
Allora la concorrenza era vivace e bisognava sempre mantenere i prezzi non molto alti. Per fare ciò era necessario aumentare il ritmo di lavoro. La mattina bisognava attaccare subito a lavorare e la sera continuare fino a tardi, al lume di candela, con luce a petrolio, o meglio, ad acetilene. La concorrenza poteva essere battuta con un ritmo più incalzante e con un maggior numero di operai rappresentati il più delle volte dai figli maschi. Falegnamerie c'erano in ogni angolo del paese: sul corso principale e su quello secondario, in strade di passaggio e in strade secondarie. Le botteghe dei falegnami erano ben accettate dai vicini per il semplice fatto che non facevano molto rumore, né emanavano cattivi odori. Si sentiva l'odore del legno lavorato, che non era sgradevole. Soprattutto era ed è rimasto un lavoro pulito.
Ogni gruppo di falegnami cercava in tutti i modi di migliorare il proprio lavoro, di renderlo più bello e forte e a volte inventava delle modifiche da apportare ad un pezzo che lasciava meravigliato chi l'osservava, ma che, in ultima analisi, accorciava i tempi di lavorazione e permetteva di starci dentro con il guadagno a lavoro finito.
In tutte le botteghe, specie in quelle di un certo rilievo, c'erano dei banchi di lavoro lunghi, larghi e pesanti ai cui fianchi non mancavano le morse per poter stringere e tenere ben fermo il legno da lavorare.
In passato quasi tutti i mobili di una famiglia erano costruiti nelle falegnamerie locali. Si costruivano armadi, comò, sedie, tavoli e tutto ciò che poteva servire in casa, con un lavoro di scalpello, che, spesso, lasciava stupefatti quanti osservavano il falegname al lavoro. Infatti, spesso, molti di questi mobili avevano parti scolpite. Ciò sta a dimostrare che si lavorava per guadagnare e per vivere della propria attività, ma nell'attività ci si metteva anche l'anima per fare un lavoro bello oltre che ben fatto.
La bottega del falegname era sempre ingombra e disordinata. Almeno così appariva agli incompetenti. Il pavimento era sempre ricoperto di segatura e trucioli di diversa grandezza e dimensione, a seconda del legno, del pezzo e della pialla. Alle pareti erano appoggiate travi, travicelli e arnesi attaccati ai chiodi: seghe, trapani a mano, morsette e via dicendo.
Nei lavori meno importanti entravano in scenali li descepele (gli apprendisti) i quali avevano il ruolo di aiutare l'artigiano. Erano loro che facevano i lavori più pesanti e meno appariscenti. I falegnami non avrebbero potuto fare a meno di quei ragazzi che intendevano imparare e continuare quel mestiere. Certo, i ragazzi, se volevano apprendere, per prima cosa dovevano essere svegli e seguire le varie fasi di un lavoro e quindi stare attenti "a rubare" il mestiere, altrimenti l'apprendistato sarebbe durato un'eternità.

Nella società di un tempo, su tutto dominava la povertà, che accompagnava l'uomo dalla nascita, quando non trovava panni soffici e caldi per coprirlo, alla morte quando gli costruivano la bara con legno scadente, magari ricavato da vecchie casse le cui tavole sottili e consumate, in gergo, venivano chiamate scorrettone.
Il falegname di un tempo non aveva niente a che vedere con quello di oggi, aiutato nel lavoro da seghe elettriche, pialle elettriche, cacciaviti elettrici e via di seguito. Ora tutto è elettrificato. Nelle falegnamerie non c'è più l'illuminazione a petrolio, a candela, oppure ad acetilene, che veniva caricata prima di sera: e, allora si smetteva, quando la lampada si spegneva.
L'intarsio era un lavoro molto impegnativo. Non era facile, né semplice. Bisognava essere esperti e bravi, oltre che appassionati. Un lavoro ben fatto e ben rifinito era apprezzato dal cliente e dava soddisfazione all'artigiano.
Tra i falegnami c'erano anche quanti facevano incisioni e bassorilievi. Ma qui si entra in un altro campo.
Il falegname
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