Il Mondo Illustrato, Anno III, 7 luglio 1860, Torino, 1860
Brano, scritto bene, quasi in diretta. Sul bravo autore non ho trovato, per il momento, assolutamente nulla.
Partirono in numero di 1070. A quest'ora hanno organizzato tre brigate.
Quarto
Quarto è un ameno paesello, sulla spiaggia del mare, a quattro miglia circa da Genova, sulla strada della riviera orientale. Gli Spinola, antica ed illustre famiglia patrizia, vi hanno una deliziosa villeggiatura, rinomata per mitezza di clima, ricca vegetazione e bella coltura. In quelle vicinanze si ridusse il vincitore di S. Fermo, in vista di riposarsi alle placide aure primaverili, quando, ceduta la sua Nizza alle esigenze dell'alta politica, tutte le città italiane andavano a gara nell'offrirgli diritti di cittadinanza.
Ma Garibaldi è cittadino d'Italia! Quante volte, passeggiando a sera lungo la spiaggia ligure, si sarà fermato collo sguardo teso sull'orizzonte lontano, e gli sarà parso di udire il grido della generosa isola che combatteva in nome della indipendenza!. Allora ripensò le stragi di Catania e di Messina, le prigionie, le torture, gli esigli, i patiboli di Poerio, di Nicotera o de' loro sventurati compagni, intravide nei notturni silenzi l'ombra del suo Pisacane!... A Quarto si maturò e si ordinò l'ardita spedizione.
Partono
A coppie, a gruppi, a piccoli drappelli si condussero i volontarii per più vie alle spiaggie di Quarto e della Foce. Nessun canto, nessun grido, nessun evviva. Pochi e fidi amici li accompagnavano, come a grave, perigliosa e secretissima impresa si conveniva. Un bacio, un sorriso, una stretta di mano furono i soli congedi, muto e solenne ricambio di affetti.
Taluno non reggendo a rimanere inoperoso, nell'ansia dell'aspettare, salta nel battello, e parte senza altro dire, involandosi quasi all'addio de' suoi; tal altro, incaricato nella giornata di esigere danaro di ragione della propria famiglia, tiene per sé una piccola porzione, e rimanda la somma a casa con un saluto. Un altro, che si era recato a vedere l'imbarco in abito di città, consegna ad un amico le chiavi del suo ufficio, perché sieno rimesse il domani ai capi della sua amministrazione, manda una parola a suo padre, alla sua famiglia, e parte... ohimé,... per non più ritornare ...
Buon numero di zattere raccoglieva a poco a poco i sopravvegnenti, e senz'altro segnale prendeva il largo. Tutti ignoravano la precisa destinazione, i mezzi, il tempo, l'itinerario. Il loro generale li aveva chiamati, erano accorsi!... Altro non sapevano, né domandavano.
Verso l'alba due vapori della compagnia Rubattino, il Piemonte ed il Lombardo, che alcuni ardimentosi erano andati a prendere nel porto, mentre si sorvegliavano attentamente quelli della compagnia transatlantica, raggiunsero le imbarcazioni. I fili del telegrafo lungo la linea toscana erano stati tagliati. I volontarii salirono a bordo, e i legni si diressero sopra Camogli, dove altre imbarcazioni dovevano attenderli con viveri e munizioni. I due vapori si approvigionarono alla meglio di carbon fossile, olio e grasso per la macchina. Altro non si trovò, forse per inesattezza di concerto.
La popolazione di Camogli indovinando chi fossero, li accolse dal molo con plausi e viva.
Garibaldi prese il comando del Piemonte, avendo a bordo la compagnia dei carabinieri genovesi.
Il Lombardo era comandato da Nino Bixio.
Nino Bixio
È fratello di Alessandro Bixio, il celebre pubblicista di Parigi.
Scoppiata la guerra del 1848, Nino Bixio andò volontario in Lombardia. Entusiasta ammiratore e devoto amico di Garibaldi, lo seguì a Roma, dove combatté fino all'estremo e fu ferito. Amava Goffredo Mameli con affetto più che fraterno.
Morto il Mameli, e caduta la speranza di Roma, il Bixio ritornò a Genova, e negli scali di Sestri fece costrurre un piccolo ed elegante [battello, ndr] al quale impose il nome del suo amico. Su questo legno imprese nel 1854 a fare il giro del globo. Fu in Australia, visitò altre lontane regioni.
In Genova Bixio pose affetto in bella e ben costumata giovinetta, che sposò, e che lo rese padre di due figli. Ma i doveri di padre dì famiglia non servirono che a fargli sentire più vivamente quelli di cittadino. Noto per le sue opinioni repubblicane, fu tra i primi a fare franca e leale adesione alla politica del governo piemontese, e non sì tosto fu minacciata la guerra del 1859, ch'ei proferse appoggio di consiglio e di opera al conte di Cavour; fu accolto come meritava, e tenne più che non aveva promesso, Bixio è come Garibaldi: la loro parola è sacro patto.
Bixio fece tutta la campagna di Lombardia nel 1859, in qualità di maggiore nella brigata delle Alpi. Tornato a Genova dopo la pace, fu portato dal voto popolare nel consiglio municipale. Avrebbe potuto ottenere un grado nell'esercito nazionale; ma preferì la sua pace domestica, preferì tenersi a disposizione del Generale - che cosi chiamano per antonomasia il Garibaldi - al primo avviso, lasciò la famiglia, e partì. Oggi è generale di brigata.
A Calatafìmi, a Palermo, come a Varese, a S. Fermo, a Castenedolo, egli è sempre il primo colla voce e coll'esempio, animando, conducendo i suoi. Non è di alta statura, ma di membra muscolose e ben proporzionate forme; i suoi movimenti pochi e corretti; ha maschia sembianza, fisso e profondo lo sguardo; l'accento concitato, ferma la voce, breve, risoluta la parola.
A bordo del Lombardo arringò i suoi, soldati il giorno 9 - diede le spiegazioni e le istruzioni necessarie - parlò dell'ordine e della disciplina, disse, voler essere ubbidito come un Dio!
Arrivano
Da Talamone a S. Stefano, dove si approvigionarono di carbon fossile; indi proseguirono la navigazione, incerti, guardinghi, parati a tutto.
Vennero in vista della Sicilia. Incontrarono un bastimento mercantile inglese; gli diedero notizie per Genova. Un uomo cadde a mare, Garibaldi lo fece trarre in salvo. Davanti a Marsala si credono inseguiti dagli incrociatori - forza alle macchine per isbarcare prima del loro arrivo.
In breve tutta la squadra li sopraggiunge.
Due legni da guerra inglesi richiamano a bordo i loro uffiziali. Appena finito lo sbarco, comincia un cannoneggiamento vivissimo; ma quantunque i volontarii dovessero percorrere un tratto scoperto prima di entrare in città, nessuno fu ferito. Durante la notte il Piemonte fu catturato, il Lombardo era stato quasi calato a fondo, avendo il capitano prima di sbarcare aperti i rubinetti.
Quei giorno Marsala fu in gran festa!
In Sicilia
Il domani all'alba, la schiera si mette in via. Dopo 10 ore di continua marcia arrivano a Robengallo. Ivi si sente ìl cannone in direzione di Trapani. Il giorno dopo a marcia forzata si portano a Salemi, bella e graziosa cittadina, posta nel ciglio di una Montagna, sullo stradale da Trapani a Palermo. É luogo dalla natura stessa fortificato, e vi si ascende per rapida e tortuosa via. Ivi il piccolo esercito liberatore venne accolto con grida di entusiasmo.
Intanto grosse turbe di contadini muovono ad incontrarli; per la maggior parte, sono armati di fucili. Molti si uniscono ai Garibaldini, e qualche banda s'incontra sufficientemente organizzata, con armi e cavalli.
Calatafimi
Raccolti i suoi, distribuiti i posti, date le necessarie istruzioni, il Generale li attende di piè fermo. I cacciatori napoletani si avanzano i primi ed aprono il fuoco, e tosto ad un segnale Viva Garibaldi e avanti alla baionetta. In tre attacchi consecutivi li cacciarono dalle prime posizioni. Il nerbo dei nemici si ritirò su più alta collina, sotto la quale si stende con lieve pendio una pianura, per antichi combattimenti famosa; la chiamano il Pianto Romano. Quivi la stanchezza, le perdite sofferte, il bisogno di riordinarsi consigliano una breve posa, difesa sempre dal fuoco ben nudrito della moschetteria, e singolarmente de' cacciatori genovesi.
Nella notte. le truppe regie si ritirarono da Calatafìmi. Alle dieci del giorno 16 vi entrarono i liberatori. Tosto furono raggiunti da una truppa d'insorti di Castelvetrano, preceduti da banda musicale, con un frate alla testa, che portava la bandiera tricolore. Alla sera fu grande illuminazione!
Vincono
Il fatto di Calatafimi decise le sorti della spedizione. Nel momento più difficile, Garibaldi col suo sangue freddo abituale rispondeva: Bisogna vincere! Qui si decidono forse le sorti di tutta Italia. Avanti!
E i Cacciatori delle Alpi andarono avanti e vinsero; ma pagarono la vittoria col sangue di molte vittime, colle quali si suggellava indelebilmente il patto della liberazione della Sicilia. Erano venuti a morire gridando: Viva l'Italia, Viva Vittorio Emanuele!
Un giorno i loro nomi saranno ripetuti con venerazione dagli Italiani. I Cacciatori genovesi vi perdettero un Luigi Sartorio, giovine curiale di amena conversazione e ottimi sensi; un Giuseppe Faxe, giovine impiegato all'amministrazione municipale, amatissimo da colleghi suoi, che a 18 anni era fuggito di casa per andare a combattere la guerra di Lombardia nel 1849, ed ora era partito improvvisamente; un Nicolò Beleno, Angelo Profumo, Carania Enrico - e tutti aveano fatta con Garibaldi la campagna del 59. Altri furono feriti. Il Montanari, che morì poscia in seguito alla amputazione, come pure l'Elia; e feriti furono il Burlando, il Della Casa, il Savi e Giorgio Manin.
Giorgio Manin
In vista di Palermo
Il 18 partirono da Calatafìmi. Ricevuti ad Alcamo con generale entusiasmo, accolgono nuove truppe d'insorti. Due frati le conducono. Ivi sono informati che gl'insorti hanno battuto i regii a Partenico, prendendo loro le munizioni. Il 19 giungono a Malaguarnero, di là a Partenico.
Quivi comincia quella catena di atrocità, che nei paesi civili si dura fatica a credere, tali che mettono in dubbio la fede de' testimonii oculari. La serie delle iniquità commesse dalle truppe borboniche segnava ai Garibaldini la via di Palermo! Erano case incendiate, abitazioni spogliate, donne e fanciulli uccisi, cadaveri di soldati bruciati, la depredazione e l'omicidio sparso dovunque i vinti erano passati.
In vista di Palermo Garibaldi ricevette una deputazione di Carini, con nuove bande d'insorti.
Il 20 giunge la notizia che a Termini il popolo ha vinta e disarmata la truppa. Il 21 le bande degli insorti attaccarono gli avamposti a Monreale. Garibaldi mandò in loro soccorso, i regii fecero fuoco, e si ritirarono.
In questo fatto morì Rosolino Pilo, ferito nella testa, mentre animava i suoi alla battaglia.
Rosolino Pilo
Rosolino Pilo, de' conti Capace nacque in Palermo nell'anno 1820. Stretto nell'adolescenza ad un suo cugino, Giovanni Piraino, uomo di gran cuore e di profonda intemerata fede politica, ebbe fin da que' primi anni culto di patria e di libertà. Quindi fra gli orrori della tirannide borbonica, prima che il popolo siciliano avesse sollevata la pietra del suo sepolcro, preparò coi più impazienti del turpe giogo l'insurrezione gloriosa del 1848, nella quale diede splendide prove di coraggio e di abnegazione. Dopo il trionfo popolare, gli venne concesso il posto di maggiore d'artiglieria, ch'ei sostenne con indefesso zelo. Quando poi nel 1849 la rivoluzione siciliana - per cagioni di cui farà giudizio la storia - volse in basso, egli lasciò Palermo per rinfiammare nel centro dell'isola gli animi sgomenti dalle efferatezze peggio che ferine, onde i cannibali venduti a Ferdinando II avevano desolato Messina e Catania. Infine, consumatosi il sacrificio della terra natale, esulò in Piemonte, in Francia, in Inghilterra ed in Isvizzera. Nel marzo ultimo scorso, da Lugano si recò a Genova, donde sur un legno a vela si diresse ai lidi siciliani, e riuscì a metter piede a terra presso Messina. Il 4 aprile intanto l'insurrezione soffocata per opera di tradimento entro le mura di Palermo, non si rassegnò, come tutti sanno, a morire; ché troppo profonde radici avea nelle immani sofferenze di quell'infelicissima isola. Allora Pilo levò in armi una schiera di giovani animosi per sollevare Catania; ma al triste annunzio de' casi di Palermo e della dura compressione di quella città, perduta la speranza di far divampare per tutta la Sicilia la rivoluzione, corse alla provincia di Palermo, ove le bande armate con deboli mezzi, ma con forte animo, reggevano contro lo orde borboniche. Capo d'una squadra di 800 patrioti, cadde il 21 maggio ne' monti di S. Martino!...
Amò ardentissimamente, amò con rara potenza di sacrificio. Idolatra di libertà, anelante al santissimo scopo dell'unità d'Italia, non ebbe intelletto bastevole a scorgere i mezzi più opportuni e più efficaci a tanto fine; ma ebbe tal cuore, che quanti onesti il conobbero, anche co' più avversi convincimenti politici, non poterono non amarlo.
A Palermo
Una lacrima a' generosi, morti combattendo per la patria, e il voto d'imitarli. Ecco i funerali delle battaglie! Il 23 gl'insorti fugarono le ricognizioni regie sulle alture di monte Calvario. Alla notte accesero fuochi sui monti. Il 24 furono attaccati da un forte distaccamento, con manifesto intendimento di metterli in mezzo. I volontarii con abile manovra piegano, e si ritirano sul paese detto Piana dei Greci. Indi con una marcia notturna si dirigono a Marinea.
Con queste accorte e rapide manovre, Garibaldi si conduce sotto Palermo. Alle 2 del giorno 27 giunge ad un miglio da porta Termini. Tosto si aperse il fuoco: il combattimento fu disperato, decisivo. Fuoco ed assalti alla baionetta di passo in passo; finalmente quando i regii cominciarono a cedere, i volontarii impazienti senza dar loro tempo di ritirarsi, si gettano in città prima di loro, e dividendoli e disperdendoli, operano il trionfo della giornata.
Nuovo trionfo: nuove vittime. I Carabinieri genovesi ebbero feriti il Canzio, il Finocchietti, il Damele in quella lotta suprema. Molti morirono, ma colla cortezza d'aver liberata Palermo.
Alle 8 del giorno 27 cominciò il bombardamento, che durò tre giorni, e non cessò che dietro le reiterate proteste del corpo consolare.
Le rovine cagionate all'infelice città dalle prime concessioni di Re Francesco non si possono descrivere! ...
D. F. Botto.
Garibaldi in Sicilia
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