XI. I ‘nefandi delitti’ dell'abate Giovanni da Ponza.
Il discusso operato dei due, presunto o reale, ha comunque inciso notevolmente sulle sorti della badia, affrettandone l'inevitabile fine. Nel triste epilogo si assiste alla paradossale concorrenza di papi e antipapi. Una frettolosa liquidazione, quasi una vendita all'asta da parte di Clemente VII, che ricorda quella disinvolta del decano Mattiotto nel 1307 e si aggancia a quella del 1318, ordinata da Giovanni XXII col suo programma revisionistico e che si concluse con il mortificante istituto degli abati commendatarii.
A Matteo di Barisciano, divenuto abate di Casanova, già dimorante nel monastero di San Bartolomeo di Carpineto più che a San Giovanni in Lamis, succede il 24 gennaio 1364 (d. 90) Giovanni da Ponza della diocesi di Gaeta. Urbano V, da Avignone, nel darne come al solito comunicazione al convento, ai vassalli, allo stesso Matteo di Barisciano e alla regina Giovanna (dd. 91-94), lo presenta quale persona positivamente produttiva, come già il suo predecessore (dd. 84-90) e lo raccomanda alla loro protezione. Ma poi il papa, allarmato dalle informazioni fornitegli da alcuni monaci scappati dal convento di San Giovanni in Lamis e recatisi in udienza a Viterbo, il 1 ottobre 1367 (d. 95) ordina all'abate del monastero di Santa Maria di Casanova di rimuovere dalla carica Giovanni da Ponza e di sostituirlo con persona idonea.
Quanto il fondamento di vero di questo cumulo obbrobrioso di accuse e quanta la fervida fantasia di quei monaci recatisi a Viterbo, cosi accanitisi contro l'abate, non c'è dato verificare. Non sappiamo se l'imputato sia stato chiamato in giudizio per dire le sue ragioni a difesa e a discolpa. Né si vorrebbe pensare che data l'enormità dei delitti attribuitigli, il pontefice abbia agito emotivamente solo sulla base delle informazioni fornitegli dai frati ricorsi a lui in Viterbo. Ci sfugge la documentazione della controparte.
Vero è, però, che Urbano V intima all'abate di Casanova di rimuovere sollecitamente Giovanni da Ponza, appena ascoltati i monaci di S. Giovanni: ‘Nuper ad audientiam apostolatus nostris dilectis filiis conventu monasterii Sancti Iohannis in Lamis...’. Tanto il 1 ottobre da Viterbo; ma il 20 novembre 1367 da Roma (d. 96) su insistenza del papa, Guglielmo cardinale vescovo di Sabina e Arnaldo arcivescovo di Auch, camerario del papa e del sacro collegio dei cardinali, intimano all'abate di Casanova di provvedere, entro il termine di trenta giorni, sotto pena di scomunica, alla nomina di un altro abate idoneo per il monastero di S. Giovanni in Lamis.
È comunque da riflettere: possibile che un tale abate sia divenuto un mostro di delitti in poco più di tre anni; che egli avesse una concubina figlia e una nipote: si tratta di tre generazioni non riducibili ai minimi termini di tre anni; e, pertanto, non è pensabile che la Sede apostolica fosse fino a tal punto disinformata. Anzi, nella lettera di nomina del gennaio 1364, questo Giovanni da Ponza è ritenuto ‘personam utilem et etiam fructuosam cum nostris fratribus diligenter’ il papa si rivolge esplicitamente all'abate dichiarando: ‘consideratis multiplicium virtutum meritis’, ‘quibus omnibus attenta meditatione pensatis de persona tua ... providemus teque illi preficimus in abbatem’.
In tale capovolgimento di situazione in un arco di tempo cosi ristretto, i presunti o reali crimini di Giovanni da Ponza, se proprio non nascondono ben altro, inducono il pensiero a oscillare tra la condanna e la semplice sospensione del giudizio.
XII. Contraddizioni ed atteggiamenti della Curia avignonese.
Annullata l'unione-incorporazione nel 1320 con la sentenza di Guglielmo di Balaeto, era lecito aspettarsi una netta scissione di rapporti tra le due badie; ma non fu propriamente cosi. Il 28 maggio 1327 da Avignone (d. 66), rivolgendosi a Raimondo vescovo di Montecassino, Giovanni XXII scrive: ‘Il monastero di San Giovanni non a quello di Casanova ma all'ordine cistercense fu unito, come si dice apparire evidente da lettere apostoliche’; è da notare la nebulosità della locuzione latina: ‘sicut ... apparere dicitur evidenter’, che nasconde una situazione di fatto ben diversa da quella disposta da Guglielmo di Balaeto; alla quale, cosi smentendosi, si richiama precedentemente lo stesso papa nell'ordinare a Leonardo arcivescovo di Siponto il sequestro dei beni: ‘Dudum dilectus filius magister Guillelmus de Balaeto ... monasterium Sancti Iohannis in Lamis ordinis sancti Benedicti monasterio Casenove ordinis Cisterciensis Sipontine ac Pennensis diocesium minus canonice, ut dicebatur, unitum super hoc prius auctoritate nostra cognita veritate ad ius et proprietatem. Ecclesie romane per diffinitivam sententiam, ut idem magister Guillelmus asserit exigente iustitia revocavit’ (22 settembre 1321, d. 64).
Nell'affidargli la commenda (7 giugno 1327) il papa cosi saluta l'arcivescovo sipontino: ‘Venerabili fratri Matteo ... administratori in spiritualibus et temporalibus monasterii Sancti Iohannis in Lamis Cistercensis, dudum sancti Benedicti ordinum, Sypontine diocesis, salutem’ (è una formula ripetuta nei dd. 68-70).
Con lo stesso Giovanni XXII (14 giugno 1328) spunta questa espressione sconcertante, come di uno scemato di memoria che non ricordi i precedenti giuridici: alla morte dell'abate Matteo ‘il monastero ritorni a quello di S. Maria di Casanova, se ad esso era mai stato unito, oppure a coloro ai quali spetta di diritto’ (d. 71).
La stessa furmula, ormai rituale, ribatte Clemente VI il 25 maggio 1342 nel nominare abate Guglielmo cardinale dei Quattro Santi Coronati.
Tuttavia non si trattava forse di un modo qualsiasi di far cacciare le castagne dal fuoco a una terza persona: ci doveva essere qualche cosa d'altro che a noi sfugge. Ma tutto questo comportamento pendolare ed esclusivo fa supporre la pressione convergente di altri motivi o interessi.
Dopo la rimozione di Giovanni da Ponza con l'ingiunzione dei due prelati, il cardinale Guglielmo e l'arcivescovo Arnaldo, non si sa chi sia stato realmente designato dall'abate Matteo di Casanova.
Da Villeneuve, il 3 settembre 1371 (d. 97), Gregorio XI ordina all'arcivescovo di Siponto, Filippo Elvio, al vescovo di Troia, Nicola e all'abate del monastero di S. Maria di Ripalta di offrire la loro protezione ad Antonio abate di S. Giovanni in Lamis contro coloro che occupavano indebitamente i beni del monastero. Non c'è dato però supporre se questo abate sia quello stesso Antonio di S. Marco in Lamis, tenuto in prigione da Giovanni da Ponza e poi riscattato da alcuni suoi confratelli. Venti giorni dopo sempre da Villeneuve (d. 98), il papa concede, non si sa per quali specifici ma gravissimi motivi, ad Antonio ‘abbati monasterii Sancti Iohannis in Lamis ordinis Cistercensis’ la facoltà di ricevere dal proprio confessore l'assoluzione plenaria una sola volta ‘in articulo mortis’.
Nefandi delitti
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