Scrivere sui mestieri del passato non è sempre facile, anzi. Si va incontro a molte difficoltà prevalentemente in rapporto ai ricordi non sempre a portata di... memoria dell'informatore. I ricordi, con il passare degli anni, diventano labili, sfumati, inafferrabili e se non sono sufficientemente suffragati da prove, si rischia di cadere in un calderone di chiacchiere. Quindi prove. E per le prove ci rivolgiamo all'amico Tobia Ciavarella, della bella età di 97 anni, che lavorava, insieme al padre, nelle fornaci, per la produzione de li pince tegole, coppi), che attualmente sono prodotti in grande quantità, grazie alla meccanizzazione del lavoro.
Possiamo supporre, senza tema di essere smentiti, che a Sammarco, un tempo ci deve essere stata una notevole attività per la produzione di coppi. E questo lo possiamo affermare dopo essere venuti in possesso di uno stralcio di manifesto di pregevole valore storico, fornitoci cortesemente dal preside Tommaso Nardella, che così recita:
L'Amministrazione diocesana di Foggia fa noto che devesi procedere all'affitto de' seguenti fondi rustici della Regia Badia di San Marco in Lamis, siti in quel tenimento, di natura parte boscosa, parte erbifera e parte coltivatoria, cioe Difesa San Matteo della estensione di ettari 654 compresa una fornace per tegole e due conserve per acqua. |
Foggia il 9 del 1861
Visto | |
Il Procuratore del Re Marchese D'Auliso | Antonio canonico Romito Vice presidente |
Canonico Carlo Maria Rotondi Canonico Michele Petrosillo |
Il documento sta a dimostrare che, se nel 1861 esisteva una fornace con riserve d'acqua, l'attività della produzione di tegole doveva risalire a molto tempo prima. Inoltre, il toponimo 'Pinciara', nei pressi di San Matteo verso la 'Fajarama', deve avere a che fare con questa attività.
Di quei lavoratori, ovviamente, non c'è rimasto più nessuno, ad eccezione dell'ultimo superstite, che è appunto Tobia, che possiamo vedere tutti i giorni sui viali arzillo e sempre pronto alla battuta spiritosa e per nulla intenzionato a 'lasciare il campo'.
Ci dice Tobia che una fornace per la cottura di coppi, mattoni e mattonelle era fatta con mattoni crudi, poiché quelli cotti si sarebbero spaccati. La costruzione era alta circa quattro metri ed aveva un diametro di due metri e mezzo; all'interno si alzavano delle colonnine (archi) sulle quali poggiava la volta. In tutto lo spazio libero entravano circa quattromila coppi, parte dei quali potevano essere sostituiti da mattoni.
Per fare li pince occorreva una creta speciale, che veniva raccolta e polverizzata a mano, dopo un'accurata cernita per separarla dal pietrisco. Poi si bagnava e, dopo aver aggiunto una buona dose di sterco di cavallo per farla 'lievitare', si impastava: man mano che il calpestio aumentava, la creta 'cresceva', proprio come avviene con la pasta di farina. Quando era arrivata al punto giusto, si modellava a seconda dell'uso che s'intendeva fare.
Prima di essere messa nella forma, la creta veniva tagliata a porzioni regolari corrispondenti ai coppi. Tolti dalla forma, i coppi venivano portati su una specie di aia ad asciugare e, solo quando erano diventati solidi e trasportabili, venivano sistemati nella fornace. La cottura avveniva a fuoco non troppo intenso ma continuo per dodici ore. Solo dopo ventiquattr'ore dalla fine della cottura, veniva aperta la vocca (una porticina) e si scaricavano i coppi, pronti per eventuali acquirenti.
A questa operazione prendevano parte almeno quattro adulti e un ragazzo, lu scapele.
A proposito di acquirenti, Tobia, involontariamente, mi ha fatto il nome, o meglio il soprannome, di uno di questi. Era un cliente assiduo e redditizio per la mole di lavoro che svolgeva: si chiamava Michele Mastantonio, un muratore ricercato a quei tempi, che lavorava insieme ai suoi tre figli, uno dei quali era mio padre.
La fornace veniva sfruttata sino al limite delle sue possibilità e poi veniva abbandonata.