Reazione in San Marco in Lamis. Previdenze onde allontanarla
Le amnistie che si succedevano, gli indulti, e reali munificenze, in qualche modo anch'essi accrescevano le popolari esultanze.
Ancora nei municipi venivano smontati i preposti alla cosa pubblica, e nella ricomposizione di questa comunale amministrazione, ancora di me si volle avere uguale rimembranza, e forse per ciò che mi fecero soffrire nei trascorsi tempi.
Venni dunque ultra volta rieletto Sindaco, e nel giorno due agosto di questo anno prestai il consueto giuramento di rito e me ne posi in esercizio.
Ciò non pertanto nel giorno tre con mio uffizio ne faceva rimanere inteso il sig. Intendente con le proteste che accettavo la carica in tempi così tristi, ma a condizione e con riserva di presto uscirne, attesa la mia avanzata età.
All'ingresso nella carica trovai la massa dei bracciali buttata su dei demani comunali che dissodava, ed anco a mano armata. Le guardie forestali non gli potevano resistere, ed i superiori ne fremevano.
Per chiamarla all'ordine emanai un bando, affisso nei luoghi pubblici, e che veniva pure letto a cinque agosto, giorno di domenica, ed affisso nelle chiese parrocchiali: e la plebe speranzata per le promesse ripartizioni dei demani a coltura, si ritirò dal delitto, di che l'Intendente se ne compiacque.
Onde con apposito rapporto ne l'aceva consapevole il sig. Intendente e di risulta la lodata autorità ordinò sentirsi il decurionato per la destinazione dei fondi, in pari tempo che ne sollecitava il progetto d'opere. Il decurionato in seguito ne rendeva atto deliberativo, che si trasmetteva accompagnato da circostanziato rapporto.
In sulle prime, per applicare le braccia, s'intrapresero le opere col disterramento di quel braccio del Canalone da me altra volta aperto che, dall'orto badiale, passando pei pozzi, va a congiungersi presso la vigna di De Lillo al torrente del vallone di S. Matteo, il quale stava colmo; ed abbattendosi il ponticello che portava ai pozzi, perché non era sufficiente al passaggio delle alluvioni, se ne costruiva un altro di maggior capacità ed altezza per salvare buona parte del paese dalle inondazioni.
Col getto del materiale, poi, si poté fare un tratto di strada che dal ponte De Lillo conduce alla chiesa di S. Maria delle Grazie.
Si era nell'aspettativa adunque delle superiori disposizioni per animarsi vieppiù siffatti lavori e tenere occupati i poveri bracciali.
Ma gli affari del Governo galoppavano.
Il Re Francesco II pensa uscire da Napoli, e nel giorno sei settembre rendeva un proclama, un pretesto, che si riportava nel giornale ufficiale n. 197 ed abbandona Napoli con parte del suo esercito.
Il Generale dittatore da Salerno il giorno sette invia i suoi proclami al popolo napolitano, ed annuncia il suo prossimo arrivo alla capitale.
Il Ministro dell'Interno raccomanda serbarsi l'ordine e la tranquillità in momenti così solenni, come Francesco II in uscirne pure raccomandava.
Tutto in un subito ciò avveniva, e la dinastia borbonica cessò dal governare.
Le popolazioni passarono sotto il governo dittatoriale del grande generale, il quale tutto si occupò a mantenerle tranquille.
Nei giornali uffiziali si riportano svariati decreti in proposito e la supplicata quiete veniva conservata.
I principali comuni del Regno applaudivano al nuovo regime, e dal Municipio di S. Marco in Lamis si faceva giungere per l'organo del Ministero all'invitto Dittatore un indirizzo con la data dieci settembre, riportato poi nel giornale costituzionale.
In tanto che nei comuni limitrofi e specialmente nei capoluoghi della provincia e del Distretto, si alzavano voci, oh quante! di giubilo, non discompagnate da tumulti popolari, questo Comune guardava con indifferenza le novità, per cui era ritenuto per paese retrogrado.
E quando si temeva una fluttuazione di opinione per cui poteva risentirne la pubblica quiete un nuovo proclama a tredici settembre veniva diretto alla Guardia nazionale, onde non si fusse destato il popolo dal suo placido riposo; ed il Duca Intendente, a cui ne trasmisi copia, compiacendosene non ricusò renderlo pubblico con la stampa. Nel rimanente, nei giorni di settembre tutto fu quiete, tutta tranquillità in S. Marco, come nei giorni ventuno a ventitré si ebbe a celebrare la fiera di S. Matteo, i commercianti non ebbero che ad ammirare l'ordine serbato in ogni classe dalla ospitale popolazione.
Uffiziatosi l'arciprete con la comunicazione dell'uffìzio venuto dalla sotto Intendenza di San Severo, venne il Te Deum cantato nella chiesa di S. Antonio Abate, e facendo posa il corteggio al corpo di guardia, dopo la religiosa funzione veniva in quella occasione inaugurato lo stemma delle Reali armi di Savoia e si ricevè il giuramento della guardia nazionale ulteriormente ordinato.
Era così la funzione di quel giorno terminata; ma alcune voci innalzate tra gli astanti, richiedevano per la prima volta una manifestazione di pubblica esultanza; e tanto più che false voci facevano conoscere che per la volta di Sannicandro veniva qui una forza di duecento armati a scuotere questa assonnata popolazione.
E quindi si proruppe nelle acclamazioni di Viva Vittorio E
Si continuò nella quiete sino alla domenica sette, quando non poté farsi la processionie della Vergine del SS. Rosario, per non darsi occasione allo sviluppo di un popolare tumulto, come si sussurrava; e per quanto si disse, sospettoso per alcune lettere di soldati regi venute alle famiglie con la valigia del giorno precedente, perché facevano credere alla ignara plebe l'arrivo in Napoli del re Francesco Secondo.
Ciò che era titubanza e dubbio del giorno ebbe a divenire realtà e certezza; giacché non ancora erano battute le ore ventiquattro, quando dalla piazza S. Berardino, un aggruppamento di bracciali inermi, e dal bambolo sino al canuto, e per ciò di ogni età, non escluse le donne contadine, precipitavasi a torme sulla piazza maesta, e come si inoltrava, così sempre più cresceva, tanto che in breve tutta la lunghezza ne veniva dai tumultuanti occupata, gridando sempre Viva Francesco II, Viva il nostro Re.
01-Reazione in S. Marco in Lamis
powered by social2s