Prime cronache elettorali dal 1945 al 1948 a San Marco
La sezione della DC diventa il punto di riferimento di tutta la politica sammarchese. Viene aperta una sede al centro del paese, sul corso principale, prima delle consultazioni elettorali del 1946, sede offerta, in comodato gratuito, dai frati del convento di San Matteo. Questa sede è ancora aperta oggi, ha cambiato solo in parte il simbolo della DC che, per oltre cinquant’anni, ha troneggiato sull’architrave della porta d’ingresso sostituito prima con quello del partito popolare, poi con quello dell’UDC, essendo gli inquilini di questo antico sottano più o meno identici nel tempo. La sede in questione, ristrutturata in parte recentemente, rievoca in me antiche reminiscenze.
In primis il ricordo del vecchio pavimento in legno con alcune assicelle schiodate proprio davanti all’ingresso, che noi ragazzacci alzavamo facendole cadere di colpo, provocando un boato e sollevando un enorme polverone per poi scappare felici delle imprecazioni degli astanti in riunione che ci inseguivano minacciosi mentre correvamo divisi per vie traverse, riunendoci infine nella villa comunale a ridere dell’eroica bravata, spesso ripetuta. Il ricordo degli esponenti del Comitato di Liberazione Cittadino Cattolico, ora quasi tutti scomparsi, che si dividevano negli incarichi operativi tra le varie organizzazioni, tutti facenti capo alla DC, e questa alla Diocesi di Foggia. Il ricordo dell’ingegner De Filippis, dell’imprenditore Antonio Bonfitto e del muratore Leonardo Pontonio, benevolmente e scherzosamente chiamato da tutti “ingegner Pratichizzo” poiché si vantava di grande esperienza pratica e provato talento. Questi dirigevano una cooperativa di lavoro aggregando molti operai ed artigiani. Il ricordo di Michele Limosani, unico autista in paese, che, proprietario di un carro funebre e di mezzi di trasporto passeggeri con i comuni limitrofi, sulle strade ancora brecciate, usava spesso accompagnare i dirigenti del comitato a Foggia e portare notizie anche riservate dalla DC provinciale. Ancora, Ciro La Porta, agricoltore, Nazario Di Giovanni, responsabile della nettezza urbana del Comune, gli insegnanti Bonifacio Napolitano, Michelino Napolitano, Michelina e Lucia Lombardi, sorelle del parroco don Angelo, che frequentavano in quei tempi assiduamente e coraggiosamente il partito. Altri, come Domenico Del Conte, cantoniere, Ciro Del Campo, bracciante, Michele Contessa, collocatore, i quali frequentavano le Acli, ma come tutti facevano perno intorno al partito democristiano. Marciavano divisi ma colpivano uniti il pericolo rosso. Ricordo ancora i giovanotti del tempo, i cugini Sebastiano e Sebastianino Rendina, che, insieme a tanti giovani studenti ed insegnanti, organizzavano comizi rionali dopo l’amara esperienza elettorale del 1947 fino al 1948. Ed ancora Peppino Lombardozzi, Peppino Giuliani e tanti altri che non riesco a ricordare e, come alcuni affermano, anche prima che emigrasse in America e diventasse Giuseppe Tusiani, scrittore e poeta rinomato, cultore emerito della lingua italiana e del nostro dialetto garganico.
Tutti frequentavano la DC ed erano impegnati nel partito e nel comitato civico a curare i comizi. Insieme c’era Luigi Lombardozzi, impiegato esattoriale, cultore di musica, passione che ha poi trasmesso ai figli Tonino ed Alfredo, mio compianto amico da sempre. Lombardozzi era tanto impegnato nella difesa dei valori democristiani, che si esponeva coraggiosamente con le sue sarcastiche battute contro il Comunismo ed offriva il balcone della sua abitazione, che si affacciava sul corso principale del paese, per i comizi della DC, agli oratori più importanti, che tra la fine del ’47 e gli inizi del ’48 venivano a parlare a San Marco, come Gustavo De Meo, Oscar Luigi Scalfaro, futuro Presidente della Repubblica, Enrico Medi, scienziato, Raffaele Recca di San Severo, e la signora Graziuccia Giuntoli, tutti eletti poi deputati il 18 aprile del ’48. Un altro balcone per i comizi DC era quello del farmacista Nardella. Ma, per capire meglio il clima del pre ’48, è necessario andare indietro di qualche anno fissando con date precise la cronaca degli eventi più salienti.
La prova del fuoco, o meglio il termometro della situazione elettorale a San Marco, ma credo in tutta la provincia di Foggia, per i democratici cattolici, è stata quella delle prime elezioni amministrative del dopoguerra. Infatti, a stringere le fila e ad iniziare a preparare le strutture organizzative, da parte della diocesi di Foggia, sono state le elezioni comunali svoltesi a distanza di circa un anno dalla liberazione del 25 aprile 1945. In paese questa data coincide con la festa del Santo patrono, San Marco, per cui i festeggiamenti, per quanto in tono dimesso, per la tragedia della guerra perduta che aveva portato lutti in quasi tutte le famiglie con la perdita di un figlio o del marito, del padre o comunque di un parente, e nel caso più fortunato di un invalido, erano vissuti comunque con devozione. Si pensava che San Marco evangelista avesse protetto, insieme all’altro evangelista, San Matteo, venerato nel vicino convento francescano, e alla Vergine Addolorata, la comunità sammarchese dai bombardamenti prima e dal veloce passaggio delle truppe tedesche poi.
Qualche anziana addirittura giurava che la Vergine, ad ogni passaggio di aerei che bombardavano la vicina Foggia, stendeva un velo di nebbia sul paese nascondendolo. Né da meno era considerato San Matteo, che, facendo apparire dall’alto del monte la sottostante valle in cui sorgeva il paese con l’unica stretta via fino al santuario della Madonna di Stignano, incuteva timore e preoccupazione all’esercito tedesco, di essere intrappolato tra le strette montagne, prima di arrivare alla pianura sottostante e alla litorale adriatica che portava a nord. Per cui il passaggio fu veloce, dal convento di San Matteo, dove si notava la pianura in lontananza, attraverso la valle di San Marco fino al santuario di Stignano e poi alla grande pianura del tavoliere della Puglia settentrionale. Dunque la Vergine e i due Santi evangelisti per la credenza popolare avevano protetto il paese. Questo era il motivo per cui il giorno di San Marco con la processione del Santo troneggiante sulla pedana, portato a spalla da portatori devoti e privilegiati anche dal sorteggio e da laute offerte al parroco, accompagnato da musica festante della banda cittadina e preceduto da un’allegoria di Santi “minori”, anche essi portati a spalla, aveva messo in secondo piano il 25 aprile come giorno della liberazione. Coincidenza che ha messo anche per gli anni seguenti e fino ai nostri giorni la festa della liberazione in secondo piano rispetto a quella del Patrono, anche se oggi la processione non è più quella di una volta e la festa è diventata secondaria se consideriamo la festa di San Matteo e dell’Addolorata ed anche quella di San Michele Arcangelo, protettore del Gargano, che fin dall’antichità preservava i suoi abitanti da tutti i mali, guerra, terremoto e pestilenza. Il culto di San Michele è particolarmente vivo ancora oggi a San Marco. Infatti, ogni anno, nel mese di maggio, si organizza un pellegrinaggio a piedi per 40 km circa fino alla sua grotta in Monte Sant’Angelo dove la “cumpagnia” sosta per tre giorni e mostra la devozione con canti ed una processione, che si chiude con spari di mortaretti e fuochi artificiali.
Il 31/03/1946, come abbiamo già scritto, a distanza di circa un anno dalla liberazione, si svolgono le prime elezioni amministrative. Vengono presentate due liste, quella del Fronte Popolare e quella chiamata Unione Democratica. La prima, marcatamente di sinistra, formata da uomini di provata fede socialista, comunista e del Partito d’Azione, molto compatta e coerente nella propria ideologia. Alla seconda aderiscono con motivazioni diverse, legati solo dall’amalgama anticomunista, liberali, democristiani indipendenti e demolaburisti come amano definirsi con ostentata civetteria i candidati delle Acli. È un’unione che ricorda quella operata nel 2006, sessant’anni dopo, a sinistra per le elezioni politiche, solo in nome dell’antiberlusconismo. Si recano alle urne 10.338 elettori su 11.710 iscritti. Vince il Fronte Popolare con il 58.3%, schiacciante vittoria contro il 38.01% dell’Unione Democratica. La causa principale della sconfitta dell’Unione Democratica è l’improvvisata organizzazione elettorale dei cattolici, convinti che bastasse il simbolo della Croce per portare i cittadini a votare per l’Unione, e, come abbiamo già scritto, l’assenza di amalgama tra le diverse culture della coalizione. Infatti, il Fronte Popolare ha una forte organizzazione e una sentita motivazione alla conquista del potere, a partire dagli enti locali, per il compimento della rivoluzione proletaria, ma ha soprattutto una ferrea disciplina.
Estenuanti trattative, invece, dividono l’Unione Democratica già sulla scelta del simbolo, sul nome imposto dai liberali, e poi sul numero da assegnare alle tre componenti, tanto da arrivare stremati a chiudere la lista proprio il giorno della scadenza della presentazione. L’abitudine di consegnare la lista per le comunali all’ultima ora dell’ultimo giorno, rimarrà come tradizione dei partiti di centro ed in modo particolare della futura DC, tanto che attivisti del PCI rimangono in attesa dietro la porta della segreteria elettorale, con l’occhio all’orologio, e pronti a sbarrarla per impedirne la presentazione a minuto scaduto. Sarà invece, più che abitudine costante, punto d’onore, per la sinistra e il PCI in modo particolare, presentare la lista il primo minuto della prima ora del primo giorno, per inorgoglirsi di essere la lista numero uno, numero diventato sinonimo del Comunismo, per cui durante la campagna elettorale, nei suoi comizi e cortei si sente gridare ed osannare indifferentemente “W il Comunismo!” o “W il numero uno!”.
Mentre il Fronte Popolare ha solo salomonicamente diviso la presenza in lista in modo paritario assegnando come candidati otto socialisti, otto comunisti, otto del Partito d’Azione per un totale di ventiquattro su trenta, tutti elet ti in caso di vittoria come prevedeva la legge, che garantiva comunque la presenza di sei eletti all’opposizione, l’Unione Democratica riesce a chiudere la lista con la presenza di dodici democristiani, sette liberali, tre demolaburisti o Aclisti e due indipendenti di destra per un totale di ventiquattro su trenta, assicurando alla DC dodici presenze pari alla metà dei seggi in consiglio in caso di vittoria. La DC fa la parte del leone non solo sul numero dei candidati, ma anche imponendo il simbolo proposto dalle Acli, che fanno una battaglia di ideali più che di potere rinunciando per il simbolo a quattro candidati. Inizialmente le trattative sono tra le quattro componenti per sette presenze liberali, sette demolaburisti, dieci democristiani, quattro indipendenti. Così tutti accettano come simbolo la Croce dello stemma delle Acli con due spighe, epurato dell’incudine e della vanga, considerate troppo di sinistra, e del libro, ritenuto troppo intellettuale.
È quanto ho raccolto dalle testimonianze di Capuano e Napoleone Cera, testimonianze che scarseggiano sulla campagna elettorale, evidentemente fiacca fino alle votazioni e al risultato elettorale, rivelatosi sorprendente e inquietante. Il Fronte Popolare ottiene la vittoria e l’elezione di tutti i candidati, l’Unione Democratica elegge solo sei consiglieri, cioè tre liberali, precisamente Matteo Vigilante, Angelo Soccio e Francesco Centola, due dirigenti delle Acli, Ernesto Vigilante e Giovanni Palatella, un solo indipendente di destra, Giovanni D’Orsi Villani, e nessuno dei dodici democristiani, che nella formazione della lista avevano ostentato forza e sicurezza. I sei dell’opposizione mostrano subito grinta e forte senso politico. Al momento della proclamazione degli eletti, nella prima seduta, chiedono l’ineleggibilità di Federico Kuntze, perché, come si legge negli atti del consiglio, “fu segretario del Fascio di San Giovanni Rotondo e presidente della commissione del Fascio di San Marco in Lamis”.
È chiaro che i liberali in consiglio cercano di ricordare e strumentalizzare come nelle liste comuniste ci fossero personaggi che avevano pesantemente usato il manganello e l’olio di ricino proprio contro gli elettori comunisti. Naturalmente per gli stessi motivi la maggioranza chiede l’ineleggibilità di Francesco Centola, già segretario politico del Fascio a San Marco in Lamis. Mentre l’opposizione insiste e chiede ancora l’ineleggibilità dell’ingegnere Vincenzo Tiani, non solo perché era stato Commissario del Fascio in sostituzione del dottor Gabriele La Selva, nell’ultimo quinquennio del fascismo ma anche perché dirige la scuola di avviamento professionale ed è direttore “dei lavori di fognatura in corso per conto del Comune”. L’opposizione chiede inoltre la ineleggibilità di Antonio La Porta, dirigente della “cooperativa di produzione e lavoro”, che ha in appalto moltissimi lavori del Comune. Naturalmente le eccezioni di ineleggibilità vengono tutte respinte dalla maggioranza, compresa quella di Centola, perché, se accettata, avrebbe compromesso quella di Kuntze e di Tiani.
L’esperienza amara delle elezioni comunali del 31 marzo 1946 è un campanello di allarme per tutti i dirigenti dell’Unione Democratica e di tutti gli anticomunisti, in maggioranza soci del Circolo Unione, antichissimo sodalizio ricreativo e culturale di quasi tutti i notabili del paese e dei pochi professionisti laureati, una cerchia chiusa fin dall’inizio del ’900, di cultura liberale, che si era saputa adattare durante il fascismo e sopravvivere al regime senza traumi significativi. Il popolo chiama quel sodalizio, alcuni con timore riverenziale, altri con tono ironico “il Circolo dei Signori”. La sconfitta del 31 marzo porta la DC ed il clero locale ad una forte autocritica e a ripensare l’organizzazione elettorale per il futuro, a partire dalle imminenti elezioni dei deputati all’Assemblea Costituente del 2 giugno 1946, a distanza di appena due mesi. Il clima di muro contro muro, iniziato in Consiglio Comunale da quella pattuglia di coraggiosi in quel difficile momento storico, si fa sentire ancora di più nelle strade, nei quartieri e nelle sedi dei partiti. Ma a San Marco si ha una situazione pressoché analoga a quelle delle comunali, che fa presagire un futuro comunista non solo nella nostra provincia ma in tutta Italia. L’avvenire è atteso con paura dai cattolici e con speranzosa euforia dalle sinistre che, con 219 seggi, superano i 207 seggi della DC nella Costituente e i 117 di tutti gli altri partiti laici di destra e di sinistra. Significativo e preoccupante a San Marco è anche il risultato del referendum costituzionale con 6.543 voti favorevoli alla Repubblica, propagandata dalle sinistre in modo particolare e 3.946 voti alla monarchia, difesa d’ufficio dall’Unione Democratica non essendoci direttive precise sul voto dai partiti di destra ed in modo particolare dalla DC. Nelle Acli c’è addirittura il silenzio in merito ad una scelta precisa e tutto è demandato alla coscienza degli iscritti. Questo risultato nell’analisi del voto del 2 giugno rappresenta un dato aggiuntivo per un probabile avvento del Comunismo in un prossimo imminente futuro, in quanto le masse anticomuniste sono lasciate libere e senza direttive, tanto che nella scelta referendaria si orientano spontaneamente secondo una umorale convinzione seguendo inconsapevoli le scelte di esponenti cattolici che votano per la Repubblica. La batosta elettorale del 31 marzo ’46, se da una parte è una cocente delusione per una San Marco di antiche tradizioni cattoliche, che ha dato nella prima metà del ’900 il più alto numero di vocazioni religiose della Diocesi e dell’intera Provincia, dall’altra cementa con più vigore l’anticomunismo e la volontà di rivincita, aumentati con i risultati del 2 giugno. Così le battaglie dell’opposizione in Consiglio Comunale diventano sempre più dure, sostenute anche dalla DC, che, pur assente in consiglio, è presente nelle piazze e nell’aula consiliare con un pubblico di militanti a proteggere la sparuta pattuglia dei sei consiglieri, aggredita dai comunisti verbalmente con urla, improperi e minacciosi stornelli, accompagnati da nacchere e tamburi improvvisati con pentole ed altro.
È la stessa musica minacciosa con la quale uomini e donne accompagnano i cortei sventolando vessilli rossi e stornellando contro i ricchi borghesi, il clero e i padroni. È quasi il preludio dell’imminente rivoluzione nella quale fermamente credono i militanti del Fronte Popolare che, plagiati da capipopolo e dai risultati elettorali precedenti, sperano fermamente nell’avvento del Paradiso terrestre, così come i filmati proiettati in piazza o nell’unico cinema comunale, chiamato “cinema Pompeo” dal nome del gestore, fanno vedere sulla fortunata terra della “santa Russia” o della vicina Albania, dove i popoli, felici dell’uguaglianza, della giustizia e del benessere, inneggiano a Stalin ed al Comunismo. Dall’altra parte democristiani e liberali usano gli stessi sistemi rumorosi e gli stessi sventolii di bandiere bianche o tricolore nei cortei che precedono e annunciano i comizi nei quali si nota l’assenza delle donne.
Comunque ogni occasione è buona da una parte e dall’altra per fare baccano, ingigantire l’entusiasmo e farne un motivo di scontro e di rissa cittadina.
San Marco: 1945-48
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