie al pubblico bene, è giusto che - anche se meritano la morte - venga loro concessa la vita. Ma se oltre a meritare la morte sono anche ladri, non si può in nessun modo permettere loro di rimanere al posto che occupavano e di continuare a essere ladri.
Così fece Dio e così ce l'ha lasciato detto nel Testo. Pose un Cherubino con la spada di fuoco all'entrata del paradiso con l'ordine di non lasciarvi tornare Adamo a nessun costo. E perché? Perché come aveva rubato il frutto dell'albero della scienza, non rubasse anche quello dell'albero della vita: Ne forte mittat manum suam, et sumat etiam de ligno vitae (Nota 26).
La legge presume che chi è stato colpevole una volta, lo sarà altre volte, lo sarà sempre.
Esca dunque Adamo, se ne vada dal luogo dove ha rubato, e non ci ponga piede mai più, per non avere più occasione di compiere altri furti, come ha commesso il primo. Si noti bene che Adamo, dopo esser stato cacciato dal paradiso, visse novecento e trenta anni. E allora non basterà allontanare dal suo incarico per cento, duecento, o trecento anni un uomo pentito perché esso sconti il suo castigo? No. Anche se vivesse novecento anni, anche se vivesse novemila anni, una volta che ha rubato ed è stato riconosciuto per ladro,
non deve più esser rimesso al suo posto e non gli si deve dare più l'incarico avuto prima.