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Aspirina n. 7
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Il 2 agosto 1860 l'intendente di Capitanata Bernardo Sanfelice, duca di Bagnoli, notificava al notaio Leonardo Giuliani (1786-1865) un decreto reale mediante il quale Francesco II di Borbone lo nominava sindaco di San Marco in Lamis in sostituzione dell'arciprete Francesco Paolo Spagnoli.
Per la quarta volta il Giuliani, personaggio di cospicuo rilievo sia nella storia che nella tradizione storiografica sammarchese, risaliva le scale di Palazzo Badiale mentre Garibaldi si accingeva dalla Sicilia a sbarcare i suoi volontari sulle spiagge calabresi.
Già noto per i suoi trascorsi politici liberaleggianti nel nonimestre del 1820 e poi per manifeste simpatie costituzionali nel maggio del 1848, era finito nelle finche dei famigerati registri degli "attendibili" quale liberale effervescente, avendo tentato, pur servendosi dell'attiva collaborazione di due figli sacerdoti, di persuadere i suoi amministrati che "la dinastia borbonica, rappresentata dal figlio della santa Maria Cristina di Savoia, era al tramonto e che occorreva accettare il nuovo proveniente dalla rivoluzione siciliana".
Aspirina n. 7
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Vanamente inondò il paese di proclami e manifesti invitando i cittadini, per lo più analfabeti, a mantenere la calma, a rispettare le leggi e a ubbidire alle pubbliche autorità "onde evitare assembramenti causa di perigli e di disordini".
Ma ormai il paese, che contava 17.525 abitanti, era in balia di Angelo Maria Del Sambro, Nicandro Polignone e Raffaele Villani, feroci assassini provenienti dal carcere di Bovino le cui porte furono la mattina del 20 agosto 1860 spalancate dal Sanfelice in precipitosa fuga verso Napoli.
Insieme al latitante abigeatario e grassatore Agostino Nardella sinistramente i nostri ergastolani apparvero, dotati di cavalcature, sulle sammarchesi pendici di Monte Melisci sventolando, la mattina del 6 ottobre, "bianchi pannolini simboli del real vessillo borbonico". Inevitabili le conseguenze.
Il giorno seguente, nei paraggi della chiesa della Madonna Addolorata, il sarto Angelo Calvitto venne pugnalato a morte "per non aver voluto inneggiare a Francesco II".
Il 21 ottobre, giorno fissato per il plebiscito, a San Marco in Lamis le urne andarono deserte per lo scoppio della terza reazione che costò la vita alle guardie mobilizzate Francesco Nardella, Giovanni Mimmo e Giuseppe Nardella i cui corpi vennero buttati dai balconi di palazzo Tardio sulla pubblica piazza "ove era raccolta una folla in delirio che si accanì a consumare indefinite altre sevizie sugli straziati corpi fino a gustare il grondante sangue.
A distanza di una settimana i Sammarchesi, con le baionette dei Cacciatori dell’Ofanto alle costole, si recarono al seggio elettorale per deporre nella "cassolina" i loro plebiscitari sì.
Potenza della paura, votarono anche i morti. (grassetto del webmaster)
Travolto dagli eventi, profondamente deluso e amareggiato, al Giuliani non restava che passare la mano al vicesindaco, cioè al dottore fisico Michele La Porta essendo ormai fallito il suo impegno sindacale.
Momenti senza dubbio di grave depressione morale con amare considerazioni sullo "spirito pubblico" e sulla paradossale situazione della locale comunità che rifiutò di accettare la nuova realtà storica per imboccare il lungo tunnel dell'odio, della rapina, della vendetta e della guerra fratricida.
Questi i fatti nudi e crudi notificati al Governatore della Capitanata in un documento di straordinario interesse storico e umano:

Aspirina n. 7
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"Eccellenza,
Leonardo Giuliani di San Marco rispettosamente espone, come nella qualità di sindaco niente omise dalla sua parte, onde non fusse ivi avvenuto ciò che l'univcrsalità deplora. Ne fa giustifica la corrispondenza ufficiale con Lei tenuta, come lo dimostrano i diversi bandi per lui pubblicati nel Municipio. e resi di pubblica ragione alcuni di essi per le stampe.
I suoi figli sacerdoti don Pietro e don Domenico si associarono a lui in un'impresa difficile ed in tempi così tristi e nelle concioni pubbliche non mancarono d'istruire il popolo sopra di quanto i bandi stessi ne formavano quelli, e per richiamare i traviati all'osservanza delle leggi, ed attemparsi all’attuale regime dell'Invitto e Glorioso Dittatore Garibaldi e del Re Galantuomo Vittorio Emanuele sempre augusto nostro sovrano.
Ma quando la pertinacia non cede a siffatte paterne esercitazioni e specialmente nella circostanza del Plebiscito risultò negativo, dové in allora lo scrivente ritirarsi dallo impegno e farsi sostituire dal secondo eletto per i motivi rassegnati e perché crede mancata in lui ogni influenza nella cosa pubblica.
Come che una aperta rivoluzione in questi ultimi giorni avvenne, Ella vi dové accorrere colla forza per infrenarla, come felicemente è riuscito, e salutari disposizioni ne rimase per richiamare all'ordine i traviati, e tra le altre quelle di pagarsi in rivaluta di spese la somma di ducati 6.000 facendole gravitare per ducati 3.000 sopra del clero”.

Aspirina n. 7
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Un paese dunque allo sbando che ormai vede le sue chiese trasformate in caserme per la crescente presenza di corpi militari addetti al ripristino dell'ordine pubblico, alla repressione dei moti reazionari e alla caccia di briganti dei quali San Marco in Lamis sarà, dalle autorità provinciali e nazionali considerata, tout court, culla e fucina. (grassetto del webmaster)
Insomna un quinquennio tragico che ha coinvolto anche le comunità di San Giovanni Rotondo e Cagnano Varano le cui vicende sono state ampiamente narrate dal Giuliani con dovizia di particolari e rigorosa puntualità informativa che trova riscontro nelle inedite sentenze della Corte di Assise di Appello di Trani.
Aspirina n. 7
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Particolare risalto, con l'apporto di alcune novità, il Giuliani dà all'eccidio di 24 "uomini onesti di generosi e liberi sensi" consumato il 22 ottobre 1860 da "una inferocita folla di belve umane" condannate il 6 novembre del medesimo anno dal consiglio di guerra subitaneo, presieduto da Raimondo de Salvatori, maggiore della brigata Romano, Michele Cesare Rebecchi, maggiore della guardia nazionale di Monte Sant'Angelo. Michele Pepe, capitano della guardia nazionale, Nicola La Ginestra tenente della brigata Romano, Giovanni Pasculli, capitano della detta brigata, Aniello Jacuzio, alfiere della guardia nazionale di Foggia, Giuseppe Giordano, alfiere della detta guardia. Serafino Albano, capitano della brigata Romano commissario del Re e Giovanni Daniele, sergente maggiore nella brigata Romano.
Dei 13 condannati a morte solo per 10 fu eseguita "entro il termine di 10 ore" la sentenza; per gli altri tre la pena venne, "pel coscienzioso sentire del governatore" commutata in quella dei lavori forzati a vita. Sei altri individui riportarono la condanna a 18 anni di ferri mentre per tutti gli altri detenuti fu ordinata una più ampia istruttoria.
Per l'assistenza spirituale dei condannati alla pena capitale venne dal governatore Del Giudice incaricato il cappuccino padre Urbano Villani, "presidente del comitato liberale di Foggia" cui venne assegnato, per il servizio prestato, la somma di 20 ducati.
Aspirina n. 7
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Puntuale la pagina di Giuliani sulla violenta reazione borbonica scoppiata in Cagnano Varano il giorno del plebiscito, allorquando una folla di contadini, anche di altri comuni, manifestava per le vie del paese "emettendo sediziosi gridi di viva Francesco Secondo e pretendendo che la votazione fosse fatta in pubblica piazza.
Nei giorni seguenti obbligarono tutti i galantuomini ad uscire sulla strada e ripetere le medesime loro grida. Portavano in trionfo un bianco lenzuolo con il giglio borbonico, penetrarono nel posto della guardia nazionale devastandone il novello mobilio e assaltarono la casa del commerciante Salvatore Donatacci che uccisero e il corpo trascinato per terra sulla piazza del Comune schermendolo in diversi modi.
Michele Cesare Rebecchi "commissario con pieni poteri" venne subito incaricato dal governatore Del Giudice di recarsi sul posto per raccogliere prove e testimonianze a carico di 363 ribelli che vennero arrestati.
Aspirina 7 08
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Nel volgere di giorni si approntarono tutti gli atti processuali.
Il consiglio di guerra subitaneo, presieduto da Francesco d'Errico e dai giudici Vincenzo Piemontese, Giacomo Giordano, Angelo Maria Margione, Antonio Potenza, Giuseppe Guida, Francesco Pasqua, Raffaele Bracci, dei marchesi Paglicci, Vinccnzo e Pasquale Tateo, tutti ufficiali della brigata Liborio Romano, condannò il 18 novembre 1860, alle tre di notte in Rignano, alla pena di morte Paolo Giangualano e Nunzio Scirtuicchio da eseguirsi con la fucilazione alle spalle.
Alla pena di anni trenta di ferri Carlo Sidania, Malico Jacovelli di Tommaso, Pietro Padovanella, Francesco del Priore, Carmine Polignone, Pietro Stefania, Giovanna di Maggio, Gabriele Cerrone, Anna Petranca, Leonardo Caccavelli, Mariano di Cataldo, Antonio Pinto, Domenico Cugnidoro, Saverio Gravino, Antonio Bux, Michele Gravino, Luigi Gravino, Saverio Stanchi, Michele di Cataldo e Nicola Cerrone.
Erano inoltre obbligati “in solidum ai rifacimenti di danni, interessi a favore degli stessi danneggiati ed alle spese di giudizio a pro del Tesoro”.
Insomma un'amara quanto tormentata esperienza amministrativa quella del Giuliani, giurista di talento, che, nonostante tutto, continuerà ad esercilare la professione notarile ed occuparsi di terreni demaniali, essendo stato nominato sul finire del 1861, responsabile del Commissariato demaniale in Capitanata e trovare il tempo e la serenità di raccontare, sul filo di una vigile memoria, il dramma del non facile inserimento della sua gente nel processo dell'unificazione nazionale.
t(ommaso). n.(ardella)

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