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Parte II
Reazione in S. Giovanni Rotondo e in S. Marco in Lamis

Aspirina n. 7
Aspirina n. 7
In questa seconda parte registrati vengono i fatti tremendi ed atroci consumati nel vicino comune di S. Giovanni Rotondo nelli stessi giorni dei quali nella prima parte se ne è tenuto discorso.
Ma per narrarli con ordine conviene indietreggiare alquanto onde conoscere almeno da lontano la causa rimotissima di tanta umana perfidia e che tu ancora, cortese lettore, sarai bramoso sapere.
In quel comune si erano ritirati nelle proprie famiglie ventuno soldati sbandati, niente pacifici, ed assai turbolenti.
Il municipio, la guardia nazionale li avevano a vista e ne misuravano i passi, ed onde per essi non si fusse compromessa la pubblica tranquillità, si intimava loro di presentarsi per andare a riprendere il servizio nell'attuale governo, perché tali erano gli ordini superiori.
Un tale invito si riceveva con disprezzo e ne seguiva la minaccia di arresto, e con effetto dal sindaco se ne passarono precisi ordini al comandante la guardia nazionale, dal quale venivano arrestati e posti in carcere quattro di essi, cioè Antonio Caldarola, Antonio Marinello, Francesco Baldinello e Nicola Russo, mentre tutti gli altri si resero latitanti.
Si trovavano antecedentemente in carcere i fratelli Salvatore e Gaetano De Vita per imputazione di omicidio in persona di Michele Ricciardi.
Tutti meditavano una evasione, per cui, aperta una buca sotto la seconda cancella, nella notte dei sedici ottobre evasero dalla prigione ed andarono ad unirsi agli altri soldati i quali, nei precedenti giorni, sostenuto avevano vivo fuoco con la guardia nazionale, riuscendo loro disarmare un tale Leandro Cascavilla di Gennaro.
Aspirina n. 7
Aspirina n. 7
Nella sera del giorno 18 sei individui della guardia nazionale erano in pattuglia: da sotto il Giudicato si fece loro sentire una voce di: "chi viva";
si rispondeva da Giuseppe Antini, che faceva parte della pattuglia "viva Francesco Secondo".
Era don Vincenzo Irace che aveva data la prima voce il quale, all'entrata del Garibaldi in Napoli, si trovava detenuto nel Castello dell'Uovo e dal Garibaldi posto in libertà.
Nell'udire la voce di risposta che non era quella che da lui si desiderava, si fece avanli, armata mano, e disarmava quattro delle dette guardie; e come uno di queste corse al corpo di guardia per darne l'avviso al tenente don Enrico D'Enrico ed al sergente don Vincenzo D'Errico, che in quel giorno comandarono, questi arrestarono e recarono in corpo di guardia lo Antini, e tolsero allo Irace fucili che aveva preso dalle disarmate guardie e gli si ingiunse ordine di subito ritirarsi.
Nel seguente giorno si partecipava lo arresto della guardia Antini al giudice il quale, dopo severa ammonizione, gli restituì la libertà.
Codesti fatti facevano impressione sul cafonismo per cui, nel giorno venti vi fu ammutinamento specialmente nella circostanza che si dividevano le schede per lo plebiscito del domani.
Allorché una voce di alcuni incaricati per tale distribuzione diceva che chi non si presentava per dare il voto sarebbe stato fucilato.
Questa imprudenza fece prorompere la moltitudine in questi detti: "daremo i voti in campagna aperta". Che anzi lo sbandato Francesco Cascavilla diceva che la votazione non sarebbe giammai succeduta, ed armato di tutto punto impose a chi distribuiva le schede di ritirarsi, come prudentemente si ritirò il sindaco ed il cancelliere che cercavano insinuare agli ignoranti la significazione della scheda.
Aspirina n. 7
Aspirina n. 7
Nella mattina del ventuno e nell'ora destinata per il plebiscito, la commissione si univa nella casa comunale. Niuno si presentava a dare il suo voto.
Verso le ore diciassette, nella contrada detta Casenuove, riunitisi più soldati sbandati armati alla brigante gridavano a tutto fiato: "viva Francesco Secondo".
Vi accorse la guardia; ma, come le voci tumultuose non cessavano, che anzi vieppiù crescevano, fuvvi un attacco ed uno scambio di fucilate e ne rimase ferita una ragazza. Si diceva di poi che un individuo della guardia nazionale istessa, a nome Gabriele Martino, nella mischia tirava una fucilata al primo tenente don Federico Verna che miracolosamente non venne offeso e, crescendo lo spavento, la guardia si sciolse, il quartiere fu abbandonato e tutti pensarono a chiudersi e sbarrare le porte.
Gli sbandati fuggirono e fecero posa alla vetta della montagna la Crocicchia, dove salirono pure molti rivoltosi armati che ingrandivano la massa.
Il sindaco spediva Costantino Mucci al Governatore con rapporto del sinistro avvenimento e chiedeva la forza per reprimere gli insorti i quali se ne avvidero, e cinque di essi, alla corsa, presero le orme dello espresso, lo raggiunsero ed a primo saluto lo ferirono con arma bianca, gli tolsero il rapporto e lo condussero in paese senza permettergli che a casa sua si fusse ritirato, la massa tumultuosa lo volle in sua custodia.
Da fortunato gli riuscì svignarsela di mezzo a quella canaglia e prese la casa di sua sorella ove, senza attenderlo, se gli tirò un colpo di fucile ed il seguente mattino lo menarono in carcere.
L'armata plebe se ne era rimasta vigile per tutto il restante di quel giorno e della notte sulle cime di quel monte, e nel seguente giorno ventidue scese in paese ove fu ricevuta dall'intiero popolo con le solite assordanti grida di "viva Francesco Secondo".
Un tale Vincenzo Antini si pose alla testa di quel popolo e ne dirigeva tutti i movimenti.
Di primo slancio si diressero al corpo di guardia ed ivi tutto distrussero ed incendiarono. Assalirono il caffettiere Antonio Maresca, rovinarono tutta la bottega e, dopo tanti insulti, il povero Maresca, non potendo più, tirò una fucilata ed uccise il massaro D. Tommaso Giordano.
Non fu colpo che si tirò, un serra serra, un allarmi, un grido di inferno. Tutti assalirono la casa dell'omicida e spietatamente lo trucidarono, avendogli prima tagliato il mustacchio ed un orecchio, che sulla punta di una falce, arma di cui il carnefice si servì nel tagliarlo, veniva portato in segno di trionfo.
Oh inumani, non molto lungi da voi è la mano di Dio!
Aspirina n. 7
Aspirina n. 7
Quell'orda di leoni inferociti in modo orribile desiava, come la tigre, sempre più imbrattarsi di sangue innocente: arrestato Agostino Bocchino e trascinatolo vicino allo già massacrato Maresca seviziandolo lo uccisero, rimanendo esposte tutta la notte queste due prime infelici vittime innanzi ad un gran fuoco che di continuo veniva alimentato con le robe e mobilie delle loro disgraziate famiglie.
Vi fu, infrattanto, lo scambio di molte fucilate con la guardia ma, la Dio mercé, non ebbero a deplorarsi che leggere ferite in quattro o cinque individui di ambo le parti.
Di poi, sul pretesto di volersi cantare il Te Deum in chiesa, a viva forza si fecero uscire dalle proprie abitazioni ove, per evitare l'incontro degli assassini che, quali leoni cui si son tolti i figli, andavano in cerca di preda; si erano ritirati ventidue degni ed influenti soggetti, nel maggior numero decurioni in commissione, cioè Michele Zazzano, Nicola Del Grosso, don Celestino Sabatelli, Tommaso Lecce, Alfonso Mucci, Costantino Mucci, don Francesco Ruggero, Guglielmo Fabrocini, don Paolo Franco, don Luigi D'Errico, don Errico D'Errico, don Alessandro Campanile, don Achille Giuva, Francesco Paolo Russo, don Terenzio Ventrella, don Giuseppe Irace ed i suoi figli don Tommaso e don Vincenzo, don Luigi sacerdote Merla, Achille Merla, Matteo Fini e Gennaro Cascavilla, ai quali si faceva credere che doveva cantarsi il Te Deum per sanzionare la pace nel popolo; ma, avutili nelle mani, li circondarono e condussero in carcere.
Amico lettore, seguimi per poco.
In niuna istoria, più antica e barbara che fosse, avrai mai letto, ed in nessun tempo, in nessun luogo avrà mai potuto succedere quanto qui sarai per sentire e vedere.
Fa cuore, perciò, e seguimi.
Eccolo, è un paese questo che veggiamo spuntare tra gli alberi che lo circondano, il quale soggiace su di una pianura interrotta di miti rialti, ed uno dei fianchi si inerpica alle falde di un aspro monte che lo spalleggia da settentrione. Desso è S. Giovanni Rotondo.
Entriamone dal lastricato che da destra abbraccia il paese; passiamolo indifferenti e non dar sensi alla popolazione che urla, schiamazza, strilla, fugge.
Siamo già sul luogo: voltiamoci a sinistra, e vedi, giusto quasi nel mezzo del fabbricato, evvi uno spiazzo avanti il bassotto pelagio, un portone ne dà l'adito: questo palazzo ad un piano serve pel Giudicato, per casa comunale ed altri uffizi e che prima era un convento di Francescani che nel 1807 fu soppresso.
Continua ...

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