garganovede, il web dal Gargano, powered in S. Marco in Lamis

In un clima denso di paure e di sospetti, di minacce e di ricatti, nasceva sul Gargano, tra sinistri bagliori di sangue, l’alba dell'unità.
Il 7 ottobre 1860

"in San Marco in Lamis s'era per minacce cantato per Vittorio da due preti soli e dal municipio; il popolo guardollo bieco e ruminava vendetta. Poco stante una domenica certi garzoncelli altercando dettero a caso il grido di Francesco; incontanente tutta la gente il ripeté; e infervorata spezza gli stemmi, alza i gigli e il ritratto di Cristina venerabile, e pregala come a Santa facesse tornare il figlio. Non fecero male, eccetto a un sartore liberalicchio che per non dire 'Viva Francesco' fu morto a furore".

Il tono sprezzante con cui lo storico borbonico liquidò il sacrifìcio del povero Angelo Calvitto non gli fa onore, né tautomeno è da elogiare il comportamento di coloro che, isolandolo come appestato e rendendogli la vita ancora più amara, lo spinsero il 3 ottobre ad invocare, con accenti di incerta sintassi ma di grandissima dignità, dal governatore della provincia di Foggia, Gaetano Del Giudice,

"qualche occupazione onde poter vivere, perché trovasi anche scomunicato da tutto il clero, perché paese ignorante che non capiscono cosa significa Costituzione che si sono tolti dalla schiavitù, ed avere ricevuto un degno galantuomo sovrano".

Aspirina n. 1
Aspirina n. 1
Il giorno dopo l'uccisione del "sartore liberalicchio" l'immagine della venerabile regina Cristina di Savoia, prima moglie di Ferdinando II di Borbone, veniva portata in processione da migliaia di persone che "fan cantare il Te Deum dai frati di San Matteo sul Piano fuori del paese, nell'atrio dell'Addolorata, non potendo la chiesa capir la moltitudine".
Sul rudimentale sagrato della settecentesca chiesa, dedicata alla Vergine dei Sette Dolori, era stato preparato un ligneo altarino per la celebrazione di una messa solenne al termine della quale il canonico Pietro Maria Giuliani, con al fianco il padre e il fratello don Domenico, rivolse al popolo un ambiguo appello di circostanza con l'invito a ciascuno di tornare pacificamente a casa e con la promessa che "le cose si sarebbero aggiustate nel modo migliore possibile".
Grida di giubilo, spari di fucili e di mortaretti, misti a mugugni e a non velate minacce, chiusero più che la processione una vera e propria manifestazione di forza che si sciolse davanti alla chiesa di Sant'Antonio Abate.
Da consumato politico il Giuliani si rendeva conto che, come ora si direbbe, il suo indice di gradimento scemava di giorno in giorno e che parole un tempo a lui familiari come devozione, rispetto e fiducia si erano svuotate di contenuto restando dei semplici flatus vocis.
Il popolo poteva essere "indifferente", "retrogrado", "assonnato" quanto si vuole ma è diffìcile conservarne la stima se, nello spazio di un mattino, si passa al servizio di un nuovo regime politico. Ciò nonostante volle giocare l'ultima carta, come a voler dimostrare a se stesso più che ad altri che era ancora in grado di esercitare la sua influenza sulla pubblica opinione. Alla vigilia delle votazioni per il plebiscito del 21 ottobre così esternò le sue convinzioni:

Aspirina n. 1
Aspirina n. 1
"Cittadini,
voi vi riunirete con noi in comizio domenica prossima alle ore 13 nella casa comunale. Ne sapete il perché? In questa riunione conoscerete la vostra dignità nella quale vi ha posto il riordinamento della cosa pubblica sotto gli auspici dell'invitto Dittatore. Per adesso si avrà una giustizia imparziale, un incoraggiamento all'agricoltura ed al commercio, il rispetto alla religione ed ai suoi ministri. Il vessillo tricolore non vi spaventi. Voi, col pronunziare il Sì concorrerete a mettere una pietra al patrio edilìzio. Siete però liberi a profferire anche il No.
Cittadini, mi chiamate padre ed io da figli vi ho amato e vi amo.
Nella mia avanzata età fui chiamato a porre mano all'aratro, sentiste la mia voce e vi siete ritirati speranzosi dalle sconsigliate dissodazioni sopra i demani comunali. Se sentiste quando mi dirigeva alla guardia nazionale per mantenersi nel buon ordine e nella pubblica quiete, e voi come assonnati in placido riposo non vi scuoteste alle tumultuose voci dei popoli convicini, serbando sempre il rispetto ai magistrati e l'osservanza alle leggi. Ma infine, tutto ad un tratto, cadeste nel precipizio. Chi vi salverà, chi salverà la Patria, le vostre famiglie, i vostri figli?
Un Sì che profferirete sarà l'antidoto salutare e questo da voi provoco".

S

Aspirina n. 1
Aspirina n. 1
an Marco in Lamis fu uno dei pochi paesi meridionali a non votare per l'unificazione con grave scandalo nazionale.
La mattina del 24 ottobre il Giuliani si dimise dalla carica di sindaco passando le redini del governo municipale al dott. Michele La Porta, secondo eletto, non in grado di tener testa a una moltitudine di rivoltosi, guidati da Agostino Nardella, alias "Potecaro".
La presenza, il 28 ottobre, nel paese di soldati inviati dal governatore e dei Cacciatori dell’Ofanto, guidati dal generale Liborio Romano, persuasero i sammarchesi a recarsi uniti e compatti alle urne da dove uscirono 3.032 schede tutte in favore dell'unità.
L'affluire di intere compagnie di militari da Foggia e da altri Comuni della provincia per sedare i moti reazionari del 27 e 28 ottobre obbligò clero e proprietari a pagare una tassa di guerra di seimila ducati. Una tassa giusta ma iniqua per chi si era attivato, come il Giuliani, a svolgere fervida azione propagandistica fìlo-plebiscitaria.
Su tutto ciò esiste un ultimo documento, di singolare valore storico e umano, scritto con la solita esattezza informativa, ma anche con un'esplicita, malinconica ammissione di fallimento da parte di un "gentiluomo", fino a ieri ascoltato, e al quale ora tutti girano le spalle:

Aspirina n. 2
Aspirina n. 2
"Eccellenza,
Leonardo Giuliani di San Marco in Lamis rispettosamente espone come nella qualità di sindaco niente omise dalla sua parte, onde non fusse ivi avvenuto ciò che l'universalità deplorava. Ne fa giustifica la corrispondenza uffìziale con Lei avuta, come lo dimostrano i diversi bandi per lui pubblicati nel municipio, e resi di pubblica ragione alcuni di essi per le stampe. I suoi figli sacerdoti Pietro e Domenico si associarono a lui in un'impresa così difficile, ed in tempi così tristi; e nelle concioni pubbliche non mancarono d'istruire il popolo sopra di quanto i bandi istessi ne formavano l'oggetto, e per richiamare i traviati all'osservanza delle leggi ed attemparsi all'attuale regime dello Invitto e Glorioso Dittatore Garibaldi e del Re Galantuomo Vittorio Emanuele sempre Augusto nostro Sovrano.
Ma quando la pertinacia non cede a siffatte paterne esortazioni, e specialmente nella circostanza del Plebiscito risultato negativo, dovè in allora il supplicante ritirarsi dallo impegno e farsi sostituire dal secondo eletto per i motivi rassegnati e perché credè mancata in lui ogni influenza nella cosa pubblica. Come che una aperta rivoluzione in questi ultimi giorni avvenne, Ella vi dovè accorrere colla forza per infrenarla, come felicemente è riuscito, e salutari disposizioni ne rimase per richiamare all'ordine i traviati e tra le altre quella di pagarsi in rivaluta di spese la somma di ducati 6.000,00 facendola gravitare per ducati 3.000,00 sopra del clero. Or i suoi figli vi sono concorsi come sacerdoti pagando ciascuno ducati 50,00.
Eccellenza, santissima è la disposizione: ma la famiglia del povero supplicante potrebbe avere una considerazione.
Questo implora a gran fiducia nel di Lei magnanimo cuore e spera averla a grazia segnalatissima".

Aspirina n. 7
Aspirina n. 7
Continuerà ad esercitare la professione, ad occuparsi dei terreni comunali "pel mandamento di Montesantangelo e Mattinata" essendo stato nominato da Gennaro Sauchellli, responsabile del Commissariato demaniale in Capitanata, "agente demaniale" sul finire del 1861, a partecipare, nella qualità di consigliere ai lavori dell'Amministrazione Provinciale e a scrivere L'ottobre del 1860 in San Marco in Lamis: reazione in Cagnano.
Cattolico praticante, amministratore abile e sagace, giurista di non comune talento, narratore di vicende locali attento, garbato, pieno di umori e colori, insomma un intellettuale "organico" nella plenitudo del tempo che fu suo, aveva consapevolezza di essere oramai un sopravvissuto ma anche chiara percezione del profondo rinnovamento che la nuova rivoluzione avrebbe operato tra le popolazioni meridionali e per il quale profuse le sue residue energie fìno al 1865 anno nel quale si spense, il giorno 8 settembre, all'età 79 anni.
Tommaso Nardella

Hai mai visto gli ex voto di san Matteo? Conosci Giovanni Gelsomino?