Dal buio più fondo della notte medievale riemerge e permane, non più discontinua, la sua presenza nelle avventurose vicende della storia, con un'intrepida vitalità di opere terrene e divine.
La materna montagna le impresse, così, il crisma della sacralità in un geloso e occulto spazio geografico: due valli, due conchiglie colme di meraviglie.
Contro la rapacità delle scorrerie piratesche, nascose il nascente borgo nell'umido grembo di un Monte a mezzo delle valve aperte della convalle; e lo protesse con due opere d'arte e di fede: due grandiosi monumenti, onore del Gargano, che l'afflato dell'ambiente e la mano francescana tuttora preservano con devota, alacre dignità e decoro.
Mirabile visione di un paesaggio espresso dalla natura e dall'uomo la cui fervida operosità, sollecitata dalla temperie incalzante degli eventi, in sorprendente simbiosi mostra un solo volto, un solo intento:
quanto più viva la fede si accende,
tanto più potente l'arte risplende.
E per entrambi, uomo e natura, valga l'indice di una sanguigna vitalità, simbolo di quel rosso vigore che spicca da una sassosa terra carsica.
Così, al vertice della prima valle, dove questa si restringe e fa gola, si adagia, respira e serenamente gode la più fulgida gemma del Rinascimento garganico: Stignano o Strignano (come nella galleria delle carte geografìche vaticane. Ma al diavolo ogni etimologia).
Apre invece Santa Maria di Stignano le sue ampie braccia collinari verso la pianura e accoglie odorosa, come vuole un canto paesano, l'amato giovane che ritorna ansante e spossato dal lavoro in campi assolati; e, ora che è maggio, il fidente pellegrino salmodiante scopre la grazia del santuario nell'azzurro degli ulivi e il bianco dei mandorli fioriti.