Sono parole dolcissime, nelle quali vi traspare disperazione e delusione. Pasquale Soccio aveva 85 anni nel 1992, essendo nato nel 1907. Egli morì nel 2001, agli inizi del nuovo millennio, dopo avere vissuto in luoghi bellissimi, dei quali tanto scrisse spinto, a mio parere, sopratutto da una curiosità fanciullesca. Mi ha colpito l'analogia con temi già presenti nello scritto 'Vent'anni dopo', della metà degli anni '70 |
Già declina il mio giorno
e colgo ombre e memorie.
Si fa sera in me solo, sempre più sera,
materna mia terra,
con umiltà di cuore a te mi rendo.
Lucidamente spendo ora i miei giorni
e con pazienza pari alla rovina
come acqua che più canta se dichina
mi sciolgo in riso e così mi frastorno.
Ferace terra di gente fedele,
pronta al richiamo da ogni lontananza,
pure se nata in umido ‘Fosso'
spinta dall'ansia di cieli più alti
per altri voli, in biblica fuga
dove la patria è solo lavoro.
Già più non sono qual fui, mia terra,
né tu respiri con l'alito di un tempo.
Ho tanto inverno in me
che temo abbrividire chi mi tocca.
Ho tanta notte in me
che temo darla
da sgomentare sempre chi mi ama.
Terra, dolce terra,
uno scrigno d'affetti s'apre e si rinserra.
Se la memoria sale e fa marea,
la folla dei ricordi ci richiama
a quelli che tra noi più non sono
e fecero più lieti i nostri giorni;
e ora, messi insieme, più non fanno
che un funebre monte a gara col Celano.
Di rivederti più non mi è concesso
come quando nella prima età
da solo errando per le due convalli
esploravo con gioia ogni recesso,
zolla vivente fra tante zolle immote.
Né più mi è dato rimirare in te,
memore specchio in filmica sequenza
d'ogni immagine del tempo che fu mio,
e trarne il senso della mia esistenza.
E forse tante pietre
portano incise tutte le parole
dei nostri intimi, cosmici colloqui.
Pur nel silenzio degli occhi
l'immagine di te dà tanta luce.
Nel bel tempo d'amore,
di quel tempo che vissi
a te caro e a me care le cose,
solo mi rimane
questa dolcezza di saper morire
tacitamente alle cose che amavo.
Verrà dunque il mio giorno fra tutti il più solenne,
prima del varco verso l'infinito
nella mia patria antica, nel gran Tutto.