III. Origini di S. Marco in Lamis: da sparuto casale a operosa Università.
Nei successivi lunghi tempi, in vero secolari, nel lento ma progressivo acquisto di nuovi diritti, alla pragmatica consuetudine del riconoscimento orale si sostituisce, dopo insistenti ‘suppliche’, la pressante richiesta della sanzione scritta allo strumento notarile, alla copia epigrafica incisa su pagine lapidee; e tutto ciò per un richiamo costante a riconoscimento di diritti già acquisiti e soprattutto alla loro tutela contro le esosità e i soprusi degli ufficiali regi e badiali.
Nel Quattrocento abbiamo un'arida serie di abati commendatari non ancora ravvivata da più copiose notizie delle fonti per un racconto sia pure esilmente tessuto. Si può solo rilevare la loro discendenza da insigni casati, meno il primo di cui si sa solo il nome: Antonio, 1435; Card. Nicola Fortiguerra, 1467, vescovo di Teano; Card. Oliviero Carafa, arcivescovo di Napoli, 1474. L'ovvio interesse per la riscossione delle rendite era però congiunto alla sistematica assenza dalla badia e al disinteresse per la vita spirituale del convento.
Nel Cinquecento, dopo Ferdinando Colonna del clero di Roma, 1515, con i Farnese (il futuro papa Paolo III, tra il 1532 o 33 e il successore nipote Alessandro, 1534), e poi con il card. Antonio Sanseverino, 1535, siamo al limite di un potere feudale assoluto.
Certo a scanso di futuri disconoscimenti ed eventuali angherie, il documento è stato per nostra fortuna meritamente consacrato da una riproduzione su lastra di pietra, tuttora esistente nel palazzo badiale: è stata una benemerita previdenza, fortunatamente, per nostra memoria (Nota 39).
Agli uomini dell'università sono riconosciuti questi diritti e benefici, siccome anticamente è stato solito et osservato et al presente si osserva: libertà di pascolare, spigolare, abbeverare, legnare nell'intero feudo; salari retribuiti; uso di propri forni e centimoli (mulino di casa spinto con una stanga); un ceppo natalizio per ogni focolare domestico; riconoscimento da parte dei funzionari nei rapporti di immunità, communità e unione con i paesi finitimi; la grazia di un giorno di franco per un embrionale mercatino settimanale in beneficio et utile di detti poveri vassalli.
Si tratta comunque di concessioni elargite o, piuttosto, strappate da minacciose agitazioni e proteste, dalla classe popolare contro le vessazioni di affittuari, governanti e ufficiali degli stessi Carafa. I quali invero in ogni caso calcolavano e dosavano il peso di un loro tornaconto, come faranno nelle concessioni fatte allo stesso parente Mormile, alla classe abbiente che si andava affermando con occupazioni di terre e sempre escludendo l'indifesa classe popolare del contado e del casale.
Eguale avaro calcolo useranno verso i frati minori, tutelando le proprie rendite nel concedere l'uso del convento e il culto del santuario.
Tuttavia, con la consolidata protezione giuridica, l'università acquista una più decisa autonomia amministrativa ed economica e gli uomini della comunità più saldamente associata affermano una propria dignità morale e sociale, che prelude a quella politica, per via della espressa protesta contro gli stessi ufficiali regi e baronali; denunziando, inoltre, indirettamente il pericolo costituito da quelli che ponevano steccati, confini e limiti alla libertà di movimento e di vita nell'ambito del territorio badiale.
Il Gargano è legato all'Europa e riecheggia senza ritardi quanto avviene nella lontana Inghilterra. I terreni vengono recintati, ci si batte per i diritti di pascolo ed abbeveratoio che prima erano patrimonio comune, ma soprattutto dei membri delle classi popolari. In tal modo questi riuscivano ad integrare i magri salari ricavati dal lavoro di braccianti o pastori, da cui non avrebbero certo tratto i mezzi per mantenersi e mantenere le loro famiglie. Ora ne vengono scacciati; non possono più condurvi il maiale o la capretta per incrementare i guadagni e riuscire a sopravvivere (Nota 40).
Saranno questi fermenti di vitalità popolare con l'impetuosa crescita demografica dell'università premessa e base della futura città di S. Marco in Lamis.
Ma quale che sia stato il particulare comportamento venale dei Carafa, rimane loro una duplice benemerenza storica: il sancito riconoscimento degli usi civici agli abitanti dell'università di S. Marco in Lamis, compiuta dai primi due Vincenzo Carafa, 1559, e la cessione del convento ai frati minori nel 1578. A seguito di tale gesto si deve anche registrare che gli abati pongono la loro residenza al centro della borgata, in quel palazzo badiale (il Trono), come per tradizione usa dire, per indicare la sede del Comune.