La copertina del libro di Michele Ceddia "Come eravamo".
La copertina del libro di Michele Ceddia "Come eravamo".
In questo volume sono raccolti gli appunti che Michele Ceddia conservava per preparare brevi articoli destinati al giornale locale Qualesammarco sui mestieri scomparsi di San Marco in Lamis e su aspetti della vita sociale e civile del nostro comune. In qualche caso, però, si tratta della riproposizione, con lievi modifiche, di articoli già pubblicati.
Negli ultimi anni, egli si era dedicato con particolare passione alla registrazione di nomi di utensili, strumenti, ambienti, pratiche di mestieri scomparsi, servendosi di quei pochi informatori rimasti, in grado di fornire notizie dirette e di prima mano. Alle note sui mestieri ha aggiunto, poi, quanto affiorava dai suoi ricordi circa personaggi, abitudini, comportamenti caratteristici della nostra cittadina.
Egli ha svolto, quindi, un lavoro prezioso, che però non ha potuto portare a termine. Un lavoro che merita la pubblicazione per diverse ragioni: innanzitutto la fatica di Michele Ceddia è utile strumento per quanti vorranno dedicarsi allo studio e all'approfondimento degli stessi argomenti; inoltre, la sua è una testimonianza appassionata sulle trasformazioni che la società meridionale, e non solo di San Marco, ha subito nella seconda metà del secolo appena trascorso.
Ma, chi era Michele Ceddia?
Nasce a San Marco in Lamis il 16 aprile 1919 e come tanti della sua generazione, dopo aver appreso il mestiere di cavamonte, si trasferisce al Nord, precisamente a Cinisello Balsamo, dove lavorerà in fabbrica come operaio metalmeccanico.
Sin da giovane è molto attivo nelle organizzazioni sindacali e politiche della sinistra ed è coinvolto nei drammatici avvenimenti che segnarono la lotta politica del secondo dopoguerra, quando la lotta antifascista assume ancora toni aspri per le ferite aperte da ven­ti anni di dittatura.
Il lavoro di fabbrica rafforza le sue convinzioni di comunista, persino intransigente. Infatti, la cifra del suo impegno politico è stata sempre quella dell'onestà e della coerenza, tanto da vivere con estremo disagio la trasformazione del partito comunista, dopo la caduta del muro di Berlino: non aderirà mai né al nuovo partito né a quanto rimase del vecchio.
Dopo il pensionamento, nel 1979, è rientrato a San Marco e si è dedicato particolarmente ai problemi e all'organizzazione dei pensionati e, sicuramente, a lui si deve la spinta maggiore per la costruzione del centro polivalente per anziani: lo ricordiamo bene alle costole degli amministratori e nei viaggi per conoscere esperienze consolidate nel campo dei servizi sociali.
Le sue azioni, le sue frequentazioni erano sempre improntate alla lealtà e al massimo rispetto; sapeva, soprattutto, affermare le sue convinzioni con spirito costruttivo e di concretezza, senza mai tentazioni demagogiche ed inutili ostentazioni di "purezza rivoluzionaria".
In altre parole, Michele Ceddia aveva uno spiccato senso morale, che poneva al vertice dei valori la giustizia sociale e l'emancipazione dei lavoratori, dei quali non condivideva il piagnisteo, l'autocommiserazione o l'opportunismo quando questi si facevano corrompere o tentare dal clientelismo o dall'assistenzialismo: per lui i diritti erano frutto e conquista di lotta intelligente e tenace, di orgoglio e difesa della propria dignità, di emancipazione appunto.Questi tratti della sua personalità li troviamo anche in questa ricerca sui mestieri. A lui interessa soprattutto mettere in evidenza che il ricordo del passato, benché possa indurci a melanconia o a facili atteggiamenti da laudator temporis, deve farci riflettere e che, senza pregiudizi, bisogna apprezzare ugualmente quanto di buono c'è nel presente e quanto di altrettanto buono vi era un tempo. Egli narra senza rimpianti, soprattutto quando si riferisce alle dure condizioni di vita e di lavoro; anzi, saluta con soddisfazione il progresso che ha comunque migliorato quelle condizioni. Tuttavia, non dimentica né sottovaluta il prezzo che, in termini di rapporti umani, il progresso ha richiesto.
Così egli si compiace dello sforzo di tanti artigiani per far vivere la banda paesana, ma sembra non condividere molto il vizio di bere di tanti lavoratori, anche se ne comprende le ragioni. Allo stesso modo, apprezza la schiettezza e la genuinità del mondo contadino ma non riesce a trattenere la sua soddisfazione per la fine di un certo paternalismo, per una maggiore attenzione alla procreazione responsabile.
Raffaele Fino
Giuseppe Soccio
Nota di redazione
Nella pubblicazione è stato rispettato il testo così come lo ha lasciato l'autore. I curatori sono intervenuti solo per eliminare ripetizioni e per rendere scorrevole qualche passaggio poco elaborato. La trascrizione dei termini dialettali è fedele a quella che ne ha fatto l'autore.
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