Lu mulenare

Foto di mugnai del Mulino Labella del 1906 a San Marco in Lamis.
Foto di mugnai del Mulino Labella del 1906 a San Marco in Lamis.
Nei decenni passati in Sammarco c'erano diversi mulini: in via Sant'Antonio di Padova, che credo sia stato il più antico, in via Lungo Jana, via Rosselli e piazza Oberdan (sope li puzzera). Quest'ultimo, notevolmente aggiornato e modificato, è ancora in attività, certamente un'attività, come è ovvio, molto ridotta.
Quei mulini lavoravano a pieno ritmo e tutti i giorni perché la popolazione sammarchese era più numerosa di oggi e, soprattutto, perché ogni cosa che si faceva in paese si basava prevalentemente sull'attività dei contadini. Pertanto, i cittadini, nella loro stragrande maggioranza, panificavano da sé dopo aver acquistato il grano e averlo macinato al mulino del proprio rione. Erano poche le famiglie che comperavano il sacco di farina al negozio.
Per il mugnaio era difficile mimetizzarsi tra gli altri lavoratori in quanto era sempre pieno di polvere bianca, al contrario del carbonaio.
La sede del mulino doveva essere ampia perché, oltre che per macchinari e attrezzature varie, occorreva spazio per il deposito dei sacchi di grano e di farina. Il mulino era, grosso modo, così composto: una grossa piattaforma orizzontale fissa su cui veloce girava una grossa ruota anch'essa di pietra; dalla tramoggia, poi, scendeva il grano che veniva triturato e macinato a seconda della richiesta del cliente. La prima categoria era la farina fina, libera da ogni impurità; vi era poi una categoria media e, infine, vi era la terza, quella dei più poveri, con la crusca non del tutto separata. Per questa operazione di primaria importanza ci si serviva del regolatore che influiva sulla ruota dalla cui posizione dipendeva la qualità della farina. Per coprire completamente piattaforma e ruota c'era un cassone in legno e, sopra tutto, la tramoggia a forma quadrangolare, a piramide, sempre in legno, nella cui bocca si versava il grano che andava nella macina.
San Marco in Lamis. Interno di un mulino.
San Marco in Lamis. Interno di un mulino.
La farina, poi, finiva nelle catose (frullatori), specie di mestoli triangolari che la ricevevano e nel giro che facevano la raffreddavano, poiché la farina usciva calda a seguito dell'azione della ruota sulla piattaforma. Dalla macina usciva farina e crusca: dal grano duro, in media, si ricavava l'ottanta per cento di farina e il venti di crusca; da quello tenero, di solito, il settantacinque per cento contro il venticinque. Tra la piattaforma e la ruota c'era una paletta, che aveva la funzione di raccogliere la farina che usciva dai loro lati forniti di una quantità notevole di scanalature.
Era questo un lavoro organico tra operaio e macchina e tutto si svolgeva nel modo migliore, anche perché il mugnaio, operaio esperto, riusciva sempre a conciliare il lavoro della macchina con le esigenze dei clienti.
Per mantenere tutto in perfette condizioni di lavoro, sia la ruota che la base della piattaforma, almeno due volte al mese, andavano 'martellate' con un arnese il quale aveva il compito di 'ripassare' le due facce per far sì che non si consumassero e perdessero la presa sul grano.
Ogni mulino aveva il suo carretto e cavallo con il relativo carrettiere, che girava per le strade del paese a caricare il grano dei clienti e portarlo "al proprio mulino" e, dopo, riportare indietro la farina e la crusca e ricevere il conto da pagare.
Non era raro vedere contadini con il proprio bestiame carico di sacchi di grano diretti al mulino per procurarsi la farina bianca, ma anche quella gialla del granoturco per la polenta durante l'inverno. Gli agricoltori della pianura si servivano dei loro carretti perché portavano farina in gran quantità, avendo da panificare, oltre che per la propria famiglia, anche per il personale alle dipendenze.
Un anziano, nostro carissimo amico, ci ha fornito queste notizie essendo stato operaio dei mulini sammarchesi per molti anni.