Per il santuario dedicato all'Arcangelo Michele sul Gargano il periodo carolingio-normanno-svevo costituì l'apogeo della sua celebrità. Le cronache del tempo, infatti, lo segnalano tra i quattro più frequentati luoghi di pellegrinaggio della cristianità secondo l'itinerario di redenzione spirituale, noto come Homo, Angelus, Deus, che prevedeva la visita alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo a Roma e di San Giacomo di Compostela in Spagna (Homo), all'Angelo della Sacra Spelonca di Monte Sant'Angelo (Angelus), infine ai luoghi della Terra Santa (Deus). Dupront suddivide in quattro categorie i luoghi diventati meta di pellegrinaggio: luoghi sacri che consacrano un fenomeno della natura fisica, quelli che sono consacrati da una storia, luoghi di compimento escatologico, luoghi di regno o delle sorgenti (Nota 139).
I percorsi dei Longobardi continuarono a essere largamente utilizzati anche in epoca carolingia, quando cominciò a essere utilizzato anche il nome di via dell’Angelo, di San Michele e di via Francigena, ovvero strada dei franchi.
Francigena deriva dal fatto che il collegamento principale avviene fra la Francia e l’Italia, cioè 'strada originata dalla Francia', termine quest'ultimo col quale nel Medioevo si intende anche il territorio dell'antica 'Lotaringia', cioè tutto l'asse renano sino agli attuali Paesi Bassi (Nota 140). Infatti, secondo il Sestan, con il termine 'Franc[h]i' si indicano, nell'Alto Medioevo, non solo i merovingi o i carolingi, ma anche i carolingi di Germania. Per cui, con la denominazione Francigena bisogna comprendere anche l'area germanica, legata ai Paesi Bassi e all'Inghilterra (Nota 141). Infatti, 'strada dei Francesi' viene appellato anche il tragitto che dalla Francia porta i pellegrini al grande santuario spagnolo di Santiago di Compostella (Nota 142).
In questo modo la strada dei Longobardi diviene ben presto la strada dei Franchi, determinando così la nascita dell’'espressione via 'Francigena' o 'Francesca' oppure simile.
C’è la descrizione di un leggendario viaggio in Oriente di Carlo Magno in Chronicon di Benedetto monaco di Monte Soratte passando da Monte Gargano, Napoli, Calabria, Messina ['Mitissimus vero rex, accepta benedictione apostolicis Leoni, in Sancto Archangelo ascendit, adorans et deprecans Deum, ut iter suum in pace dirigeret. Que profectus iter inchoavit, in monte Gargano pervenit; multa dona hibi optulit. Qui per Neapolie finibus pergens, Kalabria feriore usque ad Traversum pervenit…']. La notizia della salita al Monte Gargano non si trova in Eginardo (Nota 144), né negli Annales regni Francorum (Nota 145), per cui è possibile che sia stata completamente inventata dal monaco.
Nell’inventio del viaggio di Carlo Magno in Oriente, Benedetto utilizza una leggenda già esistente, probabilmente di tradizione orale. Contemporaneamente altri fenomeni, quali la diffusione del culto micaelico e l’intenso flusso di pellegrini alla grotta garganica, costituirono la base storica necessaria per conferire al suo racconto una certa veridicità.
D’altra parte il Chronicon è la prima e l’unica fonte che, nel riportare la leggenda del viaggio, menziona il Gargano come tappa dell’itinerario seguito da Carlo verso Gerusalemme e Costantinopoli. Non abbiamo alcuna prova, né ci resta alcun documento che attesti una sia pur breve presenza di Carlo Magno a Monte Sant’Angelo. La leggenda del viaggio si ritrova in testi più tardi, nati dall’immaginazione di monaci e abati desiderosi di accrescere l’importanza dei loro monasteri legando reliquie di origine incerta al nome del sovrano cristiano. Da questo risulta abbastanza chiaro il motivo per cui, nonostante l’imperatore non si fosse mai recato in Terra Santa, fiorirono racconti che affermavano il contrario. Legare una reliquia al nome e alle imprese di Carlo Magno significava conferire al proprio monastero maggior prestigio e grande importanza.
Inoltre la diffusione di tali leggende avrebbe costituito il precedente per la creazione di racconti analoghi, se si tiene conto del fatto che accrescere il prestigio del proprio monastero era ritenuta opera buona e meritoria.
Nell’impero carolingio il culto degli angeli era stato disciplinato in diversi modi (Nota 146). Nel 745, un concilio romano e successivi capitolari di Carlo Magno (Nota 147) avevano limitato agli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele le entità angeliche di cui era lecita l’invocazione per nome. Diffusissimo in tutta la cristianità, il culto di San Michele assunse, nell’impero carolingio, il massimo rilievo ufficiale e la festività dell’Arcangelo venne indicata fra le più solenni dell’anno liturgico, da celebrare 'vel pro vita et salute et stabilitate imperii domni regis vel filiorum eius', come si legge in un decreto sinodale emanato intorno al 799 'ex iussione domni Karoli' (Nota 148).
In un accordo tra Carlo Magno e papa Adriano I era previsto che i sudditi dell'imperatore potevano passare nel Sacro Patrimonio di San Pietro senza absolutio regia'mentre a quelli del pontefice non era consentito introdursi nel regno di Carlo Magno senza absolutio pontificia. I lasciapassare del papa erano molto ambiti poiché, prima della riforma di Martin Lutero, erano validi per tutta l'Europa.
Le trectoriae lettere concesse durante il regno di Canuto il grande d'Inghilterra (XI sec.), erano destinate prevalentemente ai pellegrini diretti a Roma e in altri luoghi europei, destinate non solo ad assicurare protezione ai viaggiatori, ma a procurare loro vitto e alloggio in prestabilite abbazie, conventi e priorati. Il re scrive ai sudditi da Roma di aver fatto sottoscrivere all’imperatore e a omnes principes gentium a monte Gargano usque ad istud proximum mare un trattato di salvaguardia dei pellegrini romei ut eis concederetur lex aequior, et pax securior in via Romam adeundi, et ne tot clausuris per viam arcarentur et propter iniustum teloneum fatigarentur (Nota 149). Si mise inoltre d'accordo con altri capi cristiani affinché i pellegrini inglesi potessero pagare tasse ridotte o non pagarle sulla strada per Roma, e che fosse garantita la loro sicurezza durante il pellegrinaggio.
La Via Francigena viene nominata per la prima volta in un antico documento storico, actum Clusio, dell’876 che era conservato nell’Abbazia di S. Salvatore del Monte Amiata. In questo testo si cita la strada nel suo passaggio nella zona della Val d’Orcia, nella valle ove ora transita la via Cassia nel tratto sotto Radicofani, dalle parti della Posta di Ricorsi. Cita il testo latino: '[…] per fossatu descendente usque in via Francisca'. I monaci del monastero con questo atto danno in affitto a tal Gisalprando un podere che ha come confine un fossato che scende fino alla Via Francigena. L'atto fa parte delle pergamene del monastero di San Salvatore sul monte Amiata (Nota 150) che indica la medesima via in quanto si ha la presenza di Franchi e Germani accomunati nello stesso itinerario.
Da sempre, per chi si occupa di storia, la prima citazione di qualcosa è importante; è quasi un atto di nascita, il primo manifestarsi. Già nell’876 quindi si sapeva che quella via veniva dalla Francia e portava viandanti e pellegrini fino a Roma e poi oltre, fino a Gerusalemme.
Alcuni studiosi pongono molta attenzione al luogo dove sorge l’abbazia di Sant’Albino (Nota 151) e alla strada che si dirige verso Pavia.
Come illustrano gli itinerari dell'arcivescovo di Canterbury Sigeric (anno 990) (Nota 152), dell'abate islandese Nikulas Munkathvera (1154), del re di Francia Filippo Augusto (1191) (Nota 154), del cronista inglese Matthew Paris (metà XIII secolo), c’era un fascio di strade che conducevano da Roma fino al centro Europa e a Londra. Nel corso dei secoli e dei luoghi cambia nome a secondo della provenienza dei fruitori: 'Via Francigena' o 'Francisca' in Italia e Borgogna; 'Chemin des Anglois' nel regno dei Franchi (dopo l’evangelizzazione dell’Inghilterra nel 607); 'Chemin Romieux' per la sua destinazione a Roma. Non seguiva però un percorso fisso. Come dimostrano fonti storiche eterogenee (vite di santi, statuti comunali, ordinanze pubbliche, scritture legali, manufatti artistici e architettonici) si trattava di diversi itinerari percorsi non solo da pellegrini e viaggiatori ma fu anche un mezzo per far spostare le informazioni, fu a servizio di papi, imperatori, banchieri, mercanti e briganti ma anche percorso da eserciti e da maestranze artistiche.
In parte si utilizzarono le importanti strade dei commercianti o degli eserciti, ma molto spesso si utilizzavano le strade dei pastori, dei contrabbandieri e dei contadini.
A seconda delle stagioni o delle condizioni politiche la Francigena presentava infatti una serie di varianti e per questo bisogna parlare preferibilmente di un 'fascio di strade' piuttosto che di un percorso unico (Nota 155).
Questa via dei Longobardi e poi Francigena rivestì un ruolo fondamentale nelle comunicazioni nord-sud fino all'età del basso medioevo, in seguito con la costituzione di nuovi assetti di potere e di nuove esigenze commerciali si resero altrettanto utilizzati dai viaggiatori altri itinerari padani posti lungo gli assi est-ovest (da Venezia verso la Francia) e nord-sud (utilizzando i valichi del Sempione, del Gottardo e del Brennero) e i vari valichi appenninici. Nel Medioevo esistevano tre principali vie 'Romee': quelle del Piccolo e Gran San Bernardo e quella, forse di importanza minore, del Moncenisio. Oltre tali passi le tre direttrici si ramificavano in varie direzioni: quella del Moncenisio toccava Chambery e Lione per puntare poi su Parigi o su Reims; quella del Piccolo San Bernardo scendeva in Val d’Isère, mentre quella del Gran San Bernardo puntava su Losanna, Besançon e quindi Reims, oppure su Neuchatel, Basilea, Strasburgo, Spira, Worms, ecc. E’ chiaro come sicuramente l’ultima sia stata la più frequentata dai Carolingi e dagli imperatori germanici.
Le vie d'accesso erano particolarmente da nord, da dove affluivano i romei da tutti i paesi d'Europa. I romei impiegavano dai valichi alpini a Roma circa 40 giorni a piedi, 15 giorni se facevano uso di cavalli, 20 giorni se venivano usate carrozze. Molteplici e spesso gravissime erano le difficoltà: strade in pessime condizioni, specialmente dopo le piogge, ponti asportati dalle piene dei fiumi, assalti di banditi e infine, ma non per questo meno importante, le epidemie che decimavano i pellegrini lungo il cammino. A piedi si percorrevano, in pianura o in collina, da 30 a 40 km al giorno, a cavallo se ne coprivano 50 o 70; le staffette, naturalmente, ne percorrevamo assai di più.
Bisogna intendere che ognuno di questi itinerari non era un'unica strada, ma come un fluire di strade più o meno parallele, che si intrecciavano tra loro soprattutto in corrispondenza dei ponti e dei guadi sui corsi d'acqua o dei passi montani. Lungo i percorsi dei pellegrinaggi, Pavia era un nodo stradale di grande importanza, era capitale del regno d'Italia e vi convergevano le strade dalle Alpi per diramarsi verso est, al porto di Venezia, o lungo la via Emilia scendere verso Roma o ai porti pugliesi, o verso sud, per imboccare la valle Scrivia e puntare su Genova, o a raggiungere la costa tirrenica attraverso la Val Trebbia e Bobbio.
In questo periodo cominciano a sorgere perplessità nei confronti dei pellegrinaggi, dal concilio di Chalon dell’813 si condannano i pellegrinaggi a Tours e a Roma fatti per motivi pagani, nel 1022-1023 da quello di Seligenstadt, che cerca di limitare i pellegrinaggi penitenziali-giudiziali considerati occasioni di vagabondaggio, da quello di York del 1195, che proibisce il pellegrinaggio alle monache «per togliere alle monache la possibilità di andare in giro». Circa le condanne espresse dai dotti basti ricordare quella, durissima, espressa da Abelardo: 'il diavolo ritiene ancora insufficiente quello che viene fatto all’esterno dei luoghi sacri e introduce le turpitudini della scena nella stessa Chiesa, arrivando al punto che consacrati i templi ai demoni, uomini e donne convenuti da ogni parte per dare libero sfogo alla loro lascivia, celebrano proprio davanti all’altare di Cristo le veglie di Venere' (Nota 156).
Il cavaliere anonimo della prima Crociata, ricordando il traffico di pellegrini e crociati verso la Terrasanta intorno alla fine dell’XI secolo, segnala tre itinerari. Il primo conduceva a Costantinopoli attraverso i Balcani lungo la cosiddetta 'via di Carlo Magno', che, secondo la leggenda, l’imperatore, pur non avendola mai percorsa, aveva fatto ammodernare. Una parte cospicua dei franchi, tra cui Pietro l’Eremita, Goffredo di Buglione, suo fratello Baldovino e Baldovino conte di Mons, raggiunse Costantinopoli attraverso l’Ungheria: 'venerunt per viam quam iamdudum Karolus Magnus aptari fecit usque ad Constantinopolim': un itinerario abbastanza noto che da Ratisbona conduceva a Costantinopoli dove incontrava la via Egnatia; poi attraverso il Braccio di San Giorgio (Bosforo) si passava in Anatolia, raggiungendo Nicomedia e Nicea. Un secondo itinerario, meno frequentato, attraversava i territori slavi per raggiungere la via Egnatia presso Durazzo. Un terzo itinerario, attraverso l’Italia, conduceva ai porti pugliesi e proseguiva per mare lungo la rotta 'Corfù, Creta, Rodi, Cipro, Giaffa o Accon'.
Secondo l’anonimo crociato, infatti, un altro gruppo di crociati si recò in Terrasanta “per antiquam Rome viam”: l’itinerario più frequentato da pellegrini e crociati sia all’andata che al ritorno, come attestano gli itinerari di Boemondo e del cugino Riccardo del Principato, di Roberto di Fiandre, Roberto duca di Normandia, Fulcherio di Chartres, Ugo Magno, Evrardo di Puiset, Acardo di Montmerle e Usuardo di Musone. L’itinerario sino a Gerusalemme, attraversando il sud Italia, è descritto da Fulcherio di Chartres. Nel 1096 attraversata la Francia e passati in Italia, percorrono la via Francigena sino a Lucca e Roma in compagnia anche di Urbano II, il quale si era aggregato a Lucca, proseguono per la Campania sino a Bari 'quae civitas optima in maris margine sita est'. Raggiunta la Puglia nell’inverno del 1096, si imbarcarono il giorno di Pasqua del 1097 e approdarono a dieci miglia da Durazzo, da dove seguirono la via Egnatia. La scelta dell’itinerario terrestre lungo l’Italia meridionale venne motivato dalla sicurezza e dalla maggiore assistenza lungo le strade. I porti pugliesi avevano assunto negli itinerari dei pellegrini grande importanza sulla rotta per la Terrasanta, nel 1102 Sevulfo ricorda che alcuni pellegrini 's’imbarcano da Bari, alcuni da Barletta, ed altri ancora da Siponto o da Trani. Altri pellegrini preferiscono attraversare il mare da Otranto, ultimo porto della Puglia'.
Negli Annales Stadenses, scritti intorno alla metà del XIII secolo, sono descritti gli itinerari che i pellegrini dell’Europa settentrionale potevano seguire per raggiungere Roma o Gerusalemme. In una possibilità di percorso per il viaggio di ritorno, la guida suggerisce a coloro che provengono dalla Svevia e dalle regioni circostanti, di passare il lago di Como, e, attraversato il Septimer Pass, di raggiungere le proprie terre (Nota 157).
L’antica Strada Popilia collegava le regioni dell'Europa orientale a Roma, passando anche dalla costa adriatica. Superate quindi Venezia e Ravenna, ci si addentrava nell'Appennino. Da Ravenna i pellegrini medievali avevano diverse opportunità per proseguire verso la città di Roma. Questo percorso permetteva inoltre ai devoti viaggiatori di raggiungere gli imbarchi della Puglia per la Terra Santa o il Santuario di San Michele sul Monte Gargano. I Romei potevano provenire da vari luoghi della cristianità medievale e, fin dal 784, una lettera del Papa a Carlo Magno segnalava l'esistenza di un ricovero per pellegrini Romei a Galeata. Durante il Medioevo essi viaggiavano seguendo i percorsi interni, dal ferrarese fino a Faenza, anziché lungo il litorale, all'epoca ancora malsano, trovando il conforto e l'ospitalità delle comunità monastiche che incontravano lungo il cammino. La prima era quella benedettina di Pomposa, quindi discendendo i pellegrini trovavano Comacchio, mentre verso Ravenna a Sant'Alberto, il Monastero omonimo in Insula Parei rappresentava il riferimento per coloro che si dirigevano a Ravenna.
I pellegrini diretti verso i santuari di Loreto (alla fine del medioevo), di Assisi, di San Michele Arcangelo nel Gargano o ai porti pugliesi per imbarcarsi verso la Palestina, utilizzavano le vie Litoranee. Una di queste è citata dall’Anonimo Ravennate. Riguarda un tracciato che in parte si sovrapponeva alla Flaminia passando per Rimini, Pesaro, Senigallia, Ancona, Potenza Picena, Fermo, Porto d'Ascoli. Un secondo tracciato che attraversava le Marche longitudinalmente, già esistente in epoca romana, proveniva da Ancona e si dirigeva verso Osimo, Macerata, Urbisaglia, Falerone, Ascoli, Porto d'Ascoli per proseguire verso Brindisi.
Con la proclamazione degli Anni Santi, dal 1300 in poi, il flusso divenne spesso di migliaia di viandanti all’anno giubilare.
Dalla Britannia, dopo l’evangelizzazione di Sant’Agostino, della fine del VI secolo, re, prelati, abati e arcivescovi sassoni incominciano a recarsi a Roma regolarmente, stabilendo una sorta di cordone ombelicale con Roma. E’ questa una rete viaria che diverrà nota come Via Romea, Via Francigena o Chemin des Anglais.
A Bobbio con la presenza dei monaci irlandesi di san Colombano e la visita della tomba di San Colombano (+615) era una tappa obbligata, nel pellegrinaggio verso Roma, per i viaggiatori irlandesi, delle isole britanniche e francesi. In seguito nell'862 i monaci di Bobbio accoglieranno questi pellegrini nell'apposito ospizio presso la chiesa di Santa Brigida in Piacenza.
Prima con il dominio longobardo e poi franco l’abazia e le sue dipendenze divennero centri importanti per i pellegrini in transito. Nell'alto medioevo si ha notizia di altri viaggiatori anglosassoni diretti a Roma, dei quali non si sa se siano passati o meno da Bobbio. Tra di essi, nel 653, due religiosi Benedetto Biscop (forse il medesimo Baducing) e Wilfredo di York (Nota 158). Si conoscono i nomi di ben otto re anglosassoni che vanno a Roma, per pregare sulla tomba di Pietro. Il re del Wessex, Cadwalla, vi muore e viene sepolto in Vaticano. E possibile quindi che i molti pellegrini delle isole britanniche, recandosi a Roma, abbiano contribuito alla conoscenza dell'itinerario romeo di Bobbio, approfittando dell'assistenza presso gli xenodochi e gli ospedali del monastero per un largo tratto di strada (Nota 159). Purtroppo manca completamente qualsiasi resoconto sui loro viaggi, ma non risulta, allo stato attuale, che siano state ancora esperite ricerche approfondite e mirate, nei paesi d'origine. Solo con Sigerico, che eletto Arcivescovo di Canterbury viene a Roma nel 990 a ritirare il pallium di persona, si avrà una descrizione del viaggio e dell'itinerario seguito, chiamato oggi via Francigena.
Nel 1985 Giovanni Caselli, specialista di archeologia viaria, riporta sulla mappa l’itinerario dell’arcivescovo Sigerico di Canterbury giunto a Roma nel 990 d.C. Per ricevere il palio da papa Giovanni XV (Nota 160). Se il viaggio dell’Arcivescovo è d’obbligo poiché il nuovo prelato è tenuto per legge a ricevere il 'pallio' dell’investitura dalle mani dello stesso Pontefice, si tratta sempre di un pellegrinaggio.
Le 80 tappe (submansiones) elencate in un succinto diario di viaggio dell’arcivescovo costituiscono i punti imprescindibili della rete di strade nota come Via Francigena, venutasi a costituire nei secoli con numerose varianti. Della Via Francigena rimangono, in Italia, Svizzera, Francia e Inghilterra, notevoli tratti con lastrici e selciati romani e medievali.
Se il viaggio dell’Arcivescovo è d’obbligo poiché il nuovo prelato è tenuto per legge a ricevere il 'pallio' dell’investitura dalle mani dello stesso Pontefice, si tratta sempre di un pellegrinaggio [frase doppia, ndr].