I cercatori di funghi
Un tempo accanto agli artigiani e a chi andava a giornata c'era un'altra categoria di "lavoratori", caratterizzati da una estrema libertà. Erano, infatti, liberi da tutto e da tutti. Non si vedevano mai in giro per il paese vestiti a festa. Erano sempre impegnati, tutti i giorni. Erano quelli che raccoglievano i prodotti spontanei della terra.
Li fugnare uscivano di casa la mattina, di buonora, e non rientravano prima di avere il tascapane o la bisaccia piena dei prodotti che erano andati a cercare per la campagna e che, poi, la moglie, nel primo pomeriggio, andava a vendere al mercato. Ad ogni stagione dell'anno sapevano in quale zona recarsi e che cosa cercare. Per esempio, in certi mesi dell'anno, ci sono i funghi sia lungo la Pedegarganica che nel bosco.
Andavano in giro per la campagna a cercare li cecuriune, verdura spontanea, molto apprezzata per fare lu panecotte.
Sotto le feste pasquali rifornivano il mercato di carducce (piccoli cardi) e asparagi, che si cucinano con le uova.
Conoscevano a menadito tutte le vie e i sentieri che conducevano nelle diverse contrade. Sapevano, inoltre, leggere il cielo: bastava che di notte si alzassero dal letto e dessero uno sguardo alle stelle oppure all'orizzonte e sapevano dire, in linea di massima, il tempo per le prossime dieci, quindici ore e comportarsi di conseguenza. Quando alla sera tornavano, non riportavano mai il tascapane vuoto. Potevano portare un giorno di più e un altro di meno, ma non tornavano mai a mani vuote.
Tutti portavano con sé un cane capace, di notte, di cacciare i ricci, la cui carne, si dice, è tanto buona. D'inverno andavano a scavare li lampasciune (cipollacci selvatici che si cuocevano nella brace e, spellati, venivano conditi con olio, sale e aceto). In altri periodi dell'anno portavano le lumache (ciammariche e ciammarechedde).
Rifornivano, insomma, il mercato di tutto quanto la terra produceva spontaneamente. Raccoglievano origano e menta che vendevano a mazzetti.
Questi lavoratori venivano chiamati fugnare a Sammarco. A Foggia, invece, venivano chiamati terrazzane e andavano in giro per le vie del Tavoliere con i carretti, tirati da cavalli ben addestrati. All'occorrenza dovevano, infatti, saper correre, perché non sempre i terrazzani girovagavano per la campagna e si mantenevano nella legalità. I nostri, invece, non avevano niente a che vedere con i colleghi foggiani. Erano gente seria e onesta.
Per fare questo mestiere bisognava avere gambe buone per camminare. Quando la mattina uscivano di casa non andavano mica a prendere il pullman. Partivano a piedi e, attraverso monti e valli, raggiungevano le zone dove operare. Giunti sul posto iniziavano a camminare in cerca di funghi, cicorie, lumache, olive, mandorle, castagne e, ancora, uva, grano tra le stoppie, a seconda della stagione e della zona. Il loro era un lavoro che si basava soprattutto sulla capacità di camminare. Camminavano tutto il giorno e, quando credevano di aver raccolto abbastanza per il guadagno della giornata, smettevano, riordinavano la roba e si rimettevano in cammino per ritornare a Sammarco.
La sera, dopo una cena frugale a base di pancotto e di qualche pezzo di formaggio, uscivano per recarsi immancabilmente in qualche cantina, dove incontravano gli amici con cui facevano qualche partita a tressette e bevevano in santa pace qualche bicchiere divino. La tappa alla cantina non era mai messa in discussione. Nessuno poteva toccargliela. Era un vero e proprio rito e, in quanto tale, doveva essere rispettato.
Quando arrivava l'autunno e iniziava la raccolta delle olive, essi seguivano a distanza i raccoglitori e tra i rovi e le erbacce riuscivano a trovare tante di quelle olive che prima di sera la loro bisaccia si riempiva. A volte la bisaccia era tanto pesante che era una vera fatica percorrere a piedi quindici, venti chilometri con quel carico sulle spalle. Arrivavano sudati e stanchi. Ma, cocciuti, continuavano ancora nei giorni successivi a raccogliere olive, sino al termine della stagione. Così era per le castagne, le noci, li lampasciune; la stessa cosa succedeva quando si mieteva il grano, con la spigolatura. Ad essi era permesso di entrare nella pezza, tra le stoppie, in cerca di spighe cadute dai covoni, solo quando questi erano stati tutti portati via alla volta della masseria, vicino alla trebbiatrice. Spiga dopo spiga, da mane a sera, tra le stoppie, sotto il sole cocente, inzuppati di sudore, fino a fare il pieno.
Con gli anni, lentamente, giorno dopo giorno, anche a Sammarco si cominciò ad avvertire un certo benessere economico e le condizioni di vita cominciarono a cambiare in meglio. Ultimamente anche l'artigiano, il professionista, l'impiegato hanno scoperto il piacere di girare per la campagna in cerca di quei prodotti che un tempo erano l'esclusiva dei fugnare.
Quando tutto questo è cominciato ad accadere, i più vecchi, ormai privi dell'energia e della forza necessaria, "andarono in pensione”. I più giovani hanno preferito la via dell'emigrazione in Germania o altrove. E così dei vecchi fugnare è rimasto solo qualcuno.
Quel cane sciolto, che non aveva né padrone né caposquadra sul lavoro, libero da tutto e da tutti, mai sicuro del domani, ma pur sempre fiducioso nella propria sorte, non esiste più. È proprio il caso di dire: c'era una volta...