Di un furto di documenti negli archivi della Camera del deputati.
Io accenno al furto scandaloso dei documenti relativi all'inchiesta delle strade ferrate meridionali. Quando questa inchiesta fu compiuta nel 1864, non si disse in pubblico tutto quello che era, perché anche gli onorevoli sanno che non conviene dir talvolta intera la verità, ed a tempo ed a luogo ricorrono essi pure alle tornate segrete.
Bisogna però che negli archivi della Camera si trovasse qualche cosa di serio e di prezioso, giacché di tratto in tratto vi erano onorevoli che andavano a domandare le carte dell'inchiesta sulle Meridionali. Ma chi le aveva in custodia stava cogli occhi ben aperti, e notava coloro che richiedevano quelle carte, ed esigevano la restituzione. Di tal guisa per quattro anni restarono sempre al loro posto.
Il dottore Giovanni Lanza, presidente della Camera, si mise le mani nei capelli, ed ordinò che si rendesse conto di quei documenti.
Ne fu chiesta notizia al deputato A, e non ne sapeva nulla. Si interrogò il deputato B, e nulla. Così di mano in mano i principali deputati alla loro volta s'interpellarono, e tutti si stringevano nelle spalle.
Allora il Lanza, disperato, ricorse al Procuratore del Re, e gli disse: - Negli archivi della Camera, archivi segretissimi, fu commesso un furto di carte importanti. Da tre giorni io cerco il ladro e non lo trovo. Venite a vedere se voi foste più fortunato, e potreste rinvenirlo.
E il Procuratore del Re andò negli uffici della Camera a fare un'inchiesta fiscale coi relativi verbali ed interrogatori. Qualche deputato si scandalizzò di vedere i cercatori di ladri compiere il loro ufficio nell'aula legislativa, e ne mosse querela in pubblica tornata.
Ma il presidente Lanza rispose raccontando per filo e per segno l'avvenuto, e notificando alla nazione italiana il furto delle carte avvenuto negli archivi. A quella notizia tutti si tacquero, ed il silenzio dura ancora oggidì.
Siccome gli stracci van sempre all'aria, così qualche giornale gettò il sospetto su di un povero impiegato inferiore, ch'era innocentissimo, e l'innocenza sua non tardò a risplendere agli occhi dei giudici.
I quali ormai sembra che disperino di rinvenire o le carte o il ladrone. E me ne duole l'anima, giacché un simile furto dà materia ai maligni di perfidi discorsi. Essi pretendono che in quelle carte ci fossero di gravi rivelazioni, se no, dicono, non sarebbero state sottratte con tanta arte e con tanto studio.
Io confesso di non essere molto versato nelle storie parlamentari, ma non so che in altri Parlamenti sia mai successo un caso di questa specie, laonde il Regno d'Italia potrà avere il primato in simili furti.
Raccomando però al presidente della Camera di stare bene sugli avvisi, se no un giorno o l'altro gli rubano il campanello, ed anche il cappello, ed allora, come farà a governare le dispute, e, in momenti di gran rumore, a coprirsi la testa e sospendere le sedute?
La Camera dei deputati di Firenze era sorta sotto una stella veramente ladra, e, come vi ho raccontato più sopra nel capo 7, pag. 90, quello stesso architetto che la disegnò e l'apparecchiò venne scoperto come ladro, condannato alla prigione, ed oggidì vi sconta ancora una parte della sua pena.
Dico una parte, giacché ottenne il favore dell'amnistia accordata con reale decreto del 31 gennaio 1867. E chi sa che il signor Carlo Falconieri, uscito presto dalla prigione, non venga incaricato di preparare per i deputati italiani l'aula del Campidoglio!