Le Vie antiche europee di San Michele
Omnes viae Romam perducunt - Tutte le strade portano a Roma.
In occidente l'Impero romano realizzò una prima vera e propria rivoluzione stradale che comportò la costruzione di una vastissima rete di strade, in origine di carattere militare, che collegavano tutto l'Impero. Questo complesso sistema viario aveva un'articolata serie di servizi e strutture che garantiva la funzionalità della rete stradale (Nota 17). Con la fine dell'impero le strade romane subirono un progressivo deterioramento, che finì con il determinare l'abbandono del carro come mezzo principale di trasporto e l'adozione del trasporto a spalla o a dorso di mulo nei tratti in cui le strade principali erano inagibili all’uso dei carri.
Ma, con la parabola discendente dell'Impero, e le successive invasioni barbariche, si ebbe una decadenza economica e sociale di notevoli dimensioni.
Durante l'alto medioevo non avvenne un cambio immediato nelle forme di controllo e manutenzione delle strade rispetto al periodo precedente. In età romana era lo stato che organizzava e gestiva la costruzione e la manutenzione delle strade, che erano finanziate ed eseguite dalla popolazione locale. A seguito della caduta dell'Impero lo stato non sempre continuò a esercitare questa funzione. Le antiche strade consolari dovettero essere in parte abbandonate: la mancanza di manutenzione, il crollo dei ponti e l'impaludamento avevano costretto i viaggiatori a scegliere dei percorsi alternativi per b[r]evi e lunghi tratti. Si erano venuti così a formare nuovi itinerari, che a tratti potevano anche coincidere con le vecchie strade, a volte vi passavano vicini, a volte si trattava di percorsi totalmente nuovi. Tuttavia, soltanto alla fine del periodo carolingio (secoli IX-X) il potere pubblico rinunciò in forma sistematica alla partecipazione dei lavori di manutenzione, ordinamento e controllo delle strade, dei ponti e dei porti. La gestione delle strade e dei ponti passò in questo periodo nelle mani dei poteri locali, sia rappresentanti del potere pubblico (feudatari, marchesi, conti), che gruppi signorili emergenti. Nel primo medioevo, accanto agli assi viari maggiori è ricordata l’esistenza di un’articolata viabilità secondaria, non molto estesa e organica al territorio, fatta di sentieri montani e di piste naturali di origine antica.
La complessità della rete viaria minore - il cui sviluppo, pur disagevole, è legato prevalentemente alla formazione di nuovi insediamenti oltre che a ragioni economiche - segna dal VI secolo il confine tra la concezione romana della strada lineare e l’estrema fragilità e versatilità della rete stradale medievale che rispecchia la mentalità dei suoi utenti, di cui Isidoro di Siviglia (560-636) ne 'percepisce il cambiamento che affida alla diversificata semantica delle parole strata, via, iter o itur, itinerarium'. Durante l'età longobarda sono evidenti i segnali dello sconvolgimento della rete viaria di origine romana. Ciò fu il risultato sia della lunga incuria subita dalle strade nel periodo successivo al crollo dell'impero romano d'occidente (476), sia dei nuovi assetti politico-territoriali venutisi a creare con la mancata soggezione da parte dei longobardi di tutta la penisola. Le varie invasioni e le complesse intersecazioni dei territori longobardi e bizantini, e la compresenza all'interno di questi di territori di gruppi 'nemici' non rese più percorribile per intero i lunghi tratti di tutte le strade romane. Quindi spesso in Italia il percorso alto medievale, segue itinerari longobardi basati su parte delle vie romane e parte su antichi tracciati dei popoli nomadi locali.
Una via di comunicazione terrestre deve presentare tutta una serie di infrastrutture e servizi che compaiono funzionalmente rapportati tra loro, e che sono in grado di garantire la sua percorribilità senza discontinuità. È comunque necessario partire dall'idea che non tutte le strade svolgono le stesse funzioni e che, quindi, esiste una gerarchia funzionale che spiega il tipo di opere e di servizi dei quali è dotata la strada.
Per Mannoni (Nota 18) la rete stradale d'età medievale prevedeva l'esistenza di almeno tre gruppi principali di strade:
- vie di lunga percorrenza che uniscono centri maggiori, non compresi nello stesso territorio;
- vie di collegamento tra centri abitati all'interno di uno stesso territorio;
- vie di servizio funzionali all'attività del singolo centro abitato.
Ognuna di questi gruppi di strade era attrezzata in modo diverso, svolgevano funzioni diverse e la loro manutenzione e costruzione era affidata a strutture politiche diverse.
L'insieme di tutti i manufatti e servizi che garantiscono la continuità del percorso e la sua percorribilità, è ciò che compone e definisce il sistema stradale. Un sistema stradale è rappresentato quindi da tutte le strutture che permettono che una via sia un mezzo di comunicazione veloce e sicuro. Le opere costruite presenti su un sistema stradale possono raggrupparsi in quattro categorie principali:
- pavimentazioni e massicciate stradali;
- strutture o opere d'arte che garantiscono la continuità del percorso (ponti, muri di sostegno e d'argine);
- strutture di servizio, principalmente luoghi di sosta, ma anche fucine per ferrare i cavalli, magazzini, punti acqua, etc.;
- le strutture di potere imponevano altre forme di controllo diretto o indiretto della viabilità, come sono le dogane, le porte, o i punti di riscossione dei pedaggi (Nota 19).
Interessante, anche se non particolarmente documentato, è il percorso romano tra Larino e Roma che ci presenta la possibilità di una percorrenza 'veloce' tra la zona adriatica del Molise e Roma senza fare i luoghi giri sulle grandi strade consolari. Cicerone nell'orazione Pro Cluentio descrive diverse vicende tra le quali c’è la tragica cronaca del viaggio di Sassia verso Roma (Nota 20), per assistere al processo dal quale si aspettava la condanna del figlio (Nota 21), viaggio che si svolse sempre di notte nella desolazione e nella solitudine, durante il quale Sassia, con empi riti, nocturna sacrificia (Cic., Cluent. 68, 194), cerca di attirare con preghiere agli inferi e formule misteriose, vota et preces (Cic., Cluent. 68, 194), l’ira degli dei sul figlio al solo scopo ottenerne la condanna (Nota 22) e che per questo viene costantemente respinta da ogni forma di consorzio umano (Nota 23).
Molti studiosi sostengono che gli itinerari dei pellegrinaggi maggiori (Gerusalemme, San Michele Arcangelo in Puglia, Roma, Santiago di Compostela, Canterbury, [ …] sono determinanti per la fondazione di santuari, monasteri, strade, ospizi, mercati.
Su queste molteplici strade si alimenta e si nutre la crescita culturale della nuova Europa che si ricostruisce nel medioevo.
Occasione di contatto e di dialogo tra persone provenienti da nazioni diverse, fu una fonte di apprendimento e di diffusione di culti e tradizioni fino ai luoghi più sperduti, si diede un contributo decisivo alla creazione di un linguaggio e di un quadro simbolico di riferimento che unificò la cultura europea.
Le ragioni di un potenziamento di un percorso lungo la penisola italiana furono diverse.
Nel V secolo sul promontorio del Gargano sorse il più antico e più famoso luogo di culto micaelico dell’occidente, il Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo. Molto presto questo Santuario divenne un luogo importante per la diffusione del culto micaelico in Europa e in Italia e rappresentò il modello ideale per tutti i santuari angelici successivi, che furono appunto eretti ad instar di quello garganico: le cime dei monti, i colli, i luoghi elevati, le grotte profonde furono dalle origini considerate come la sede più appropriata per il culto degli angeli e di Michele in particolare. Da questo periodo si apre la via del pellegrinaggio alla grotta angelica di San Michele sul Gargano. Sono da connettersi ai primi pellegrinaggi al Gargano la costruzione di due chiese, nelle diocesi di Larino e Potenza, che alcuni fedeli chiesero a papa Gelasio (492-496) che fossero consacrate all’Arcangelo. La testimonianza di queste due chiese edificate su terreni di proprietà privata, potrebbero essere l’indicatore della diffusione del culto micaelico in seguito ai primi pellegrinaggi al santuario garganico. In Europa molti pellegrini raggiungono il Gargano e si sviluppano in tutta Europa molti santuari legati all’arcangelo.
La Daunia interessata dal flusso dei pellegrini che percorrevano l’antica via Appia-Traiana in direzione degli imbarchi verso la Terra Santa, conobbe a partire dai secoli VIII e IX una nuova stagione di presenze provenienti da tutta Europa.
Secondo diversi studiosi la via Appia Traiana finì così per diventare nel corso del Medioevo una sorta di Cammino di San Michele, oltre che la via normalmente adoperata da chi voleva recarsi a Gerusalemme. Ma questa affermazione si fa solo tenendo conto delle pochissime relazioni scritte di alcuni pellegrini, senza tener conto che diversi non raggiungevano Roma e in molti casi i mercanti fiorentini per raggiungere il meridione d’Italia passavano da Aquila [e] arrivavano [a]i valichi dell’appennino centrale per raggiungere Napoli oppure la Puglia.
Sicuramente tra il centro e il sud Italia nel basso medioevo, prima attraverso un controllo statale e poi tramite “la dogana delle pecore”, si riuscì ad impostare una politica stradale di grande rilevanza destinata al miglioramento della qualità del sistema di comunicazione, e garantire la sicurezza dei viaggiatori e la percorribilità delle strade sia per lo spostamento stagionale delle greggi che dei commercianti e dei pellegrini.
La pastorizia di transumanza - portatrice di straordinarie conseguenze e valenze culturali e sociali - fu certamente l’attività economica che più di ogni altra ebbe bisogno della viabilità. Anzi la transumanza stessa fu costruttrice di strade-tratturi e permise, certamente più di ogni norma statutaria o disposizione magistrale, il mantenimento e la manutenzione materiale degli itinerari e delle strade. Inoltre, non si può immaginare - almeno per le terre abruzzesi, molisane e pugliesi - una pastorizia che non fosse transumante, atteso che il freddo e la neve erano - e sono - connaturati agli alpeggi e che potevano avere una funzione di pascolo e di ricovero per notevoli quantità di pastori e greggi solo nella stagione buona. Questo corridoio di percorsi non interessa solo la montagna abruzzese e la Puglia piana, ma interessa anche l’agro pontino, la Maremma e i territori umbri e marchigiani che davano ottimo pascolo nel periodo autunale e invernale.
Nell’alto medioevo esiste una notevole attività agro-pastorale e un popolamento nell’area dell’Appennino centrale e meridionale ed appare con sufficiente chiarezza la prevalenza della pastorizia ovina nella Capitanata rispetto alla specializzazione nelle produzioni agricole. D’altronde i dati archeologici, fin dalla fine dell’età neolitica, indicano sull’Appennino ed in rapporto anche con la Piana del Tavoliere, un naturale movimento di pastorizia d’altura transumante che non si interruppe neppure nelle fasi di abbandono o di forte crisi dell’alto medioevo. Anche il commercio del sale compare, nell’area di Salpi tra Siponto e Barletta, come attività importante sia in età romana che nell’alto medioevo e fu certamente - come non smise mai di essere - motivo di vasti traffici di sale dal mare verso la montagna e la pianura.
L’incremento dei pellegrini che percorrevano le contrade della Puglia settentrionale richiedeva oltre che il ripristino o il riadattamento degli antichi sistemi viari romani e antichi, non più curati dall’amministrazione imperiale e locale, in alcuni casi anche l’apertura di nuovi percorsi che facilitassero il cammino dei pellegrini. Si assiste così al progressivo sorgere, in sostituzione delle antiche mansiones e stationes, di una fitta rete di ricoveri assistenziali, spesso gestiti dagli ordini religiosi, 'esclusivamente o parzialmente destinata al servizio di quei pauperes che, per antonomasia, erano i pellegrini'. L’individuazione di tali strutture, organicamente inserite in un contesto geografico ben preciso, permette di conoscere con buona approssimazione i percorsi più frequentati dai viaggiatori del tempo. Le vie del pellegrinaggio potranno quindi essere individuate, oltre che sulla base degli Itinerari di viaggio pervenutici, anche grazie alla presenza della rete di ricoveri e luoghi di ospitalità, costruita appositamente sia per loro che per i commercianti e per i pastori transumanti.
L’identificazione di questi itinerari non esclude che per raggiungere la grotta garganica, esistessero, altri tragitti di cui, però, nei documenti non è stata stata ritrovata attestazione alcuna risalente all’epoca medievale.
Per assistere i numerosi pellegrini che, per i motivi più diversi, si muovono attraverso l'Europa, i monasteri allestiscono, con l'aiuto dei vari monarchi, una rete di xenodochi e ospitali che hanno il compito di dare assistenza ai poveri ed ai pellegrini.
Si realizzano ospizi di piccole dimensioni, talvolta fondati nella casa degli stessi conversi che donavano se stessi e il loro patrimonio alla chiesa, con mezzi limitati e con funzione prevalentemente assistenziale (Nota 31). In parallelo agli ospedali si sviluppò anche una rete d'ospitalità a pagamento per la crescita delle attività commerciali (Nota 32).
Generalmente, accanto alle chiese e ai monasteri vengono costruiti dei locali che hanno funzione di ricovero per i pellegrini diretti ai santuari. A tale proposito le fonti riportano all'inizio del pellegrinaggio cristiano la dizione xenodochium, che significa 'luogo di ricetto per forestieri'; successivamente si afferma il nuovo termine hospitium, le cui strutture servono a dare assistenza temporanea ai pellegrini, sia per quanto riguarda la loro salute che il loro sostentamento. Solo nel tardo Medioevo prendono il sopravvento la cura dei malati e il ricovero dei bambini abbandonati.
Secondo diversi autori, numerose fondazioni monastiche nel periodo longobardo e carolingio furono realizzate in rapporto con una politica stradale. Diversi autori hanno fatto notare come nell'alto medioevo fu la monarchia longobarda e franca a provvedere alla costruzione e manutenzione di una serie di monasteri e punti di sosta di carattere religioso, vincolati ai passi. Con frequenza questi luoghi di sosta si trovavano lungo le strade per i passi montani ma ad una certa distanza dai valichi. Con il favore dei re longobardi Agilulfo e Teodolinda, si fonda un monastero nel 614 a Bobbio, nell'Appennino piacentino, dopo che si ebbe la donazione di terreni con una vecchia chiesa a san Colombano, monaco irlandese (Nota 33). L’abbazia di San Moderanno a Berceto, sulla Cisa, viene fondata nell’VIII sec. dal re longobardo Liutprando, mentre il monastero di S. Benedetto di Montelungo (forse fondato da Leodgar), oltre la Cisa verso Pontremoli, è patrocinato da Adelchi, figlio del re longobardo Desiderio nel 772, che divennero capisaldo nel percorso della Via verso il centro e sud Italia, come avvenne nelle Alpi con le fondazioni di Novalesa nella vicinanza del passo di Moncenisio.
In terra di Capitanata e del Gargano le notizie prima dell’XI sec. sono scarse. Uno dei primi ospizi documentato sorto in Capitanata è quello fatto costruire a Monte Sant’Angelo nel 1098; Giovanni, abate de Curte, figlio di Guaimario di Salerno, chiese ad Enrico, conte di Monte Sant’Angelo, suo zio, unum locum extra urbem ut posset construere xenodochium pro amore Dei ad receptionem et misericordiam hospitum et peregrinorum'. Il conte Enrico, assecondandone la volontà, concesse 'terram cum cisternis et pertinentiis suis extra predictam civitatem quae est de subtus viam publicam quae pergit Sipontum ad costruendum et edificandum ibi xenodochium et ad congregandos homines ibi extraneos adventicios qui in pertinentiis predicti xenodochii manere vel ubicumque sub potestate eius habitare voluerint e una serie di privilegi, come la licentia dandi et offerendi' il diritto di asilo, il diritto di percepire il dazio sulle merci e il plateatico per l’occupazione del suolo da chi facesse 'mercatum aut negotium […] ante ipsum xenodochium', il diritto di amministrare la bassa giustizia e di comporre le liti che avvenivano nell’ambito della giurisdizione dell’ospizio. Con bolla del 9 gennaio 1100 Pasquale II approvò l’erezione dell’ospizio fatta da Giovanni de Curte extra portam civitatis subtus via publica que Sipontum pergit e sub regimine monasterii Montis Casini, precisando le imposte, dovute ex consuetudine alla Curia e quelle dovute all’ospizio, su tutte le donazioni e i proventi destinati pro susceptione et sustentatione […] peregrinorum ac pauperum'(Nota 34). Nello stesso periodo sorse un altro xenodochio in Monte Sant’Angelo (Nota 35).
Diversi autori sostengono che l’abazia di San Giovanni de Lama sul Gargano fu fondata dai Longobardi per essere un xenodochio per i pellegrini diretti alla grotta di San Michele (Nota 36).
Bisognerebbe finire di studiare la tendenza di diversi monasteri (Montecassino, San Vincenzo al Volturno, Santa Sofia, Cava dei Tirreni …) a monopolizzare il settore ospitaliero in zone importanti del Mezzogiorno, tra cui anche la Capitanata e il Gargano in particolare, dove il flusso dei pellegrini era tale da consentire un notevole sviluppo dell’indotto economico e l’accumulo di cospicue rendite.
La regina Ansa, moglie di Desiderio (756-774), da quanto si evince dall'epitaffio posto sulla sua tomba e scritto sicuramente da Paolo Diacono, ha fatto costruire, nell'ambito del santuario di San Michele sul Gargano, dei locali adibiti a ricovero dei pellegrini ampla tecta... postumque paravit (Nota 42).
Un altro ospizio è presente in territorio di Lucera presso San Giacomo, casale di Cava, nel 1203 (Nota 46). Un altro ospizio dedicato a San Matteo è attestato nel 1192 a Salpi (Nota 47). Inoltre, sulla stessa direttiva del santuario di San Michele 'iuxta stratam peregrinorum', dobbiamo ricordare il monastero di San Leonardo di Siponto, dove nel 1167 è ricordato un ospizio per i pellegrini 'cum ospitali domo' (Nota 48).
Il Muratori nelle sue opere diverse volte ritorna sulla ospitalità data ai poveri e ai pellegrini (Nota 49).
Tralasciando alcune testimonianze del culto di san Michele (Nota 50) bisogna ricordare che l'anno 590, essendo in Roma una forte pestilenza, papa san Gregorio Magno per placare “l'ira divina” fece una processione di penitenza, e nel passare per il ponte di San Pietro, oggi detto Sant’Angelo, narrasi che apparisse un angelo nella sommità del sepolcro di Adriano, Mole Adrianae, in atto di rimettere la spada nel fodero per annunziare la cessazione dalla mortalità. Questo fatto e l'apparizione di San Michele arcangelo sul monte Gargano nel secolo precedente, portarono Bonifacio IV ad edificare nel vertice della mole una chiesa ad onore di San Michele, che dall'essere posta in luogo elevato fu chiamata Sant’Angelo inter coelos, e Sant’Angelo inter nubes, ispirato al culto aereo degli angeli, San Pier Damiani lo chiama mons sancti angeli (Nota 51). È lunga dieci metri in forma di cripta, a ricordo della grotta garganica.
L’importanza nella diffusione del culto micaelico bisogna inquadrarlo anche nella predicazione e devozione micaelica che ebbero i monaci irlandesi. Il culto fu caro a San Colombano ed ai monaci colombaniani di Bobbio, lo stesso santo monaco missionario irlandese fondò numerose chiese dedicati all’arcangelo nella sua opera evangelizzatrice in Europa ed eresse nel 615 l'eremo di San Michele di Coli poco distante da Bobbio e dalla sua abbazia (Nota 56). Il prof. Magistretti egregiamente descrive l’importanza strategica dell’Abazia di Bobbio (Nota 57). San Colombano fonda, in Francia, i monasteri di Annegray, Luxeuil e Fontaine, per poi passare in Germania e Svizzera e nel 612 giungere a Milano e Pavia, nel 614 fonda a Bobbio un monastero con il favore dei re longobardi Agilulfo e Teodolinda. Dopo la morte di Colombano la tomba diviene luogo di venerazione anche da parte dei re longobardi che volevano promuoverne il culto. Il monastero di Bobbio, voluto dai re longobardi venne fondato in un luogo strategico (in Val Trebbia, ai piedi del monte Penice), sopra un'importante strada di comunicazione per i pellegrini che si muovevano dalla pianura padana (Tortona, Pavia, Milano) verso la Lunigiana (Lucca, Toscana e Roma) e da Piacenza, porto sul Po (grande via di comunicazione verso l'Adriatico), verso Genova ed il mare Ligure. I monaci di Bobbio, secondo alcuni studiosi, costituirono uno strumento di penetrazione dei re longobardi nelle terre limitrofe alle loro conquiste e i sovrani li favorirono in più occasioni. Il monastero di Bobbio, che ospiterà fino a 150 monaci, diventerà ben presto un importante e vitale centro di cultura sacra e profana, ricco di volumi, pergamene e codici, e dinamico propulsore di attività missionaria. Anche la scomparsa del regno longobardo ed il successivo subentrare dei re franchi non ebbe conseguenze negative per il Monastero, perché già il 5 giugno 774, a Pavia, contemporaneamente alla resa del re longobardo Desiderio, il nuovo re franco Carlo Magno donò l'Alpe Adra (il monte boscoso tra Casarza Ligure e il mare di Trigoso) ai monaci bobbiesi, che ne avevano fatto richiesta.
Esenzioni fiscali e immunità dai pubblici ufficiali furono poi concessi anche dal figlio Ludovico il Pio (Nota 58).
In questo scenario la via di san Michele è segnata anche dai pellegrini spagnoli, delle isole inglesi, della Francia e dalle zone germaniche. Nello scenario medioevale le grandi testimonianze di pellegrini arrivati sul Gargano nei primi anni dell’VIII sec. sono la venuta di monaci provenienti dalla Normandia ed inviati dal santo vescovo Aubert, il pellegrinaggio del conte Wolfand proveniente dall’antica Austrasia (una regione a nord della Francia, attualmente a[l] confine con il Belgio e la Germania).
Nell’ottobre del 708 al vescovo di Avranches in Normandia apparve in sogno l’arcangelo san Michele che gli ordinò di costruire una chiesa in suo onore sull’antico monte Tomba, in mezzo al mare (Nota 63). Dopo varie apparizioni si decide di intraprendere un viaggio al santuario garganico, per prelevare un pezzo di roccia, su cui fondare un nuovo santuario dedicato a S. Michel au péril de la mer. La nuova chiesa sorge identica a quella garganica (Nota 64), il resoconto del viaggio e delle apparizioni si ha nella Revelatio seu apparitio S. Michaelis Arcangeli in partibus occiduis, hac est in Monte Tumba in Gallia (Nota 65). Dalla relazione di quel viaggio risulta che gli inviati francesi sono ricevuti molto affabilmente dal clero garganico, presieduto da un Abate canonicorum. L'intero viaggio, di andata e ritorno, dura quasi un anno, e, specie al ritorno, i messi sono ossequiati e riveriti dalle popolazioni che li ospitano, a causa delle gloriose reliquie che essi trasportano. Si dice che durante il viaggio, là dove essi si fermano, si compiono dei veri e propri miracoli.
Nel 765 Magdalveo, vescovo di Verdun (Nota 70), fece un pellegrinaggio a Roma, dopo aver sostato a Roma, pernotta nel pellegrinaggio del santuario garganico, e quindi prende il mare per la Terrasanta (Nota 71).
Pardulfo, abate di Guéret in Francia, morto nel 737, secondo una vita scritta verso il 750, avrebbe distribuito, come reliquia dell’Arcangelo, polvere del suolo sul quale l'Arcangelo, apparendogli, aveva posato il piede (Nota 72).
Tra l’VIII e il IX secolo si attesta anche alcune iscrizioni di pellegrini provenienti dal regno dei Franchi. Tra questi ha una particolare importanza il monaco Bernardo, il quale raccontò il suo pellegrinaggio nell’Itinerarium Bernardi monachi Franci. Nell'867 ha inizio il noto viaggio del monaco Bernardo, il quale, nel suo Itinerarium fa un dettagliato racconto del suo pellegrinaggio dalla Francia alla Terra Santa. Il monaco Bernardo, dalla Francia, dopo aver visitato Roma, muove alla volta del Gargano, prima di imbarcarsi a Taranto alla volta della Terra Santa. Gli fanno compagnia un frate spagnolo, Teodemondo, e un altro del monastero di S. Innocenzo di Benevento, Stefano. Bernardo trova la Basilica in uno stato fiorentissimo ed è cordialmente accolto dall'Abate Benegnato, che è a capo del clero garganico. Nella sua cronaca di viaggio, Bernardo fa una descrizione del Santuario. Egli entra dall'ingresso situato a nord, e precisamente quello posto sotto l'olmo (successivamente murato in seguito alla costruzione angioina) e vede e descrive le due navate longobarde (delle quali quella di sinistra più ampia), scandite ai lati e al centro da tre archi a tutto sesto che poggiano sulle mensole di grossi pilastri.
Inoltre, l'autore parla di numerosi affreschi esistenti sulle pareti del santuario, forse gli stessi che sono stati trovati negli ultimi scavi (Nota 78).
Leggende simili a quella di Mont Saint Michel ci sono in diversi santuari o siti micaelici sulle coste della Manica sia nella zona inglese che su quella francese. Infatti anche per St. Michael’s Mount, quasi sull’estrema punta della Cornovaglia, si tramanda la leggenda che l’arcangelo Michele sia apparso (nel 495, pare) a un gruppo di pescatori, chiedendo loro di innalzare una chiesa, a onore del Salvatore e suo (Nota 83).
Nei primi trent’anni del IX secolo, il Vescovo galiziano d’Iria Flavia Teodomiro e il Re delle Asturie, Alfonso II detto il Casto, scoprirono in un bosco, ai bordi di una vecchia strada romana, la tomba dell’Apostolo. Nacque così Compostela e con lei i pellegrinaggi dedicati a san Giacomo e il Cammino di Santiago (Nota 84).
A partire dal X secolo viene costruita sul Monte Pirchiriano, in Val di Susa, la Sacra di San Michele, a metà strada tra Normandia e Gargano, considerato come il terzo grande luogo di culto dell’Angelo in occidente. Ed ecco delinearsi il percorso della Via che vede come tappe più importanti Mont Saint Michel in Normandia - Le Puy en Velay - Sacra di san Michele in Val di Susa - Roma - Monte Sant’Angelo sul Gargano. Secondo diversi studiosi l’itinerario si sviluppa generalmente su una via dei Longobardi poi detta Via Francigena da Mont Saint Michel a Roma, sull’Appia da Roma a Benevento, sulla Traiana da Benevento a Troia e da Troia a Monte Sant’Angelo sul Gargano sulla Via Francesca detta anche Strata peregrinorum o Strata Michaelica. Ma altri sostengono che da Roma per raggiungere il Gargano si usava la strada che i pastori transumanti usavano per raggiungere dalla campagna romana i pascoli abruzzesi e il tratto che i pastori abruzzesi usavano per raggiungere i pascoli pugliesi.