Intanto, sul finire del X secolo, all’imbocco della valle di Susa (Piemonte), sorgeva un altro santuario dedicato all’Angelo, noto come Sacra, il cui racconto di fondazione lo qualifica come terzo luogo scelto per sé dall’Angelo sulla terra, esattamente a mezza strada tra il Gargano e Mont Saint Michel. Tra questi tre luoghi di culto si è sviluppato, così, un pellegrinaggio micaelico in linea di oltre duemila chilometri, che possiamo definire come il Cammino dell’Angelo, perché, nel nome di S. Michele, attraversava buona parte dell’Europa occidentale e aveva spesso come meta finale la Terrasanta. I tanti pellegrinaggi al Gargano, il tentativo di riprodurre altrove il modello del santuario pugliese, i numerosi antroponimi di pellegrini provenienti da tutta Europa, la ricorrenza della tradizione cultuale garganica in martirologi e opere agiografiche altomedievali fanno del santuario di Monte Sant’Angelo un vero meeting point di pellegrini romani, bizantini e germanici e del culto micaelico un fenomeno di respiro europeo, un fenomeno che rappresenta emblematicamente la nuova visione della storia e della cultura dei secoli V-VIII, non più, o non solo, classicistica e romanocentrica, ma romanobarbarica ed europeista (Nota 203).
Nella forza della fede dei pellegrini nacque così la Via Sancti Michaelis, uno tra gli itinerari di pellegrinaggio più importanti per la devozione nell'antichità che è rimasto sempre percorso da diversi pellegrini che nei secoli hanno voluto intraprendere questo lungo viaggio. La Via Micaelita costituiva l'ossatura e il fulcro stesso di questi cammini, si poneva come la matrice fondante della stessa idea di 'viaggio' inteso come percorso di crescita, di evoluzione spirituale, di ricerca interiore. Si assiste alla proliferazione di santuari, chiese e grotte dedicate all'Arcangelo Michele, piccole chiese, come quella di Montesiepi nei pressi della più nota abbazia di San Galgano (SI) dove ancora oggi si conserva quella 'spada nella roccia' infissa dal Santo senese, oppure anche di edifici più elaborati come la chiesa di San Michele in Foro a Lucca, fino a veri e propri complessi abbaziali come la chiesa di Sant'Angelo in Formis presso Capua (LT), le grotte ed eremitaggi in moltissime località che conservano ancora un loro uso oppure sono un ricordo archeologico (Nota 204).
Nel regest[r]o di San Leonardo di Siponto nell’anno 1132 viene indicata una ‘strata peregrinorum’ in relazione ad una donazione fatta all’abazia di San Leonardo di una chiesa dedicata a san Michele da parte di Rogerius de Terlitio 'quae sita est in territorio dicte civitatis (Siponto) iuxta stratam peregrinorum' (Nota 205); mentre in un altro documento del 1201 viene citata come 'strata magna que pergit ad sanctum Michaelem' (Nota 206). La via per la Grotta dell'Angelo risulta menzionata, allo stato attuale della documentazione, sin dal 1043. In tale data venne rogato un atto di compravendita di un appezzamento di terra, sito lungo una 'via que pergit ad ipsa Grotta Sancti Angeli'. Alcuni anni dopo, nel testo di una donazione rogata a Devia nel marzo del 1054, viene menzionato un certo percorso 'per ipsam viam de grutta et ecclesia Sancti Michaelis archangeli' o, più semplicemente, 'in ipsa via Sancti Angeli'. Nei primi decenni del XIII sec. Nel Quaternus excadenciarum Capitinate di Federico II di Svevia (Nota 207) è ricordata la 'Via Sancti Angeli' in diverse occasioni: due volte a Castelluccio de Sauro; una volta a Tufaria; due volte a Civitate.
Il tracciato storicamente più attendibile, nel Centro Sud, della grande via di pellegrinaggio europea, la Via Micaelica, la prima, in ordine di tempo, e l’unica che ha come meta un Santuario del Sud, San Michele a Monte Sant’Angelo sul Gargano. Già a partire dal V-VI secolo il Santuario pugliese, come scrive sull’Osservatore Romano dell’11 settembre 2008 il prof. Otranto, era meta di pellegrinaggi di gente di ogni condizione ed estrazione sociale. Tra il VI e IX secolo il Santuario visse un periodo di particolare splendore, come attestato dalle iscrizioni (circa 200 incise o graffite nella parte più antica del complesso, tra cui almeno cinque in carattere runico). Durante il medioevo continuarono i pellegrinaggi provenienti da ogni parte d’Italia, ma anche longobardi, ispanici, franchi, inglesi e sassoni, i quali lasciarono i segni della propria presenza sui muri della grotta e trasformarono il pellegrinaggio al Gargano da fenomeno locale o italico in fenomeno di ampiezza e rilevanza europea. L’708 può essere considerata la data di apertura di una cosiddetta Via Micaelica come 'peregrinare a livello europeo', cioè quando sul Monte Tumba, in Normandia, viene fondato il santuario di 'Saint Michel au péril de la mèr', su reliquie fatte prelevare dal Gargano dal Vescovo Oberto e costruito 'ad instar Gargani' (Nota 208). I santuari micaelici, chiese-grotte simili a quella garganica, divennero molto diffusi in tutto il medioevo sia in Italia centromeridionale, ma anche nel resto d’Europa.
Si verificò una capillare diffusione di santuari micaelici ‘ad instar Gargani’, cioè sul modello di quello garganico, la cui custodia fu affidata a comunità di eremiti o di monaci. Il Gargano, al tempo di papa Gelasio I (492-496), divenne un santuario epifanico (Nota 209), da allora assurse a tale fama da divenire il santuario micaelico dell’Occidente e i fedeli vi ricorrevano invocando l’Arcangelo a diverso titolo: come medico, patrono delle acque curative, psicopompo, guerriero e angelo della pace (Nota 210). Si ricorreva all’Arcangelo per la terapia dello spirito e per quella del corpo, l’uso terapeutico dell’acqua e l’incubatio, erano in accordo con il pellegrinaggio ‘indulgenziato’ e che i relativi benefici spirituali si potessero applicare anche ai defunti per il suffragio delle loro anime.
I primi santuari ‘ad instar Gargani’ risalgono all’VIII secolo (Nota 212). A favorirne la diffusione fu inizialmente il legame singolare e duraturo tra il culto micaelico e i bizantini e gli altri popoli tra cui la dinastia longobarda (Nota 213). I primi importanti attestati di questi santuari ad instar (Nota 214) si hanno nell’Itinerarium Bernardi monachi dell’867 ma anche in precedenza con diverse grotte o chiese costruite a forma di cripta. A questi bisogna aggiungere gli interessanti studi sulle chiese altomedievali dedicate a San Michele costruite su sommità di monti come la chiesa di Mont-Saint-Michel au peril de la mer in Normandia (Nota 215), o realizzate su sommità spesso di forma circolare (Nota 216): Mausoleo di Adriano a Roma (Castel Sant'Angelo); Sant'Angelo a Perugia. risalente al V sec., la Cappella funeraria di San Michele a Fulda; Saint Michel d'Entraygues; Mont Saint Michel Curienne nella Savoia; Saint Michel de Mifaget; Saint Michel d'Aiguilhe; Saint Mihiel in Lorena; San Miguel de Liño; San Miguel de Aralar; San Miguel de Cuxa (Nota 217); Sacra di San Michele in Val di Susa. Alcuni autori vogliono vedere legato al culto di san Michele la Rotonda a Montesiepi presso l’Abbazia di San Galgano in Toscana.
Nei secoli X-XII questi santuari micaelici ‘ad instar Gargani’ divennero di ‘moda’.
Chiese-grotte, simili a quella garganica, anfratti o luoghi posti su di un’altura e in posizione strategica rispetto alla viabilità. Per diversi autori era necessario che nella scelta di questi luoghi di culto ci fossero almeno uno dei tre componenti ritenuti essenziali, la grotta, la cima di un monte e la ‘stilla’ come vera e propria sorgente d’acqua. Il nuovo santuario che si voleva dedicare all’Arcangelo, per partecipare della virtus garganica, possibilmente doveva essere dotato di una reliquia che consisteva in un frammento di roccia prelevata dalla grotta del Gargano e comunque doveva esser ad instar del santuario garganico. Alcuni di questi santuari micaelici, largamente diffusi nell’Italia centro-meridionale, furono di ambito regionale, altri di stretto ambito locale (Nota 218), ma santuari micaelici simili si trovano in tutte le regioni europee.
Agli inizi dell’ottavo secolo la grotta del santuario di san Michele sul Monte Gargano era conosciuto[a] in molte zone dell’Europa. Per questo motivo molti pellegrini raggiungevano in pellegrinaggio la montagna sacra del Gargano per pregare, per rendere omaggio al principe delle milizie celesti e per chiedere le pietre della grotta che costituivano particolari 'reliquie' o 'pignora' (Nota 219) per poter costruire un altare o una chiesa. Le pietre della montagna garganica venivano portate via con finalità devozionale e apotropaica pubblica ma, anche, come oggetto di culto privato. Secondo rituali antichi piccole pietre venivano inserite nella struttura muraria delle case o chiese in costruzione, una piccola pietra incisa veniva messa al collo dei neonati nell'abitino, oppure tra le fasce, ma anche come pendaglio di collanine per i bambini più grandi.
Moltissime sono le chiese che annoverano una pietra della grotta di Monte Sant’Angelo nelle loro mura di fondazione oppure tra le mura in elevazione. Oltre la già citata basilica di Mont-Saint Michel au péril de la mer in Normadia (Nota 220). L’usanza di mettere nelle fondazioni di una chiesa dedicata a san Michele una pietra della grotta garganica è molto antica, essendo stata regolata addirittura in una disposizione di papa Gregorio II (715-731). Ai segni 'pignora' lasciati dall’Arcangelo sul Gargano è legata la memoria anche della fondazione del santuario micaelico di vicino Verdun da parte del principe Wolfando agli inizi dell’VIII sec. e di San Ricario in Francia (Nota 221), di San Michele de Cuxa sui Pirenei orientali. Successivamente il culto micaelico si diffuse in altre nazioni: Spagna, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Inghilterra.
Queste reliquie non avevano valore taumaturgico ma costituivano il legame religiosamente prezioso con l’ambiente sacro da cui provenivano e inducevano alla preghiera e alla venerazione dell’arcangelo Michele. Dice Marcello Cavaglieri nel suo 'Pellegrino al Gargano' (1680): '[…] da che furono questi ruvidi sassi consegnati dal Santo Arcangelo e animati col motto UBI SAXA PANDUNTUR IBI PECCATA HOMINUM DIMITTUNTUR furono tenute in pregio quasi di sacre reliquie. Nel Flos Sanctorum in proposito si leggono nel Prologo le seguenti formali parole. Nel quinto Concilio Cartaginese, o come vogliono altri nel terzo, fu comandato con molto rigore, che si gettassero a terra gli Altari, dove non erano Reliquie di Martiri. E se alcuna volta sono stati edificati Altari di San Michele, fu portato in quel luogo dalla Terra della Grotta del Monte Gargano, ch’è in Puglia, Provincia d’Italia, dove il S. Arcangelo apparve e quella Terra si chiama per ordinario sua Reliquia […]'.
Interessante è il flusso di pellegrini umbri al Gargano sia personalmente che delegato, ampiamente informati dai Notarili umbri dove si deduce che si continuava a praticare l’iter magnum - il pellegrinaggio che, passando per Roma, aveva come meta il Gargano - ancora fra tre e quattrocento, quando altrove non era più di moda. Una delle ragioni per cui la venerazione per l’Arcangelo e il relativo pellegrinaggio garganico, rimasero fortemente radicati in alcune regioni dell’Italia centrale fu la transumanza, fenomeno che, fino all’età moderna, collegò Marche e Umbria con la Puglia, tramite l’Abruzzo e il Molise; e queste, sempre tramite l’Abruzzo e il Molise, con il Lazio Viterbese e Pontino (Nota 222).
E’ vero che questa consuetudine di delega riusciva utile per quanti non avevano la possibilità fisica e materiale per compiere un viaggio così arduo di far giungere la propria devozione al santo, ma è altrettanto vero che di essa si abusò e la figura del pellegrino per denaro rappresenta l’altra faccia dell’Europa cristiana, quella pronta a comprare e a vendere tutto, dalle cariche ecclesiastiche alle indulgenze, dalle reliquie ai pellegrinaggi. A questi vanno aggiunti i pellegrini testamentari: il testatore obbligava gli eredi a recarsi in pellegrinaggio o per far realizzare ad altri un proprio voto non mantenuto o per raccomandare la sua anima alla protezione del santo (Nota 223). In questa debole atmosfera religiosa, il Santuario di San Michele non diminuì d’interesse, ma accanto alla moltitudine d’umili pellegrini, la cui presenza è attestata da numerosi segni, simboli, scudi araldici e figurazioni graffiati, incisi e disegnati lungo le pareti della suggestiva scalinata angioina, le cronache del tempo registrano anche significativi esempi di pellegrinaggio per delega.
A pellegrini spagnoli diretti a Monte Sant’Angelo va, probabilmente, fatta risalire la fondazione, agli inizi del sec. XII, lungo una diramazione della via Appia-Traiana, del monastero di San Michele a Orsara (Fg), situata che ingloba una grotta, quasi certamente già sede di un culto micaelico.
La presenza di pellegrini da ogni parte d’Europa è attestata da fonti scritte medievali e da numerosi antroponimi di matrice germanica (gotici, franchi, alemanni, longobardi, angli e sassoni) tracciati sulle strutture murarie del santuario insieme a croci, segni, figure geometriche, simboli antichi e, in epoca più recente, impronte di mani e piedi.
Il flusso dei pellegrini al santuario garganico non si è mai arrestato nel tempo, anche se con alterna intensità, tanto che il frate tedesco, Felix Fabri, pellegrino in Terra santa nel 1483, paragona la santità del luogo consacrato dall’arcangelo nei pressi di Gerico (Gs 5,13-15), a quella dei luoghi micaelici più importanti del continente europeo: '[…] allo stesso modo in cui (San Michele) santificò il monte Gargano […] al quale accorrono uomini da paesi lontani […] (come) accorrono numerosi gli uomini in pellegrinaggio sino alle estreme terre d’Occidente, fino al mare della Bretagna al monte di San Michele'.
Questa via dei pellegrini diretti al santuario garganico rivestì un ruolo fondamentale nelle comunicazioni nord-sud fino all'età dei comuni; in seguito, la costituzione di nuovi assetti di potere e di nuove esigenze commerciali rese altrettanto utilizzati dai viaggiatori altri itinerari padani posti lungo gli assi est-ovest (da Venezia verso la Francia) e nordsud (utilizzando i valichi del Sempione, del Gottardo e del Brennero) e i valichi appenninici.
Le vie d'accesso erano particolarmente da nord, da dove affluivano i romei da tutti i paesi d'Europa. Le Alpi venivano valicate a occidente, e, per la via Francigena, i romei impiegavano dai valichi alpini a Roma circa 40 giorni a piedi, 15 giorni se facevano uso di cavalli, 20 giorni se venivano usate carrozze. Molteplici e spesso gravissime erano le difficoltà: strade in pessime condizioni, specialmente dopo le piogge, ponti asportati dalle piene dei fiumi, assalti di banditi e infine, ma non per questo meno importante, le epidemie che decimavano i pellegrini lungo il cammino. I pellegrini venivano da ogni parte del mondo: uomini e donne, sacerdoti e religiosi, povera gente ma anche re, principi e nobili.
L’apertura della Via Micaelica, come inizio del peregrinare a livello europeo' può essere datata al 708, quando sul Monte Tumba, in Normandia, viene fondato il Santuario di Saint Michel au péril de la mèr, su reliquie fatte prelevare dal Gargano dal Vescovo Oberto e costruito a sua imitazione. A partire dal X secolo viene costruita sul Monte Pirchiriano, in Val di Susa, la Sacra di San Michele, a metà strada tra Normandia e Gargano, come il terzo grande luogo di culto dell’Angelo in occidente. Ed ecco delinearsi il percorso della Via che vede come tappe più importanti Mont Saint Michel - Le Puy en Velay - Sacra di San Michele in Val di Susa - Roma - Benevento - Monte Sant’Angelo sul Gargano.
Successivamente le varie dinastie che si succedettero al potere in Italia meridionale si legarono per motivi diversi al santuario micaelico: Normanni, Svevi, Angioini.
Ma anche la Via del Campo delle stelle unisce lungo una retta ideale San Giacomo in Galizia, con Roma, il Gargano e infine Costantinopoli; queste direttrici divennero le vie della costruzione dell’Europa.
Da queste direttrici maggiori si sviluppano una serie di pellegrinaggi minori, spesso legati all'esistenza di reliquie di santi, leggende di apparizioni o acquisizione di indulgenze. Ma più che un percorso unico sembra una ragnatela di strade che hanno una direttrice: la strada della fede.
Al 765 deve datarsi la venuta dalla Francia al Gargano del vescovo di Verdun Magdalveo. Essenziale e scarna di dettagli è, però, la notizia del viaggio. Molto ricco di dettagli topografici e di informazioni è, invece, il pellegrinaggio che il monaco Bernardo effettuerà tra l’867 e l’870. Anche se non menziona tutte le tappe del viaggio appare evidente che egli segua la Via Appia-Traiana fino a Aecae, da dove si dirama l’antica strada per raggiungere il porto di Siponto e di lì affronta la salita sino al santuario micaelico. Dal Gargano a Bari Bernardo afferma di aver camminato per centocinquanta miglia. Probabilmente ripercorre a ritroso la medesima strada sino ad Aecae dove si reimmette sulla via Traiana percorrendola fino a Bari che a quel tempo era sotto i Saraceni. Ottenute dal Sultano di Bari le credenziali per il viaggio, dopo novanta miglia giunge a Taranto da dove si imbarca per Alessandria. Il pellegrinaggio, come si evince dal racconto di Bernardo, non conobbe soste neanche dopo l’incursione dei saraceni dell’869. Nonostante le depredazioni e le devastazioni del santuario micaelico si ripeterono nel 910 e nel 952, il pellegrinaggio non si arrestò. Vi giunsero pellegrini, tra il 940 e il 960, l’abate Oddone di Cluny e San Fantino, monaco calabrese, alla metà del X sec., l’abate Giovanni di Görz e Flodoardo di Reims che dedicò al culto micaelico un capitolo del XIV libro della sua opera De Christi triumphis apud Italiam. Nel 999 vi venne l’imperatore tedesco Ottone III, il suo successore Enrico II nel 1022, Papa Leone IX nel 1050. Tra il 1124 e il 1180 vennero in pellegrinaggio dalla Toscana gli abitanti di San Quirico e Popino da Poppi. Dalla stessa regione, sul finire del XII sec., vennero al santuario micaelico due pellegrine: santa Bona da Pisa e la beata Cristiana da Santa Croce sull’Arno. In quel periodo i monaci di Pulsano avevano diversi monasteri, maschili e femminili, in Emilia, Toscana, Liguri, Lazio e Abruzzo, oltre che in Puglia e Basilicata.
La fama del santuario continuò ad attirare folle di pellegrini anche dopo il Mille, quando, sulla ribalta politica dell’Italia meridionale, si affacciarono i Normanni, i quali percorsero più volte il Cammino dell’Angelo, che collegava la loro patria alla Puglia.
Secondo una tradizione risalente a Guglielmo Apulo, l’arrivo dei Normanni nell’Italia meridionale è collegato proprio ad un pellegrinaggio alla grotta dell’Arcangelo per sciogliere un voto (Nota 226).
Nella metà del XV sec. Gaugello Gaugelli di Pergola illustrando le bellezze dell’Italia, indica al pellegrino che voglia recarsi al Monte dell’Angelo due strade, la prima forse in barca che costeggia il promontorio garganico da Rodi a Peschici, da Vieste a Manfredonia per poi affrontare l’erta salita di cinque miglia. La seconda passa da Apricena e poi da San Giovanni Rotondo. Il tratto garganico viene percorso nel settembre del 1576 da padre Serafino Razzi che parte da Vasto 'per Santo Angelo e per San Niccolò a Bari'. Egli attraversa Termoli, l’abbazia di Ripalta, Lesina, Apricena, Stignano, San Marco in Lamis, San Matteo e San Giovanni Rotondo prima di giungere alla sera del 28 Settembre a Monte Sant’Angelo. Lo stesso percorso è minuziosamente attestato dai pellegrini della costa abruzzese. Nei rituali e nei racconti dei pellegrini molisani, abruzzesi e della Ciociaria di parla di un tragitto che segue i tratturi della transumanza che arrivano ad Apricena, oppure a Torremaggiore o a Lucera e dopo aver attraversato la pianura proseguire lungo la valle di Stignano e arrivare a San Marco in Lamis, San Matteo, San Giovanni Rotondo fino a Monte Sant’Angelo 'L’Italia meridionale costituiva già fin dall’Alto Medioevo un tramite fondamentale per i viaggiatori che dall’Europa occidentale e centrale scendevano alla volta di Costantinopoli e quindi, come pellegrini, di Gerusalemme; ma non si trattava certo dell’unica via a loro disposizione. Esisteva la possibilità di percorrere una strada terrestre e fluviale, attraverso la regione balcano-danubiana; oppure quella d’imbarcarsi per più o meno lunghi tratti, secondo la situazione meteorologica della stagione nella quale si decideva di viaggiare e il momento storico. Durante i secoli nei quali le incursioni corsare saracene ma anche normanne erano più frequenti, tra XI e X secolo, pochi mercanti occidentali solcavano i mari; e, quanto ai pellegrini, preferivano percorrere le vie di terra' (Nota 227).
Ci sono altre descrizioni di viaggi al Monte Gargano, le più importanti sono le narrazioni orali o di scarni rituali dei pellegrini che ci mettevano diversi giorni per raggiungere il santuario garganico.
Nella Chiusa longobarda di Val di Susa si sostiene che c’era una vecchia cappella dedicata a San Michele e solo a partire dal X secolo viene costruita sul Monte Pirchiriano, in Val di Susa, la Sacra di San Michele, a metà strada tra Normandia e Gargano, come il terzo grande luogo di culto dell’Angelo in occidente. Ed ecco delinearsi il percorso della Via che vede come tappe più importanti Mont Saint Michel - Chiesa di San Michele d’Aiguilhe a Le Puy en Velay - Sacra di san Michele in Val di Susa - Roma, Castel Sant’Angelo - Monte Sant’Angelo sul Gargano. Secondo diversi studiosi l’itinerario si sviluppa generalmente su una via dei Longobardi poi detta Via Francigena da Mont Saint Michel a Roma, sull’Appia da Roma a Benevento, sulla Traiana da Benevento a Troia e da Troia a Monte Sant’Angelo sul Gargano sulla Via Francesca detta anche Strata peregrinorum o Strata Michaelica. Ma altri sostengono che da Roma per raggiungere il Gargano si usava la strada che i pastori transumanti usavano per raggiungere dalla campagna romana a pascoli abruzzesi e il tratto che i pastori abruzzesi usavano per raggiungere i pascoli pugliesi Non è possibile escludere che i pellegrini, specialmente quelli viaggianti a piedi senza animali da soma o da carri, si muovessero anche per strade interne e alternative, quelle maggiormente segnate dalla brevità del percorso e dalla presenza di qualche santuario come erano i tanti tracciati locali utilizzati da pastori transumanti e da popolazioni locali.
Gli studiosi sostengono che la maggiore direttrice viaria che veniva utilizzata dai pellegrini viaggianti con animali da soma o con carri da Roma conduceva ai porti pugliesi per l’imbarco verso la Terrasanta sino al VII secolo rimaneva la via Appia, almeno sino a Capua (Nota 228) come lascia intendere il pellegrino di Burdigala (Bordeaux) nel suo Itinerarium, che richiama nell’insieme l’Itinerarium Antonini e la Tabula Peutingeriana, una specie di 'Guida' ad uso dei pellegrini cristiani diretti a Gerusalemme in un momento in cui - il IV secolo - il pellegrinaggio dall’Occidente verso i luoghi santi assunse rilevanti proporzioni. Tra IV e VI secolo si registra un flusso di pellegrini verso Gerusalemme e i Luoghi Santi. Un fenomeno che veniva giustificato, secondo Paolino da Nola, “ad cotidianam tutelam atque medicinam”, con il bisogno della protezione divina e la sete di miracoli, ma spesso era puro fanatismo, e per questo suscitò l’indignazione della Chiesa con i divieti teodosiani e le dure riflessioni di san Girolamo e san Gregorio Magno. L’epistola di Gregorio Magno, del febbraio 601, ricorda che l’itinerario per la Terrasanta più comune era quello che attraverso Roma, per la via Appia, conduceva ai porti pugliesi, ma si cominciavano a utilizzare anche strade alternative, come la Latina e la Traiana, per la presenza lungo il loro tracciato di importanti santuari e luoghi di ricovero.
L’Appia (Nota 229) e la Latina (Nota 230), infatti, erano ancora all’inizio del VII secolo le principali strade che da Roma conducevano ai porti del Mezzogiorno per l’Oriente attraverso Capua e Benevento. Da Benevento s’imboccava la direttrice Traiana che proseguiva sino ai porti pugliesi per navigare verso l’Oriente.
Il monaco islandese Nikulas Saemundarson, abate del monastero benedettino di Thingeyrar, durante il viaggio a Gerusalemme effettuato tra il 1151 e il 1154, annota puntualmente l’itinerario, le distanze, i tempi di percorrenza tra i luoghi di sosta e della via Appia trae forti suggestioni consegnate nell’espressione 'Opus hoc vere mirificum!'.
Le varianti di percorso della direttrice Traiana registrate nel diario di Nikulas Saemundarson sono confermate dall’itinerario di Filippo II Augusto del 1191, reduce dalla terza Crociata. Il sovrano francese, infatti, percorre la direttrice Traiana sino a Bari e, da qui, la via litoranea sino a Barletta, da dove, tramite un diverticolo, riprende la Traiana per San Lorenzo in Carminiano e Troia. Nelle annotazioni dell’itinerario del re di Francia, Filippo II Augusto, la viabilità pugliese e campana assume particolare rilievo tanto per il collegamento con le città portuali adriatiche e con il Settentrione, quanto per l’attraversamento di importanti centri episcopali nelle cui chiese si conservano le reliquie di santi e martiri.
Nel XIII secolo, il documento più importante sugli itinerari in Terrasanta è costituito dall’Iter de Londinio in Terram Sanctam di Matthew Paris, compilato nel 1253 a uso dei pellegrini diretti in Terrasanta via Roma. Il quadro viario del Mezzogiorno appare ancora incardinato sulla via Latina e sulla via Appia, tra Roma e Capua, e sulla direttrice Traiana che consente di raggiungere i porti pugliesi (Nota 231).
Interessante è uno studio di Moscati (Nota 232) su un possibile percorso seguito dai devoti dei territori di Salerno e dell’agro nocerino, per recarsi in pellegrinaggio al Santuario di San Michele sul promontorio del Gargano, in modo da congiungere il territorio salernitano con Benevento e il Gargano. La strada che congiungeva Salerno con Benevento e con l’Appia antica era la Via Antiqua Maior, che, seguendo il corso del fiume Irno, univa Salerno e Nocera con Montoro - Solofra e, attraverso i passi di Turci e della Castelluccia, con Serino e Avellino, da dove, seguendo la riva sinistra del fiume Sabato, giungeva fino a Benevento. Essa, più specificamente, congiungeva Salerno e Nocera con la località denominata S.Angelo ad Peregrinos, o, più semplicemente, Ad Peregrinos; l’attuale casale di San Michele di Serino (Nota 233), che costituì il limite estremo del Principato Longobardo di Salerno all’epoca della spartizione dell’originario Ducato Longobardo di Benevento in due Principati, nel 848 d. C. (Nota 234). L’alta valle del Sabato poteva essere raggiunta, dai pellegrini provenienti da Salerno e Nocera, anche attraverso il valico di Taverna dei pioppi ed era verosimilmente questa, perché più breve e facile, la via seguita dai pellegrini che si concentravano nella località che da essi prese il nome, Ad Peregrinos (Nota 235). In questa località denominata Sant’Angelo ad Peregrinos, per permettere il raduno e offrire un riparo ai pellegrini in attesa, sorse un Hospitale, un piccolo ospizio da cui i pellegrini proseguivano in gruppo e, superato il fiume Sabato attraversando un ponte di legno all’altezza dell’antica Via Corticelle, imboccavano l’antichissima via Sabbe Maioris, che, attraversando a mezza costa da Est a Ovest la montagna che sovrasta l’abitato di Santa Lucia di Serino, conduce prima alla Piana di Volturara e poi a Ponteromito e alla Puglia. Questa strada era antichissima essendo costruita sul tracciato di un preesistente tratturo sannitico, che, in epoca romana, fu denominato Sabbe Maioris e con questo nome viene indicato in documenti di epoca angioina, i quali così ne descrivono il percorso: 'Sabbe Maioris va da Serino fino al ponte di Nusco e dal ponte di Nusco fino a Ofido e Melfi'. (1272, Registri Angioini, vol. XIII, fol. 182). Questo percorso viene ancora meglio e più dettagliatamente precisato dal De Cunzo, che, dopo essersi soffermato sulle diverse vie che in antico arrivavano e partivano da Avellino, cita anche 'quella che passava da Serino, Piana del Dragone, Cassano, Ponteromito, Guardia e Bisaccia', collegando la città alla Valle dell’Ofanto. È esattamente il tracciato dell’antico tratturo sannitico, esistente e percorribile ancora oggi dai 'Serinesi', che, per la sua tipica posizione fisica, lo individuano col nome di 'Via della Mezza Costa' (Nota 236). La 'Via antiqua maior' e l'antico tratturo, poi denominato Sabbe maioris, erano i percorsi che seguivano i pellegrini, provenienti da Salerno e Nocera, per recarsi a Monte Sant’Angelo sul Gargano. Lo prova il fatto che lungo questa via, o in luoghi con essa collegati, abbondano le chiese e i santuari dedicati al culto dell’Arcangelo Michele e ciò anche perché "intorno alla pastorizia si organizzava la vita economica di intere comunità" e, perciò, "lungo tratturi, tratturelli e bracci passavano non soltanto uomini e greggi, ma si affermavano costumi di vita e si celebravano riti religiosi" (Nota 237).
Compiuta la sosta e il lavacro purificatorio, in S. Angelo ad Peregrinos, i pellegrini abbandonavano il territorio del Principato di Salerno, e, dopo aver superato il fiume Sabato attraversando un ponte di legno al termine di Via Corticelle, ponte in legno ancora esistente e funzionante negli anni trenta del secolo XX, entravano nel territorio del Ducato di Benevento, e, seguendo l’antico tratturo sannita, denominato Sabbe Maioris in epoca romana, giungevano nella piana di Volturara. Testimonianze del culto di S. Michele lungo il tratturo, oggi denominato Via della Mezza Costa, sono presenti anche in Santo Stefano del Sole, nel cui ambito territoriale, in posizione elevata e sovrastante l’abitato, esiste una località tuttora designata come “l’Angelo”; e a Volturara, ove c’è un vetusto santuario, situato accanto all’antico castello feudale su di un monte a 873 metri sul livello del mare, che costituisce il segno tangibile della devozione dei suoi abitanti all’Arcangelo Michele. Dopo avere attraversato la Piana del Dragone di Volturara i pellegrini del Gargano, seguendo il tracciato dell’antico tratturo, così come è stato delineato da Mario De Cunzo e Vega De Martini (Nota 238) raggiungevano Cassano, e, superato il fiume Calore a Ponteromito (il ponte di Nusco), imboccavano la variante romulea dell’Appia antica, per giungere a Torella dei Lombardi, S. Angelo dei Lombardi (Nota 239), Guardia dei Lombardi e, infine, a Bisaccia, (non lontana da Aquilonia, l’antica Romulea, da cui la variante prendeva nome) e da qui, dopo avere attraversato il Tavoliere, raggiungevano Monte Sant’Angelo e il Santuario che era la meta del loro pellegrinaggio.
Il primo, e forse anche il più importante dei luoghi di culto che sorsero lungo la via Antiqua maior e lungo l’antico tratturo sannita poi denominato Sabbe maioris, era situato nella stessa città di Salerno: il Monastero di San Michele Arcangelo. Lungo il percorso della Via Antiqua Maior, o in prossimità di essa, si incontrano diverse chiese e luoghi di culto dedicati all’Arcangelo. La devozione a San Michele nella diocesi di Salerno, fin da tempi antichissimi, è inoltre documentata non solo dalle chiese e dai conventi a Lui dedicati, ma anche dalla particolare e diffusissima forma che questa vi aveva assunto, la forma ingrottata, presente fin dai primordi in epoca e in terra bizantina.
Lungo il primo tratto del percorso della Via Antiqua Maior, quasi a sottolineare la sua funzione di via di pellegrinaggio al Gargano, oltre che di comunicazione, non v’è paese con essa collegato che non abbia, o non abbia avuto, almeno un luogo di culto dedicato a San Michele. La Via Antiqua Maior, superato il passo di Turci, scende alla piana di Serino, nell’Alta Valle del Sabato, da dove, seguendo la riva sinistra del fiume, prosegue fino a Benevento.
Molti studiosi sostengono che gli itinerari dei pellegrinaggi maggiori (Gerusalemme, Santiago di Compostela, Roma, Canterbury, San Michele Arcangelo in Puglia, […] sono determinanti per la fondazione di santuari, monasteri, strade, ospizi, mercati. Su queste molteplici strade si alimenta e si nutre la crescita culturale della nuova Europa che si ricostruisce nel medioevo. Occasione di contatto e di dialogo tra persone provenienti da tante nazioni diverse, fu una fonte di apprendimento e di diffusione di culti e tradizioni fino ai luoghi più sperduti, diede un contributo decisivo alla creazione di un linguaggio e di un quadro simbolico di riferimento che unificò la cultura europea. La via trasversale in direzione sud-nord in Europa diventa la spina dorsale del sistema viario dell’Europa occidentale come quando Giulio Cesare nel 58 a. C. aprì una 'Via del Sole', il più breve collegamento tra Roma e il mare del Nord. Secondo diversi studiosi il tracciato si sovrappone in parte a un’antica 'Via dello Stagno' che dalla Cornovaglia arrivava alla Svizzera e a Marsiglia sul Mediterraneo, nonché alla fitta rete europea delle strade consolari romane.
La storia delle vie naturali, ossia di quelle che non necessitavano di grandi opere artificiali come ponti, terrapieni, sbancamenti, inizia con le percorrenze di crinale, le più sicure perché lontane dai fondovalle paludosi, dai fiumi, dalle foreste, le più durevoli perché esposte al sole, le più funzionali perché tracciate a una quota tale da guardare a vista d’occhio le più lontane mete. Era sulle alture che si trovavano le vie più dirette e stabili, più sicure dagli agguati dei briganti e che evitavano i bordi acquitrinosi dei torrenti. Le strade di un tempo si adattavano naturalmente, cioè senza grandi artifici, all’orografia del territorio, era una rete stradale meno efficiente di quella attuale, ma egualmente diffusa e articolata.
Le tipologie stradali erano ridotte a due o tre e la mulattiera aveva, tra queste, una posizione di primato. Se in pianura le strade potevano essere lineari e ampie, ma spesso fangose perché prive di rivestimento, in collina e in montagna, cioè su quasi 2/3 della superficie territoriale della penisola, solo scabri sentieri e tortuose mulattiere univano città, paesi e villaggi.
Le antiche strade che collegavano le valli e il mare avevano una funzione prevalentemente commerciale ed erano utilizzate come direttrici di approvvigionamento delle materie prime verso i luoghi di lavorazione e consumo.
Noi cristiani e uomini del XXI secolo siamo fortunati perché chi ci ha preceduto in questi secoli ha voluto conservarci questa grotta senza 'arricchirla' di notevoli fronzoli.
Francesco d’Assisi venendo a questo santuario (Nota 243) si è reputato indegno di varcare l’ingresso di questa umile grotta-basilica perché ha visto che il Principe delle milizie celesti aveva scelto come sua 'reggia' un luogo più povero di quello di che doveva toccare a un arcangelo importante davanti a Dio.
Le fonti scritte o i segni e le immagini ci possono essere di grande aiuto nella definizione di quello che alcuni chiamano l’«immaginario del pellegrino» e della religiosità popolare in genere. Ma dobbiamo ricordare che sono fonti non direttamente prodotte dal popolo, che tende a trasmettere i propri valori e contenuti oralmente. La fonte scritta in molti casi è censoria, fa una cristallizzazione, di fossilizzazione dell’oralità di cui perde inesorabilmente non poche valenze ma spesso la edulcora se non in alcuni casi la travisa.
Non ci si vuole addentrare sull’attendibilità e sulla casistica di trattare le fonti scritte, bisogna ricordare che queste fonti, per la loro tipologia devono essere vagliate, interpretate e comparate con molta cautela e attenzione; tutti i risultati devono essere sempre considerati come provvisori e suscettibili di aggiustamenti e di ulteriori riscontri.
Se questo problema lo si vede nella logistica e nel percorso si accentua molto nelle strutture e i contenuti dell’immaginario del pellegrino popolare, ma anche nella sua sfera emozionale: le sensazioni e le emozioni provate lungo il pellegrinaggio e all’arrivo della meta devozionale. In questo settore di ricerca sarebbero particolarmente utili le fonti dirette, dal momento che le fonti letterarie colte ci forniscono solo pallidi indizi al riguardo. Purtroppo con la morte dei protagonisti sparisce una biblioteca di sensazioni e conoscenze. Sono stati utilissimi in questo ultimo secolo i quaderni con appunti ad uso dei pellegrini, i libretti devozionali, i ricordini, ma anche le registrazioni audio e video oltre che foto e interviste rilasciate dai protagonisti. Gli studiosi utilizzano anche fonti di archivio come relazioni canoniche, di viaggi, di polizia, […] i ritrovamenti archeologici di sepolture presso i luoghi di culto e di medagliette con le quali i pellegrini erano soliti adornare cappelli e abiti, gli ex-voto […] di particolare interesse sono inoltre i graffiti che i pellegrini erano soliti tracciare a memoria della loro presenza, […] le attestazioni sono moltissime e molteplici così ci possono aiutare a ricostruire la sensibilità e le modalità con cui era vissuta la loro esperienza di devoti camminatori nella ricerca del sacro.
Spesso era il pellegrino stesso che si costruiva il 'suo' pellegrinaggio e il 'suo' rituale.
Il pellegrino spesso era "l’eremita errante" che cercava di scoprire come raggiungere la felicità della fede.
Il pellegrinaggio in gruppo si faceva e si fa per essere una compagnia, un ordine, una congrega, un aiuto reciproco per crescere insieme.
Il pellegrino voleva conquistare il suo santuario e portarsi il ricordo di questo stancoso e penoso viaggio. Spesso era il pellegrino che nei momenti di riposo del cammino si realizzava il suo ricordo, s’intagliava il suo bastone, s’intrecciava la paglia, incideva il metallo, scriveva il suo diario… Ma spesso voleva lasciare un suo segno tangibile al santuario con un’iscrizione, un ex-voto, con una pietra, con un po’ di denaro … non sempre poteva fare tutto da solo va detto che non sempre si può parlare di manufatti di mano dai pellegrini spesso erano altri che aiutavano o facevano per lui: a San Michele del Gargano vi erano artigiani che eseguivano queste incisioni dietro compenso, per cui disponevano sicuramente di modelli compositivi precostituiti.
Al compimento del pellegrinaggio garganico ritiravano l’attestato di aver fatto tutte le devozioni per le indulgenze e una piccola breccia della grotta. Quasi tutti si dovevano ricordare di un piccolo ricordo da portare ai bambini e alcuni oggetti che erano stati richiesti da chi non era potuto andare in pellegrinaggio. Il pellegrino moderno raccoglie un fiore che fa seccare nel libro di preghiere, scatta delle foto, fa un filmato, raccoglie un sasso levigato e vi scrive sopra il nome e la data e lo conserva per ricordo, compra una cartolina o un souvenir […].
Il pellegrinaggio fa vivere all'uomo la propria esistenza come un cammino verso la morte per la salvezza, un cammino dalla nascita alla morte dove ognuno vive l'homo viator, per questo deve usare dei simboli per potersi esprimere meglio.
I segni della memoria sono i simboli che i pellegrini si riportano dai luoghi santi.
La Via dell'Angelo
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