Il Re, che valutasse il peccato, sia pure veniale, come un male minore della rovina del mondo, non è un Recristiano: Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? (Nota 23): che cosa mai varrà a qualsiasi uomo essere signore del mondo, se perde la sua anima? Si perda il mondo, ma non si corra il rischio di perdere l'anima; si perda la corona e lo scettro, ma non si metta in pericolo il regno celeste. Ma il Re che per non porre in pericolo il regno celeste non si sottoporrà a compromessi per mantenere il regno terreno, sicuramente, per merito di questa decisione, di questo valore, di questa verità, di questo bene inteso spirito cristiano, assieme al regno celeste conserverà a sé il regno terreno: perché Dio, che è il Supremo Signore del cielo e della terra, rafforzerà il suo regno terreno con la forza della Sua grazia; e nella vita futura lo eternerà nel regno celeste, con la eternità della gloria. Quaerite primum regnum Dei, et haec omnia adijcientur vobis: cercate anzitutto il regno di Dio e tutto il resto vi verrà dato in sovrappiù.
Conclusione
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