Nel nostro paese, tanti anni fa, c'era la banda musicale molto bene attrezzata e la si vedeva e sentiva di frequente a causa della vecchia usanza che voleva, ad ogni morto, l'accompagnamento di preti delle diverse parrocchie (specie se il defunto era danaroso) e la banna vestuta o sule la coppela. Era ben organizzata e si riuniva spesso in un locale adeguato al numero degli orchestrali e lì, con il maestro, si preparavano le esecuzioni da presentare, poi, in pubblico, in occasioni di grandi feste, all'aperto, in piazza o in villa. I pezzi eseguiti erano ascoltati attentamente e con una certa competenza: soprattutto gli artigiani sammarchesi erano veramente appassionati della musica lirica e sinfonica e seguivano con immenso piacere le prestazioni della banda.
Ora non esiste più perché non può più esistere: sono cambiati i tempi. Certamente allora era possibile avere in paese una banda di questo nome in quanto i suoi elementi provenivano essenzialmente dalla categoria degli artigiani, che Sammarco vantava in gran numero suddiviso tra i diversi mestieri: calzolai, sarti, falegnami, fabbri, muratori, ecc. Pochissimi i forestieri chiamati a rimpiazzare qualche elemento mancante.
Il maestro che abbiamo conosciuto da bambini si chiamava Giordano, Luigi Giordano (occorre menzionare il nome proprio a scanso di equivoci: da non confondere con il maestro Umberto Giordano, compositore di Foggia di fama internazionale), il quale si era trapiantato nel nostro paese non so da quale parte della Campania. Posso dire, senza tema di essere smentito, che si è sempre comportato da galantuomo con i sammarchesi. Degno rappresentante della banda, ha onorato il nome della città di San Marco in Lamis quando andava a concertare nelle feste patronali dei paesi a noi vicini e non sempre vicini.
Quei musicanti, in quanto artigiani, erano sempre a disposizione per qualsiasi evento.
Quando venivano invitati a suonare al seguito di un funerale (tutte le famiglie di allora chiedevano la partecipazione della banda per suonare marce funebri), il compenso era distribuito equamente tra i musicanti presenti. Era, questa, un'usanza radicata nel paese e nella coscienza dei suoi cittadini: quando moriva uno dei loro familiari, oltre ai preti delle diverse parrocchie, a seconda delle disponibilità economiche, veniva invitata la banda o sule cu la coppela (solo con il berretto) oppure vestuta (con la divisa al completo). Questa suonava marce funebri lungo tutto il percorso cittadino (ed era veramente lungo attraversare i due corsi principali e qualche strada ancora). Attualmente ce dà la mano a lu morte e finisce lì; a suo tempo, al contrario, accompagnato il defunto sino all'inizio de la noce lu passe, si doveva tornare indietro e, a passo svelto, raggiungere la casa dove i parenti del defunto attendevano per "ricevere la mano", cioè le condoglianze di amici e conoscenti.
I parenti del morto per farsi trovare a casa a ricevere la mano, arrivati sull'attuale Viale della Repubblica, lasciavano il corteo funebre e, alla svelta, raggiungevano la loro casa e si disponevano per accogliere quanti volevano testimoniare la loro solidarietà.
La banda, come si diceva, suonava varie marce perché era ben fornita. I musicanti all'occorrenza venivano avvisati a casa oppure nelle loro botteghe tramite il bidello del circolo, il quale conosceva tutti i loro indirizzi e sedi di lavoro. Forse non conosceva tutti i loro cognomi, ma sicuramente gli erano noti i soprannomi con i quali venivano abitualmente appellati.
Infatti, quando li avvisava che c'era un morto da accompagnare, Nannine, il bidello, conoscendo il loro recapito vi si recava e comunicava loro: joje, alli treja, inte la strata li vestie o la strata li sacchettare oppure inte la strettela li jumente, per fare qualche nome, ce sta lu morte; fatte truvà culla coppela o, se la famiglia era benestante,"in grande tenuta". Alle treja, non te scurdà, e via sino all'ultimo componente. A volte capitava che qualche musicante abitava in una strada lunga, con tanti gradini da salire e per evitarli chiamava ad alta voce: belle fé, facite ascì a Trasurere, o allu Jadducciare, oppure Abbollonia, Lacerenze, La Sala, Chechele, Vacchevacche, Starnaredde e Carulunedda, ecc.
Nei decenni passati tutti avevano, o meglio tutti avevamo, il soprannome il quale veniva da lontane generazioni. Quei soprannomi potevano essere accettati e sopportati. Ma c'erano soprannomi che proprio non erano digeribili e più di una volta si arrivava persino a litigare.
La banda non esisteva solo per accompagnare i morti oppure le processioni: nel passato se ne facevano parecchie e con grande sfarzo, per la partecipazione di preti di tutte le parrocchie, con paramenti "fuori ordinanza", per usare un'espressione militaresca; questo particolare creava un clima festaiolo in tutto il paese.
Ma la nostra banda, per la sua bravura, serietà e competenza, era richiesta da altri paesi, dove si svolgevano festeggiamenti di grande richiamo popolare, e lì si esibiva con autorità eseguendo i più bei pezzi di opere liriche, sinfoniche e musiche varie che deliziavano gli intenditori locali.
Le esecuzioni erano seguite soprattutto quando c'era la parte del solista, Freddenanne, il quale con la sua tromba da canto entusiasmava chi stava lì a bocca aperta ad ascoltarlo. In quelle occasioni si manifestava tutta la bravura e capacità del maestro Giordano. Era un complesso ben organizzato. Dal clarino al trombone, al tamburino, alla grancassa, ai piatti di Chechele: tutti erano bravi a tenere il tempo e tutti erano utili e quasi indispensabili perché ben affiatati.
La banda musicale di Sammarco è esistita sino a dopo la seconda guerra mondiale, dopo di che tutto cominciò a cambiare sia negli uomini presi singolarmente, sia nella società nel suo complesso.
La produzione industriale si sviluppò rapidamente e i mercati furono invasi dalle merci più disparate, i prezzi calarono e il lavoro e l'inventiva dei nostri artigiani perse presto il suo valore.
L'emigrazione all'estero e al Nord Italia fece il resto e, pertanto, venendo a mancare gli artigiani che rappresentavano l'ossatura portante della banda, giorno dopo giorno, si estinse il desiderio della sua esistenza e, così, Sammarco perse, senza volerlo, la sua banda che era pregio e vanto dei suoi paesani. Memorabili rimangono, per i più anziani, le "sfide" con altri quotatissimi complessi che venivano invitati nelle nostre feste locali di S. Matteo, S. Marco, S. Antonio, S. Michele, ecc. Erano complessi noti come quello di Acquaviva delle Fonti, Squinzano, della Città di Taranto e via di seguito.
Ora ci è rimasto il ricordo gradito di molti dei nostri musicanti da tempo scomparsi e di altri di età avanzata che ancora oggi, con la loro presenza, testimoniano quanto di meglio Sammarco ha saputo coltivare e valorizzare nel campo della cultura, frutto di tanto lavoro e abnegazione di persone che hanno onorato il nostro paese fin dal secolo scorso.
Ultimamente c'è stata una ventata di risveglio entusiastico per la rinascita di un nuovo complesso bandistico. Per impegno del Comune è stata avviata l'iniziativa per la formazione della banda musicale sammarchese. La cosa è riuscita e abbiamo visto per le strade del paese un complesso bandistico molto ben avviato che, nonostante la giovanissima età dei suoi elementi, lascia ben sperare. La presenza di alcune ragazze dà una tonalità di nuovo e di diverso dal solito tran tran soltanto maschile.
Tuttavia l'impresa non è durata a lungo. A prescindere dalla cafoneria di qualche amministratore comunale, che non vedeva l'ora di sbarazzarsi di quella cosa nuova e bene accettata dalla popolazione, la banda non era più quella di prima, cioè composta di soli artigiani sempre disposti ad ogni evenienza, anche perché fonte di poveri guadagni, ma pur sempre guadagni.
La vecchia banda, che vantava decenni e decenni di esistenza e di ottime affermazioni nell'ambito regionale e fuori, si è estinta senza rotture traumatiche né forzature esterne. Erano soltanto cambiati i tempi. L'Italia si stava trasformando anche culturalmente e i paesani, nel loro piccolo, modificavano il loro stesso modo di vita annebbiando o addirittura oscurando quanto di meglio ci veniva tramandato dalle generazioni precedenti. Pertanto i musicanti giovani, per mancanza di lavoro, prendevano la via dell'emigrazione, gli anziani rimanevano in paese a ricordare vecchi e mai dimenticati concerti e manifestazioni musicali eseguite con amore e tanta passione con tutti i vecchi amici e il maestro ormai anche lui scomparso.
Certo nel ricordare i cari, vecchi musicanti, estinti e non, ci guardiamo bene dal qualificarli in bravi e meno bravi. Saremmo ingiusti. Un solo pensiero ci conforta ed è quello di averli conosciuti, ascoltati e apprezzati nelle loro esecuzioni.
Quanne lu banniste scarpare receveva la chiamata da Nannine, specie se di pomeriggio, non si allarmava più di tanto: ce luvava la vandera, ce deva na pulezzata alli scarpe, ce metteva lu berrette ncape, chiudeva la putecola e ce ne jeva alla strata che l'avevane ditte. Lu banniste scarpare jeva sempe lu chiù leste. Appunto ce levava la vandera e via. Ma anche per gli altri non era faticoso prepararsi. Forse per il fabbro c'era qualche difficoltà e per il muratore. I falegnami facevano presto a luvarece lu penze. Per il sarto tutto era semplice, bastava prendere il berretto e via senza problemi.