Accoglie paterno nel suo angusto seno la fortezza di San Matteo radicata sul ciglio di un suo sprone, arditamente proteso nel vuoto precipite di un orizzonte in fuga che raggiunge il niveo diadema della Maiella.
Qui, senza soluzioni di continuità, un tenace rete di fede con pervicacia cuce e ricuce gli strappi della storia.
Dopo circa otto secoli si mutò il nome dell'evangelista; tramontò la pingue, contrastata potenza dell'autonomo Stato feudale; si assiderò l'avidità parassita degli abati commendatari; e tacendo già da gran tempo Benedetto, finalmente riprende e perdura con Francesco il suo viaggio nel tempo con diverso percorso solo di pia e feconda operosità. Simplex munditiis, direbbe il poeta latino questa pia e spoglia eleganza francescana nel bene operare.
Ma di quel tempo medievale, rimane l'immagine imposta al sito dagli eventi: il sornione occhio di una occulta, campanilata vedetta che vigilava in tal modo sulle frequenti scorrerie e dominava i suoi beni feudali che andavano dal mare, al piano, al monte e, con le sue pertinenze, dalla terra barese all'Appennino.
Borgo e convento furono così congiunti per oltre un millennio dalla comune sorte della storia, ma anche autonomi, li regge e ancora verdeggia quel filo della fede che fa di gentilezza un cuore solo.
Il dramma post-unitario, pur con le sue conseguenti tristi vicende, non lo spezzò.
La desolata presenza di un solo vigile padre guardiano resse per decenni anche al furore delle due grandi guerre.
Ma ora, risorto il convento nell'efficiente splendore di un nuovo volto, la rinnovata liturgia delle stagioni è scandita da una domenicale canorità gregoriana. Avvince essa una più vasta fedeltà di devota gente amica, vicina e lontana, ed erra una nuova armonia per questa valle.