Parte I (continua e fine) Fu in allora che ebbi a ricordare che il Pellico, quasi preveggente, tra i suoi carmi nella Raffaella scriveva:
Aspirina n. 7quel muoversi dei popoli irruente […] un mar parea, che straripando inondi la campagna, e le diverse voci, ancor che allegre, rombavan sì molteplici e sì ferme, che la tremenda ricordavan foga di città che o si scaglia alla rivolta, o per subìti incendi, o per tremoto impetuosa dagli alberghi spanda uomini e donne, e per le vie cozzante strilli fuggendo la insensata turba. Si discerneva ch'ella era gioia, e pure era una gioia che mettea spavento.
Aspirina n. 7Gli insorti così cresciuti in massa, e sempre in tumulto, passando per corpo di guardia nazionale rimasto vuoto per la fuga di quelle poche guardie che lo custodivano, ed insuperbiti per non avere trovato ivi chi loro facesse fronte, procede al massimo dei disordini, perché tutto il mobilio venne distrutto e dato alle fiamme; i fucili vennero presi, l'effigie, le bandiere, lo stemma, dispersi e lacerati. E simili alle locuste, quando precipitano a divorare il campo, tutto in un baleno venne posto il rovina, né si risparmiarono le grosse travi di sostegno alla lettiera, ridotte in minuti pezzi e con le sole orsigne mani. I pacifici, presi da spavento, precipitosamente corsero a chiudersi nelle proprie abitazioni, chi chiamando i figli, chi i fratelli, chi il padre; e confondendosi queste alle grida tumultuose della plebe, sembrava un finimondo; e così tutte le porte si chiusero e custodirono. Aspirina n. 7Semplicemente non poté chiudersi, e dové rimanere aperta ed esposta la mia abitazione e la mia famiglia sino a notte avanzata, dové sopportare gli assalti dei rivoltosi, i quali ora volevano l'effìgie di Francesco Secondo, ora le sue bandiere; più tardi torce e ceri, ed in ultimo armi e munizioni: era un vero caos, una vera casa del diavolo. Come che ciò che si chiedeva non tutto poteva darsi, così onde cessare le insistenze, si dové pregare e persuadere alla meglio che si poté. Durante il tumulto il sarto Angelo Calvitto fu il solo che venne mortalmente ferito; e più per opinione manifestata, che per vendetta privata, e così offeso fuggendo stiede in campagna tutta la notte; la sua casa venne aggredita e saccheggiata, il poco mobilio disperso e parte incendiato, e col di più che l'infelice famiglia deplora. Il disgraziato che dopo rifugiato si era presso l'eremita dell'Addolorata, nella cui cella con cristiana rassegnazione ricevé gli ultimi sacramenti, dopo due giorni se ne morì in casa della sua figlia maritata. La famiglia orbata ricevé in appresso dal Governatore una liberanza di ducati trecento dalla tassa per le spese di guerra. Nella notte istessa, mentre ancora disperatamente si gridava e si strepitava per le strade, le femmine con i tamburelli, come le baccanti, gli uomini con le mazze ed i rottami di tavole, residuo del distrutto corpo di guardia, per ragione della mia carica ho dovuto, in mezzo a tanto fracasso, rapportare l'accaduto al sotto governatore del distretto: ma il corriere non poté muoversi, perché tutte le uscite erano già custodite dalli rivoltosi, e non partì che alle ore tardi del giorno appresso. I pacifici cittadini han dovuto ancor essi corrispondere agli schiamazzi, illuminare le stade in tumulto, edalcuni hal dovuto corrispondere ancora con lo sparo a polvere dei fucili per contribuire ai clamori notturni e contentare la insorta plebe con apparente gioia. Spero che voglia restituirsi la calma ed almeno ad ora avanzata per rendermela intesa domani con maggiore e più spiegato dettaglio. Mi affretto intanto a farmela intesa, onde per teegramma ne faccia consapevole il Governatore in Foggia, a mio discarico". Il Sindaco: firmato Leonardo Giuliani. Dell'istesso rapporto se ne fece inteso il Governatore in Foggia. Aspirina n. 7Non ancora sorgeva l'alba del giorno otto e l'imperiosa gente già era dietro al mio portone, chiedendo ed obbligando ripetersi le funzioni che nel primo ottobre facevansi per Garibaldi, oggi, dicevano, per Francesco Srrondo, e più solenni. E chi poteva negarsi? Tutta la potenza già stava nelle loro mani, e bandi in ogni poco si sentivano per le strade, con che chiedevano che nessuno fusse andato in campagna per assistere alla funzione; che tutti avessero cacciate le loro armi da fuoco per solennizzarla con lo sparo; che tutti i componenti la disordinata banda musicale dovevano riunirsi; e che si fussero suonate le campane in segno di allegrezza. Aspirina n. 7Tutto a rigore si eseguì, che anzi con mio invito da essi impostomi, calarono tutti i monaci da S. Matteo, e così, quando il sole aveva percorso la quarta parte del nostro orizzonte, il clero uscì processionalmente dalla chiesa collegiale, e, seguito dal popolo, si recò nella chiesa Addolorata. Un vasto piano si accerchia da alti monti, che tappezzati da fiori di mille colori, e guardandosi la prospettiva delle nostre terre, ti ricorda i vastissimi anfiteatri di Roma. Di fronte a quel punto di cielo, ove l'aurora sorge rugiadosa e benefica, furiera dell'astro maggiore, evvi la chiesa dell'Addolorata, situata su l'ultima linea del piano; al suo sinistro fianco, a pochi passi, il paese s'innesta tra il piano ed i monti, e, come apposito sgabello in un luogo di festa, parea che fusse fatto per guardare sicuro la tumultuosa gente, che il giorno otto raccoglieva sul piano: e veramente che da ogni punto dell'abitato e sopra i tetti si vedevano le donne a gruppi, che ad ogni mossa del popolo sventolavano i loro pannilini e lo spettacolo e la natura intiera pareva tutta animata, tutta viva. Aspirina n. 7Il suono continuo dei campanelli della chiesa, lo sparo fragoroso dei fucili e mortaretti, annunziava che la funzione già incominciava. La massima parte del popolo dové lasciarsene nello spianato sull'atrio, atteso che la chiesa poca dell'accorsa gente poté contenere. Tutti raccolti, abbenché fuori, li vedevate con le braccia al sen conserte, con gli occhi bassi e dal muovere continuo delle labbra riconcentrati in se stessi si arguiva che pregavano. Vi regnava un perfetto silenzio, interrotto dallo sparo dei fucili e da qualche sospiro mal represso di femminella. La santa messa parata a festa e solennizzata dall'arciprete era per terminarsi. Sull'atrio e tra le due porte della chiesa, con pensiero del popolo, si eresse un altare parato con baldacchino, ceri e tutt'altro, acciocché tutti avessero assistito al canto del Te Deum e ricevuta la benedizione. Era non adatto; ma pure quella funzione, quel vedere di un popolo sì devoto e sì cambiato dagli eccessi di furia, che quasi insensato animale lo rendevano nel giorno innanzi, mi commuoveva l'anima. Le due porte della chiesa si spalancarono e due file di armati si ordinavano sull'atrio. Il clero ed i monaci a due a due defilavano dalle porte, quando apparve il gran Dio Sacramentato che veniva riverentemente situato nel baldacchino sul preparato altare. Oh allora! Il battersi del petto, il pianto soffocato delle donne, lo sparo dei mortali e degli schioppi mi allacciavano il cuore e con gli occhi nuotanti nelle lacrime, guardava l'umiliato popolo e pregava per quella gente ignorante che l'avesse fatta ravvedere dall'inganno già preso. E tra le clamorose voci che là là si alzarono di Viva Francesco Secondo, l'arciprete intuonava il Te Deum ed uno sparo mai inteso salutò l'Iddio degli eserciti. Aspirina n. 7Non un motto, non un detto, distoglieva la moltitudine dal suo raccoglimento ed unità di pensiero e, profittandone il canonico don Pietro Maria Giuliani, mio figlio, salito sul basso muro di cinta all'atrio, improvvisò un discorso di disinganno richiesto dalla circostanza non discompagnato dalle esortazioni agli astanti di presto riprendere l'ordine; e che, inteso con pacatezza, produsse l'effetto che si desiderava. Il popolo, ricevutasi la benedizione del Santissimo, lo accompagnò devotamente e con bell'ordine; e dopo che la processione pose termine nella chiesa di S. Antonio Abate, ognuno si ritirò soddisfatto e contento. Il rimanente del giorno fu in perfetta calma. Nella notte e nel seguente giorno nove il corpo di guardia veniva custodito da soldati sbandati e la sera, quando l'aria si faceva bruna, un banditore si faceva girare per illuminarsi le strade e stare in festa. Le uscite continuavano a guardarsi ed il popolo se ne rimaneva inoperoso in paese. Il convicino paese di Rignano stava in veglia e tremebondo perché sui rivoltosi si minacciava un'aggressione ed il timore non era senza fondamento, poiché nel tumulto ne uscirono di tali voci e, per dirla, si decretava così dai caporioni, e per ciò qui si dubitava della venuta della forza, come di fatti era giunta in S. Giovanni Rotondo e là se ne rimase ed il tenente comandante De Maria me ne faceva consapevole. Una deputazione veniva allestita per quel comune, io col R. Giudice e molto seguito ci presentammo al comandante la forza mobile e gli facemmo chiaro l'accaduto, persuadendolo che la reazione succeduta non aveva un oggetto politico, ma che false notizie venute dai soldati regi alle famiglie, accagionarono tanto rumore; così che se non fosse avvenuta la morte del Calvitto, si sarebbe tutto ridotto ad una festa popolare e che movendosi la forza per S. Marco ne poteva risultare una rivoluzione; e così assicurandolo che tutto nel paese era quiete e, pagandogli ducati cento per spese di cibarie, si restituì in Foggia. Aspirina n. 7Continuava la ripristinata tranquillità si andava al meglio. La guardia lnazionale vi contribuiva con la sua attività e di essa io ne dava le assicurazioni al Governatore, essendo il popolo ritornato alle sue naturali occupazioni. Con decreto dittatoriale del giorno otto veniva disposto che per le ore sette antimeridiane del giorno di domenica ventuno, le popolazioni di questi domini continentali, riunitesi in comizio, dovevano rendere e votare un plebiscito per l'Italia una sotto il regime del Re Galantuomo Vittorio Emanuele e suoi successori, ed il municipio ne approntava le urne per la votazione e le cartelle del sì e del no. Aspirina n. 7Ma io nella mia qualità di sindaco, attesa la reazione del giorno sette, ne aveva i miei dubbi e, specialmente per quanto avveniva nella distribuzione delle schede, che qui è meglio tacere. Quindi per rimuovere i votanti stimai cosa prudente istruirli e gli diressi un programma affisso nei consueti luoghi pubblici, copia del quale se ne trasmise al Governatore. Per ciò nell'ora designata di detto giorno ventuno, riunitasi la commissione nella casa comunale, ed essendo in permanenza fino alle ore quindici nessun votante si presentò per cui da me e dalla commissione, a proprio discarico, se ne elevò verbale negativo che, con l'organo dell'ufficiale corrispondenza, si mandò in doppio al sotto Governatore. Si venne a conoscere di poi che alcuni caporioni della plebe stavano alla vedetta per notare chi fosse salito sulla casa comunale a dare i voti: e perciò fu che ognuno stimò farla da prudente e se ne astenne per i fatti già consumati nel giorno sette. Decisi sul punto dimettermi dalla carica: io che tanto mi era adoprato per fare che l'ordine, la pubblica quiete non si fusse turbata e di serbarsi l'osservanza alle leggi col rispetto dei governanti dalla negata votazione vedendo mancata in me ogni influenza e, prevedendo cose più tristi, prudentemente risolvetti far giungere regolare rassegna ai governanti del Distretto e della Provincia. Ritornai così nelle cure domestiche dandone comunicazione al secondo eletto dott. don Michele La Porta della rassegnata carica nel dì ventiquattro, interessandolo a sostituirmi.
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