
Le tre dita che reggono la penna possono appartenere a una mano troppo grande: per questa ragione devono limitarsi a non essere altro che dita. Queste dita devono essere scisse dalla mano, dal braccio, dalle orecchie, dalla bocca, dagli occhi, dal cuore, insomma dall'uomo: Quasi manus hominis.Non ci deve essere mano che possa dare, né braccio che possa approfittarsi del potere, né orecchie che possano ascoltare le adulazioni, né occhi che possano essere intimiditi dal riguardo, né bocca che possa fare delle promesse, né cuore che possa essere influenzato dai sentimenti, insomma non ci deve essere un uomo, perché non ci deve essere né carne né sangue. La ragione sta nel fatto che se queste dita non sono perfettamente ferme, un qualsiasi scarabocchio della penna può portare danni irreparabili.
Con un solo tratto di penna possono darvi di che vivere e con un altro possono togliervi tutto quello con cui vivete. Vedete dunque se non è necessario che abbiano delle coscienze delicatissime queste zingare egiziache, poiché tanto dipende da loro la buona sorte degli uomini, non per i segni delle vostre mani, ma per i segni fatti dalle loro! Si dormiatis inter medios cleros (hoc estinter medias sortes) pennae columbae deargentatae (Nota 28).
Non si sa ancora l'esatta interpretazione di questo testo; ma preso così, secondo il suo significato ovvio, è una cosa veramente tremenda che la sorte di qualcuno dipenda dalle penne di qualche altro! E molto più tremenda cosa è che queste penne si possono argentare o dorare a seconda del riflesso: Pennae columbae deargentatae, et posteriora dorsi ejus in pallore auri.
Queste sono le penne che scrivono i destini degli uomini, queste danno sorte o la tolgono, e talvolta danno la buona ai cattivi e la cattiva ai buoni. Quanti delitti si abbelliscono con un ghirigoro di penna? Quanti meriti si cancellano con uno sgorbio? Quante fame si oscurano con una macchia d'inchiostro? Vedano, dunque, coloro che scrivono, di quanti danni essi possono esser causa se la mano non è del tutto ferma, se la penna non è del tutto perfetta, se l'inchiostro non è limpido, se la riga non è perfettamente diritta, se la carta non è assolutamente pulita!
Io non riesco a capire come possa non tremare la mano a tutti i Ministri della penna, e specialmente a coloro che inginocchiati ai piedi del Re ne ricevono gli oracoli, li interpretano e li diramano. Sono essi che con un semplice avverbio possono limitare o ingrandire le fortune, essi che con un numero possono far avanzare diritti o ritardare precedenze; essi che con il peso di una loro parola possono far pendere da una parte o dall'altra la bilancia della giustizia, essi che con una clausola equivoca, o per lo meno non chiara, possono lasciare oscuro e non risolto ciò che al contrario dovrebbe essere sicuro e ben chiaro, definito; essi che, mettendo o non mettendo un pezzetto di carta, possono giungere a introdurre chi desiderano sviare o escludere chi non desiderano; essi infine che danno l'ultima forma alle decisioni sovrane, dalle quali dipende l'essere o il non essere di tutto.


Se voi chiedeste ai filologi da dove deriva questa parola calamità, Calamitas? vi risponderanno Da calamo. E che cosa significa calamo? Significa canna o penna, perché anticamente le penne si facevano con certe canne sottili. E neanche a farlo apposta, Plinio dice che le migliori erano quelle della nostra terra, della Lusitania. E questa derivazione viene dimostrata più giusta dalla politica che dalla grammatica. Se le penne di cui si serve il Re non sono sane, da esse deriveranno tutte le pubbliche calamità, il veleno, il cancro della monarchia, anziché la salvezza: Sanitas in pennis ejus.
Il Re di cui parla nel brano accennato Malachia, è il Re dei Re, è Cristo. E le penne attraverso le quali egli dette salvezza al mondo, tutti sappiamo che furono quelle dei quattro Evangelisti, assistite dallo Spirito Santo. Avvertano dunque gli Evangelisti dei Re, la verità, la purezza, la integrità che le loro penne devono prendere ad esempio; e come debbano esse muoversi non per il loro tornaconto, ma per l'ispirazione suprema. Se le loro scritture le poniamo sul capo come Scritture Sacre, sia ognuna di esse un Vangelo umano.

Supposto dunque che ciò non solo è possibile, ma è già avvenuto, sarà bene che si sappia quanto basta per falsificare una Scrittura. Basterà cambiare un nome o un numero? Io dico che basta molto meno. Non è necessario per falsificare una scrittura cambiare nomi, parole, cifre, e neppure lettere: basta cambiare un punto o una virgola.
Le parole sono importanti perché formano e fissano un pensiero; i punti e le virgole perché formano e fissano il significato. Vi faccio un esempio Surrexit: non est hic (Nota 31): Risorse: non è qui. Con queste parole l'Evangelista ci dice che Cristo risorse: e con le stesse parole, solo cambiando la punteggiatura, un eretico ci può dire che Cristo non risuscitò: Surrexit? Non; est hic. Risorse? No; egli è qui.
Se il solo cambiamento di un punto o di una virgola può provocare tanti errori e tanti danni, che cosa avverrebbe mai se si giungesse a cambiare, togliere o aggiungere parole, se si tacessero delle righe, se si saltassero dei capitoli, se si seppellissero carte e informazioni, o se invece di presentarle a chi potrebbe far del bene si presentassero a coloro che prenderanno occasione per praticare vendette?
Tutto questo male può essere contenuto in una penna. E io non capisco come non possa essere contenuto in una confessione. È certo infatti che coloro che compiono queste azioni si confessano, e molte volte. E non manca chi assolve queste confessioni o chi vuole dannarsi per dare queste assoluzioni.
Ma io non assolvo i confessati e non condanno i confessori; perché io mi stupisco insieme con le turbe: Et admiratae sunt turbae.