Per quanto ovvio, un postulato ci pare d'obbligo, suffragato da una documentazione ampia e concorde riguardante la cospicua presenza benedettina nella Daunia e con la legittima induzione che a tale fenomeno non poteva essere assente una eguale vitalità nella valle dello Starale, e ciò sempre anteriormente al Mille.
L'intera area dauna si può dire ricoperta dalla presenza benedettina con una fitta trama di badie, grande o colonie e prepositare. I grandi monasteri benedettini di Montecassino, di S. Sofia di Benevento, di S. Vincenzo al Volturno, di S. Clemente di Casauria, della S.S. Trinità di Cava, con altri, già al sopraggiungere dei Normanni ‘fungevano - almeno nel Gargano - da veri e propri rappresentanti degli interessi delle varie comunità nel territorio delle quali possedevano i beni e ai cui singoli mèmbri questi beni erano di solito affidati in coltivazione’ (Nota 44).
Per i monasteri più importanti compiamo un rapido sguardo badando esclusivamente alle date. Montecassino è già presente a Lesina nel 788 (Grimoaldo III gli offri l'intera pescheria); al tempo dell'abate Giovanni I (914-934) è presente (con vertenza per diritti su una pescheria) sul fiume Lauro con S. Vincenzo al Volturno. A Lucera la chiesa di S. Giacomo quale cella cassinese esisteva già ai tempi dell'abate Bassacio (838-856); inoltre l'abate Angelario (883-889) concede a livello alcuni beni al vescovo di Lucera, Adelchi. Nell'858 il monastero di S. Martino in Pensilis fu donato a Montecassino. Ad Ascoli la prepositura cassinese di S. Benedetto è attestata sin dagli ultimi decenni del secolo IX. Infine, la pescheria di Varano è offerta a Montecassino fin dal secolo IX; mentre la prepositura delle isole Tremiti è posseduta dai cassinesi fino alla metà del secolo IX.
Questi i possedimenti di S. Vincenzo al Volturno: risale all'800 una pescheria a Lesina, con un pascolo donato nell'845 da un certo Griperto Marepais; li troviamo inoltre insediati con chiese, pertinenze e un castellum lungo il lago di Lesina e i fiumicelli Sagri (torrente Scarafone) e Caldoli, tra i secoli IX e X. Dal Chronicon Vulturnense si apprende che altri privilegi si richiamano a concessioni dei re Desiderio e Carlo Magno. Infine, i benedettini volturnensi li troviamo a Lucera sin dall'800. A Siponto un certo Radeprand ‘lasciò in proprietà al monastero nell'800, una sua Curtis (che si trovava in finibus Sipontine civitatis) ed altri beni; ad essa si aggiunse nel luglio 812 la donazione di Maione, figlio di Agemondo, il quale offri all'abate Giosuè i suoi beni in Siponto, mobili e immobili, e - a certe condizioni - quelli delle sue figlie; tra i servi, cita in particolare il fanciullo Lauteri, Palumbo e Altino pescatori cum ipso are in Sipontu, et cum aqua de mare ad sippie prindendum, specificandosi altrove che con le seppie si pescavano altri pesci, pro refectione monachorum. La pescheria di S. Vincenzo al Volturno confinava con quella di S. Sofia e, con le altre proprietà, fu probabilmente inclusa nell'ambito della cella di S. Vincenzo in Siponto, attestata in una conferma pontificia del 1104’ (Nota 45).
A parte i monasteri garganici di Pulsano, di Montesacro, di Càlena e di altri minori, sarebbe da spiegare l'avarizia e l'assoluto silenzio delle fonti o di accenni riguardanti la badia di S. Giovanni in Lamis nelle cronache cassinesi, come in quelle beneventane, vulturnensi e casauriensi. In merito, una causa potrebbe rinvenirsi nell'autonomia del monastero di San Giovanni in Lamis e quindi ai più rari rapporti, di interessi e di vertenze, come invece avveniva tra i grossi monasteri anzidetti per i loro possedimenti in Capitanata. Secondo Cimaglia però ‘la badia di S. Giovanni in Lamis non molto antica nel nostro Regno, fu lungo tempo misera, e di poca importanza; né di lei alcuna memoria si f'ece nelle antiche cronache degli illustri monasteri. Ma nel secolo undecimo cambiò intieramente il suo stato; perocché per la generosa pietà de' Sovrani del Regno ricca e doviziosa talmente divenne, che fu poi da' Pontefici decorata colle insigni prerogative, concedute solo a' monasterj più illustri’ (Nota 46). Ciò spiegherebbe la scarsa attenzione posta dagli studiosi e dagli organizzatori della mostra sugli ‘Insediamenti Benedettini in Puglia’ del novembre 1980 a Bari e altrove. (Alle vertenze di S. Giovanni in Lamis con S. Sofia di Benevento, per possedimenti e confini nel Tavoliere, e con Cava, per diritti di pesca nel pantano di S. Egidio, si è già accennato a suo tempo, ma sempre posteriori al Mille).
In attesa di altri documenti che potranno venire alla luce, non possiamo certo pretendere di dare un giudizio definitivo. Inoltre, tutti gli insediamenti garganici, isolati in zone montagnose, sono da ritenere periferici rispetto ai nuclei urbani disposti lungo linee di maggior traffico. Come si è già accennato, è da rilevare infine che la vasta rete testimoniante la presenza benedettina estesa a tutto il territorio dauno e l'alacre attività dei figli di S. Benedetto, fervidamente condotta nel campo culturale, politico, sociale ed economico, con prevalenza agricola sul Gargano, non potevano non investire e rendere partecipi e protagonisti i monaci di San Giovanni in Lamis per quanto accadeva in Capitanata dalI'VIII all'XI secolo; e tutto questo prima della conferma di ogni carta rogata.
Dopo questo sguardo a ritroso sui tempi longobardi e benedettini, con qualche cenno integrativo a quelli precedenti, toccherà trarre una conclusione riassuntiva, sia pure con l'inevitabilità del rischio che ogni ipotesi comporta, ma procedendo con cautela induttiva su basi meno incerte e più fondate con la ricostruzione di frammenti sicuri come quelli su riportati. Si ribadisce che ci si attiene a una metodologia comparativa che inquadri gli elementi informativi riguardanti la storia della badia in quella complessiva della Daunia.
Si indicheranno inoltre, sia pure al limite, estremi cronologici meno vaghi o inesatti.
La chiostra di colline, posta a sfondo e protezione della rupe su cui sorge il santuario, suggerisce la predestinazione di questo luogo alla sacralità, al relativo culto e, insieme, a un sicuro rifugio in tempi oscuri e burrascosi.
Non è da escludere la presenza di un sacello, con la lunga esistenza di un culto pagano e romano. Questa persistente paganità nella campagna meridionale va oltre il VI secolo. La propagazione del cristianesimo non era stata né completa, né totale (fino alI'VIII secolo perduravano clamorose feste pagane che scandalizzavano nella stessa Roma i visitatori genuinamente cristiani). Significativo uno degli episodi attribuiti a San Benedetto, quando il monaco, giunto sulla cima del Monte Cassino, vi trovò un tempio del dio Apollo, per quanto sembra, ancora in funzione, sicché dovette distruggerlo per impiantarvi il suo monastero. ‘È vero che non si parla di reazioni contrarie da parte dei rustici, ma è anche vero che la cosa non viene considerata da Gregorio Magno inconsueta, straordinaria, ma perfettamente normale’ (Nota 47).
Il ruscello o torrente che, nascendo alle falde del Celano, sfociava nel Candelaro, si è ormai quasi essiccato: a prova della originaria vitalità permane l'alimentazione di pozzi d'acqua sorgiva lungo il suo percorso. Ma non si sono essiccate la memoria e la durevole toponimia che ci aiuta a decifrare questo oscuro codice delle origini: il nome di Giano è tuttora presente lungo l'antico percorso del torrente attraverso le due valli, dello Starale e di Stignano, fino all'ampia porta occidentale del Gargano nei pressi del Candelaro.
La presenza longobarda e quella mediata e successiva benedettina sono da porre tra questi due estremi cronologici che vanno dal longobardo Grimoaldo, duca di Benevento al franco Ludovico II, re d'Italia e poi imperatore, e cioè dal 650 all'874-75 data della morte di Ludovico II a Brescia (non a Milano come scrivono Giuliani ed altri cronisti).
Si indica la data del 650, riferita alla vittoria di Grimoaldo sui Bizantini nei pressi del santuario di S. Michele. La conquista della Daunia da parte dei Longobardi fu non certo rapida. Lucera, data la sua importanza strategica, fu conquistata tra la fine del VI e l'inizio del VII secolo. Quanto al Gargano, ancora nel 641, i Longobardi si trovano di fronte a Bizantini e Slavi. Questi ultimi, nel 642, in un'imboscata nei pressi di Siponto, uccidono Aione, figlio di Arechi duca di Benevento. Inoltre, della vittoria nel 650 sui Bizantini, riportata da Grimoaldo, si è già detto; e non è il caso qui di discutere sulla fede ariana o cattolica professata da Grimoaldo e tantomeno ritornare sulla vexata quaestio del saccheggio avvenuto intorno a tale data, compiuto dai Longobardi, come molti opinano, o dai Bizantini, come altri sostengono, e forse anche dagli stessi Slavi che ebbero in breve dominio il Gargano. Varie le supposizioni a volte di ispirazione ideologica, confuse le vicende accadute ad opera di popoli diversi e ancora più le date, nonostante il molto inchiostro versato da eruditi e studiosi (Nota 49). Quel che rimane certo, nonostante l'uso politico della vittoria, Grimoaldo solo dopo il 650 dichiara S. Michele protettore dei Longobardi.
Senonché Leccisotti non si occupa che delle colonie cassinesi e, pertanto, trascura purtroppo di parlare della nostra badia in quanto autonoma (Nota 52); tuttavia ammette che a Monte S. Angelo, già dal 708 (si sottolinea la data) doveva esserci una badia autonoma, quindi non dipendente da Montecassino come opina Mabillon (Nota 53). Va anche precisato che la presenza cassinese in Capitanata nel 788 a Lesina è invece preceduta da oltre mezzo secolo da quella beneventana: si è già accennato alla ‘precoce esistenza’ dei Benedettini di S. Sofia presso il fiume Lauro nell'agro di San-Nicandro Garganico, con una donazione fatta da Romualdo II a Zaccaria, Paolo e Deusdedit nel 718, che ‘sembra riguardare S. Sofia ad ponticellum (altro monastero beneventano) piuttosto che Montecassino’, come si cercò di accreditare con posteriori interpolazioni (Nota 54). Nonostante il rapporto di dipendenza da Montecassino il monastero di S. Sofia era presente in Puglia già alle soglie del secolo VIII: tale precedenza si spiega con la residenza dei Benedettini in Benevento, sede del potente ducato longobardo; e quindi con la possibilità di più intensi e diretti rapporti reciproci.
Infine, per la nostra badia non è dato purtroppo precisare la data della trasformazione dell'ospizio longobardo in monastero benedettino ma è lecito supporre che la sua fortuna e i ‘tempi più propizi’, quale premessa alla florida potenza della badia, siano stati appunto quelli di Ludovico II, sia per storiche ragioni oggettive, sia per l'impulso personale impresso da questo sovrano.
L'apice della minaccia saracena fu raggiunto alla fine dell'869: questi capeggiati da Mofareg-ibn-Salem tolsero ai Franchi di Ludovico in uno dei suoi infelici scontri ‘più di due mila cavalli, e con questi andarono alla Chiesa di S. Michele nel Monte Gargano, e le diedero il sacco, con far anche prigioni tutti que' Chierici, e molti altri iti colà per lor divozione’ (Nota 55).
Ma la svolta storica si ebbe il 2 febbraio 871 quando finalmente Ludovico II scacciò da Bari i Saraceni, ai quali però rimaneva ancora la roccaforte di Taranto. È di quest'anno, secondo il Muratori, dissentendo da Mabillon che l'anticipa all'866, la fondazione, su terreni precedentemente acquistati, ‘del celebre Monistero Benedettino di Casauria ordinata dall'Imperatore Ludovico in rendimento di grazie a Dio, che l'avea liberato dal gravissimo pericolo incorso in Benevento’ (Nota 56).
Pertanto, è tutt'altro che un'ipotesi collocare nel predetto periodo la gestazione, la nascita e il fervido sviluppo per un secolo e mezzo della badia di S. Giovanni in Lamis: il 1007, con la carta da loro rogata, il protospatario e catapano Alessio Xiphias e l'abate Alessandro non fanno altro che riconoscere e convalidare possedimenti e diritti acquisiti del monastero ormai prestigioso, avviatesi al suo definitivo consolidamento, con ulteriori incrementi quale potente e ‘insigne’ baronia che per la sua estensione era una delle più vaste del territorio pugliese, tra il Gargano occidentale e l'alto Tavoliere.
Presenza benedettina in Capitanata
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