Nell'estate del 2013 un vecchio frate francescano, angosciato, si chiese: "Ma che cosa sta succedendo?". |
Coincide l'opera del primo con l'anzidetta data d'avvio del 1940. Con fervida alacrità e buoni auspici, il giovane e 'forte' padre guardiano operò fecondamente nei due campi del culto e della cultura. Con tatto consapevole stimolò e disciplinò l'afflusso dei pellegrini, sempre vivo in grossi centri fra il Tavoliere e il golfo sipontino, e alimentò quello oltre i confini dauni. Sempre partendo dallo stesso anno 1940, di intesa col Ministro provinciale del tempo e il suo vicario, figure eminenti nel campo degli studi, coordinò un convegno pedagogico per i dirigenti dei collegi serafici della Provincia. Con la sua nativa sensibilità di studioso ricuperò quanto rimaneva degli sparsi volumi delle biblioteche dei due conventi, li collocò in locali idonei e nel 1942 vi fu una 'solenne cerimonia' inaugurale. E diverrà egli, pertanto, la prima coscienza storica della Provincia monastica col recupero prezioso di testimonianze francescane da ogni convento appartenuto all'Ordine, utili strumenti di lavoro per ogni studioso.
Con gli anni Sessanta si aggiungono altre pagine al nuovo capitolo di questa mirabile storia. L'ormai prorompente crescita, connaturale e vocata dal luogo, dal Santo, dal convento e compresa dai preposti a una provvida guida, pone nuovi problemi e impone soluzioni radicali. Questa volta l'attenzione maggiore è rivolta agli studi e alla cultura: è appunto una vera, 'evangelica', per dir così, moltiplicazione di libri, di pani della scienza, che raminghi da ogni dove invocano sicuro rifugio e degna collocazione nei vasti ambienti del maniero.
Occorse pertanto un Angelo del vicino Subappennino dauno per compiere un'audace scelta di rivolgimenti. Non metaforicamente; i locali dell'antica fortezza subirono scotimenti dal profondo e mutazioni funzionali.
Confluivano intanto libri verso il nuovo centro di cultura e di raccolta, istituito dalla Provincia monastica, quali rivoli di diversa provenienza per donazioni, accessioni, acquisti e, soprattutto, ricupero da biblioteche di conventi diversi o abbandonati.
Il suggello definitivo per questo nuovo vertice raggiunto lo si ebbe nel 1967 con manifestazioni di risonanza nazionale promosse dallo stesso padre; e fu un giusto premio alle sue fatiche. Per l'occasione ci fu un memorabile incontro di uomini della cultura e dello spettacolo di chiara fama e un imponente concorso di popolo riconoscente; il quale molto apprese con interesse da una mostra bibliografica del Gargano contemporaneamente inaugurata.
Un terzo artefice, a guisa di Atlante, ha voluto caricare sulle sue spalle da oltre un quarto di secolo la gran mole di San Matteo; di qui le sue insonni fatiche, con sogni e progetti notturni e opere diurne, di se stesso dimentico e degli amici e parenti, da lui posti in quarantena: totus in illo.
Occorre rilevare che non tutto è sbocciato d'incanto; è stato, invece, un travaglioso frutto di veglie e di fatiche. Ma l'ambizioso sogno di un prodigio oggi è una realtà: San Matteo è ritornato ai fasti dell'antico prestigio. Non è stato certo un disegno organicamente preordinato a tavolino, ma un lungo travaglio di difficoltà da superare giorno dopo giorno.
Già di per sé il complesso murario denunciava esigenze e invocava una manutenzione diurna dalle fondamenta alle tettoie. Una febbrile attività di rinnovamento e di restauri pervase ogni ambiente. Non mancarono intanto mani benefiche e provvidi soccorsi. Si fece allora chiaro nella mente dell'artefice-guida una coscienza costruttiva: l'ardito disegno di un organico rinnovamento del volto interno ed esterno dell'antica fortezza da adeguare al richiamo dei nuovi tempi e quello di creare intorno al santuario il giusto respiro di un alone di sacralità.
Primamente per dovere di decoro, con evangelica fermezza, fu giocoforza spazzare, davanti al tempio, i nemici dell'incenso: i profananti clamorosi odori di arrosto e di fritto dei giubilanti banchettari. Si pensò inoltre di accogliere più agevolmente, come per un simbolico abbraccio del santuario, i sempre più numerosi visitatori con uno slargo alle curve per un migliore innesto alle due strade pubbliche.
Si tratta soltanto di alcuni accenni ad opere già portate a termine o in via di compimento. Ma eloquente di per sé sarebbe anche un succinto elenco di attività svolte e richieste dall'esercizio quotidiano per una efficiente vitalità, che però la natura di questo lavoro non consente.
Il registrare non è né metaforico né genericamente sbrigativo: si tratta invece di una diligente e organica raccolta di dati, di notizie e d'altro ancora, dove anche i soli indici statistici hanno già la loro storica importanza documentaria.
Non si dice dell'attività cantieristica. Con le dovute proporzioni, a grande distanza tutti diciamo che la fabbrica di San Matteo non ha nulla da invidiare a quella di San Pietro: dagli anni Cinquanta è un cantiere permanente; non perché si abbia la velleità di fare per fare, ma perché costretti.
Anche la religiosità richiede una sua determinata voce musicale. A creare un'adeguata atmosfera non sarà mai la plebaglia di certi strumenti a corde per musica da taverna. È certamente l'organo lo strumento musicale univocamente conforme alla musica sacra, alla solennità della liturgia di ogni cerimonia cristiana che più ci avvicina a Dio.
Più motivi premevano. San Matteo è all'avanguardia per la rinascita del canto gregoriano. La benemerita istituzione di una messa domenicale celebrata con tale canto, il cui successo ha risonanza oltre valle per l'afflusso degli ascoltatori, fa solo temere qualche risvolto spettacolare. La rinvigorita vitalità, col nuovo volto offerto dal santuario e dal convento, invocava un organo e provocava una prorompente iniziativa. Poiché gli amici del canto gregoriano avevano aperto il solco di una certa tradizione, era legittima ambizione porre una fulgida gemma alla sommità di un serto per coronare tante opere compiute e premiare così tante fatiche.
In meno di un decennio si sono bruciate le tappe e superate tutte le difficoltà. Oggi un monumentale organo a canne è una felice realtà.
Così questa Arca, carica di eventi e di memorie, è anche una arnia armoniosa. Nei giorni gregoriani tutta vestita a festa la gente da ogni luogo sale al monte e la valle, già di per sé melodiosa, è una conca colma di gioia canora. E dalle ferme melopee sbocciano fiori d'aria nell'aria della più alta civiltà medioevale.
Ma fermi giacciono ancora a ridosso delle antiche mura i meriggi solatii dei nostri antichi padri quando, dagli spalti e dagli anfratti, con un pane e un po' di vino inneggiavano alla loro casta letizia.
Quest'Arca che, salda su periglioso ciglio porta impressi i segni di una vita ultra millenaria, ormai naviga felice oltre il duemila.
E l'operosa povertà francescana spande nelle due valli la serenità della sua pace.