Fibrillazione e nervosismo a San Marco alla vigilia del voto
In Parlamento,l’Assemblea Costituente, eletta il 2 giugno 1946, lavora alacremente ed anche speditamente, malgrado i dibattiti spesso vivaci e gli scontri duri fra contrapposte culture, come la cattolica, la liberale e la marxista, alla ricerca di una sintesi chiara per una democrazia matura e portatrice di libertà e benessere. Nel paese le contrapposte fazioni si preparano allo scontro finale, aspettando la parola fine alla nuova Costituzione Repubblicana e la designazione del giorno per l’elezione del nuovo Parlamento e del nuovo Governo, inizio di una svolta cattolica liberale o comunista marxista.
La posta in gioco è alta, per cui, in ogni angolo d’Italia, tra i partiti di sinistra e di centro destra, ci sono fibrillazioni e nervosismo che spesso portano a scontri verbali, ma a volte anche fisici. È del primo maggio 1947 un episodio significativo. Il Sindaco, don Costantino Serrilli, per l’occasione invita solo la “banda rossa”, assoldata per tutte le manifestazioni di sinistra, malgrado l’insistenza delle Acli che chiedono la partecipazione anche della “banda bianca”, per una sorta di “par condicio” in una festa unitaria di lavoratori. Ma il primo cittadino esterna un netto rifiuto sottolineando che la festa del 1 maggio è la celebrazione del lavoro proletario e non padronale. Il corteo è il trionfo delle bandiere rosse che nel loro sventolio coprono le sparute mosche bianche, è il caso di dirlo, delle bandiere delle Acli, pronte a rintanarsi del tutto, appena possibile nella propria sede, dove avrebbero potuto continuare a celebrare il loro 1 maggio cristiano, lontano dal frastuono rosso, con il proprio assistente ecclesiastico e con una bicchierata tra soci. Anche per la festa patronale di San Marco, che cade proprio il 25 aprile, festa della liberazione, che per il facoltoso Sindaco social comunista era festa esclusiva della sinistra, era stata invitata solo la “banda rossa”, alla quale, dopo il consueto giro del paese per ricordare la fine della tirannia fascista, era stato ordinato di accompagnare anche la processione di San Marco, caratteristica allora, perché la statua del santo patrono era preceduta da una lunga allegoria di santi e santini, portati a spalla da giovani volenterosi, che per l’occasione gareggiavano per accaparrarsi il privilegio di portare le statue dei santi, sfrattati devotamente dalle nicchie di tutte le chiese del paese, con laute offerte al parroco e previa prenotazione fin dall’anno precedente.
Tutti avevano pensato che due bande avrebbero onorato il santo meglio di una, alternandosi e gareggiando in marcette durante la processione. Ma il Sindaco era stato irremovibile nel privilegiare solo la “banda rossa”. Di fronte a questi atti, considerati abuso di potere da parte di alcuni reduci e giovani insegnanti di diversa visione politica, si forma spontaneamente un gruppo di opposizione che decide di organizzare per l’otto maggio la festa di San Michele senza l’intervento del Comune. Questa ricorrenza è molto sentita sul Gargano e accoglie la processione con fuochi d’artificio in ogni quartiere e angolo di strada. Terminata la raccolta dei fondi per i festeggiamenti, il comitato invita la sola “banda bianca”. Con sorpresa di tutti, però, il Sindaco vieta la manifestazione per motivi di ordine pubblico. A nulla valgono le proteste dei consiglieri dell’opposizione e la minaccia, nei giorni precedenti la festa, di reagire duramente al divieto. Viene così informato il vescovo di Foggia perché intervenga presso il Prefetto che immediatamente invia un Commissario per riappacificare gli animi e trovare la soluzione. Il 6 maggio, il Commissario invita, presso la caserma dei carabinieri, i rappresentanti del comitato festa, l’arciprete ed il Sindaco per ascoltare le ragioni di tutti. Intanto, saputo dell’incontro, una decina di donne si recano sotto la caserma per rumoreggiare a sostegno del comitato. Il Commissario chiede al comitato i motivi dell’esclusione della “banda rossa” ed il comitato risponde che i soldi raccolti non erano sufficienti per due bande, e poi anche perché la “banda bianca” veniva sempre esclusa dalle pubbliche manifestazioni, quindi era un atto di giustizia privilegiarla in questa occasione. Il Sindaco sottolinea, invece, che per la precedente festa di San Marco, essendo una festa patronale finanziata dal Comune, il Consiglio Comunale aveva deliberato a maggioranza per la sola “banda rossa”, ma era comunque sempre aperto al contributo per le feste religiose. Anche in questa occasione era disponibile a far partecipare, a spese del Comune e senza oneri per il comitato, anche la “banda rossa”. Il Commissario chiede a questo punto il parere dell’arciprete, il quale, seraficamente, alla don Abbondio di manzoniana memoria, risponde che sia i rossi che i bianchi, per lui, sono tutti figli di Dio. Neutralità che, a quanto si racconta, non è piaciuta al Vescovo se nel futuro ha mandato un suo vicario a San Marco per organizzare personalmente, con molta severità, le feste religiose, senza l’intervento pubblico. Intanto, la festa di San Michele si svolge con le due bande che si alternano e con fuochi d’artificio e spari agli angoli delle strade ma anche con molte disapprovazioni al passaggio della “banda rossa”.
Ormai la Costituzione è stata approvata ed il primo gennaio del 1948 è già pubblicata ed affissa nella bacheca del Comune a disposizione di ogni cittadino. La data dello scontro finale è vicina. Pochi mesi mancano al 18 aprile e la campagna elettorale è sempre più frenetica nelle sezioni, nelle parrocchie, nei circoli, nelle cellule e sempre più dura nelle piazze, dove cortei chiassosi vengono accompagnati dalla rituale banda di colore che strimpella inni dei partiti, cantati a squarciagola dai partecipanti, mentre attraversano il paese fino alla piazza, dove si tiene il comizio da un balcone com piacente. Echeggiano, ogni giorno, nella valle, i canti urlati e accompagnati da musica, come “Bianco fiore simbolo d’amore” o “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta”,“Avanti popolo alla riscossa bandiera rossa trionferà”, o dell’internazionale socialista. Poi silenzio tombale davanti al comiziante che parla interrotto da battimani e urla ad ogni frase ad effetto come quella pronunciata durante il comizio di Giuseppe Di Vittorio in una fredda serata di febbraio. “Compagni, comizia l’oratore, ma soprattutto mi rivolgo alle compagne, quando i comizi dei padroni e le sacrestie dei preti invitano a tradire i vostri mariti e la fede socialista dei lavoratori, esortandovi a votare la croce, voi dite di sì al prete ma nel segreto dell’urna votate a sinistra, perché Cristo è stato il primo socialista”. Il clima politico, man mano che si avvicina la data delle elezioni, diventa sempre più rovente, gli episodi di intolleranza sempre più frequenti. La sinistra spesso aggiunge alla violenza verbale nei comizi anche il blocco del paese, organizzando scioperi ad ogni pretesto che sfociano spesso in scontri con le forze dell’ordine.
Il paese, la sera viene avvolto in una cappa di paura insieme alla nebbia fitta ed umida che scende dai monti. Tanto che se qualche esponente democristiano o di destra avesse la malasorte di rientrare di notte dai paesi vicini, alle prime avvisaglie di movimenti pericolosi, davanti alle dimore di notabili, preferiva ritornare indietro o rifugiarsi nel vicino convento dove pernottava fino all’alba. Di giorno soldati e carabinieri perquisiscono le abitazioni, alla ricerca di armi nascoste o per controllare sempre più frequentemente il paese alla vigilia delle elezioni. Intanto con comizi e cortei le destre e le sinistre si contendono gli spazi, quasi che a vincere dovessero essere quelli che parlano di più. Con l’apertura della campagna elettorale, manifestazioni, comizi e dibattiti di quartiere impegnano l’intera giornata fin dal mattino. Di notte mentre fervono le riunioni nelle parrocchie, nel comitato civico e nelle sedi dei partiti di centro destra, giovani facinorosi della sinistra imbrattano con gigantesche falce e martello o testoni di Garibaldi, le facciate dei palazzi signorili con il pavido silenzio degli inquilini. Intanto troneggiano davanti alla sezione della camera del lavoro cartelloni caricaturali disegnati e scritti contro i partiti di destra dal noto pittore e scrittore locale Francesco Borazio. In questo clima rovente si inserisce un altro episodio significativo di intolleranza ed un ennesimo braccio di ferro tra il Comune e la Chiesa locale, come dimostra un carteggio che dovrebbe ancora esistere nell’archivio comunale. Il Sindaco Serrilli emana un’ordinanza con la quale intima il parroco, don Angelo Lombardi, ad astenersi dal suono delle campane della chiesa, adiacente alla sua dimora, per disturbo della quiete pubblica. Naturalmente il parroco si oppone all’ordinanza nelle sedi competenti, giustificando che la campana suona non per disturbare il sonno dei ricchi potenti di destra e di sinistra o per disturbare comizi o altro, ma per richiamare i fedeli alla messa mattutina ed al vespro, per pochi minuti, in ore determinate, così come prevedeva Concordato il ancora vigente fra Chiesa e Stato. Non si sa come sia finita la controversia, ma le campane di don Angelo continuano a suonare fino ai nostri giorni.
Finalmente, il 18 aprile 1948, il popolo italiano è chiamato alle urne ed anche i sammarchesi affollano, fin dalle prime ore, i seggi elettorali. Come evidenzia la scheda riassuntiva dell’ufficio elettorale del Comune, l’affluenza è massiccia. Su un totale di 12.298 iscritti si recano a votare ben 11.099, più del 90% della popolazione, e, se si osserva che i maschi iscritti al voto sono 5.805 ed hanno votato in 4.805, che le donne iscritte sono 6.493 ed hanno votato 6.294, va sottolineato che la partecipazione femminile è stata determinante per la vittoria della DC, vista l’inconsistenza delle schede nulle e bianche che assommano a circa 200. Quindi mille elettori mancanti sono uomini già emigrati nelle Americhe o in Australia o reduci che, non ancora tornati dal fronte, sono considerati dispersi a quattro anni dalla fine della guerra. Le donne iscritte e non votanti sono appena duecento, un numero irrilevante, dovuto al fatto che molte hanno seguito il marito emigrante con l’intera famiglia, altre per cause diverse, compresa quella, come qualche donna ha raccontato a distanza di anni, di essere stata sequestrata in casa dal coniuge pur di impedire il voto alla DC, dopo la manifestata volontà di votare per i preti. Che questi abbiano fatto un buon lavoro lo dimostrano i risultati. Il Fronte Popolare ha circa 1.000 voti in meno della DC. Su 10.897 voti validi la DC riporta 5.553 voti, al FDP ne vanno 4.680, al Blocco Nazionale 230, al MSI 125, all’Unità Socialista 98, al Blocco Popolare 57, al Partito Nazionale Monarchico 50, al Partito Cristiano Sociale 49, al PRI 27, al Movimento Nazionale Sociale 25, al partito Demolaburista17, al Maglio 8. Il lavoro capillare svolto nei mesi precedenti aveva dato i suoi frutti. Le estenuanti riunioni nel partito e nel comitato civico, avevano premiato. Anche nelle Acli, malgrado qualche demolaburista avesse posto i distinguo, votando liste autonome, la macchina elettorale aveva funzionato. Malgrado i timori e tremori della vigilia, le ansie, la paura di una vittoria social comunista ed ancor più di una rivoluzione comunista facessero attendere con trepidazione il fatidico 18 aprile, quel giorno tutto funzionò alla perfezione.
Il Comitato Civico elabora i dati dei votanti ora per ora in contatto con i capistrada che informano, portano a votare gli ammalati, accompagnano gli invalidi, convincono i riluttanti. È tutto un frenetico attivismo in concorrenza a quello delle sinistre. In due si recano nelle campagne per portare al voto il pastore o il contadino affinché uno rimanga a guardia dell’azienda e degli animali e l’altro lo accompagni ai seggi. Naturalmente non mancano scaramucce dentro e fuori del seggio per contestare i certificati medici e gli accompagnatori. Alla fine tutto torna alla normalità con l’intervento delle forze dell’ordine. Il clima politico a San Marco nei giorni precedenti le elezioni ricalca quello nazionale: le sinistre vivono un euforico ottimismo, contano a ritroso i giorni della vittoria, convinti di avere la maggioranza e di migliorare il 20,7% del PSI più il 19% del PCI a livello nazionale. A livello locale pensano di confermare le comunali del ’46 con il 58,3%. Ma in quei mesi il PSI si scava la fossa con un’alleanza stretta anche elettorale in liste uniche con il PCI. Infatti, si scopre, dopo le elezioni, che è sceso da 115 a 50 deputati. Gli aiuti americani e la cura Einaudi allontanano il baratro della miseria e fanno intravedere una svolta economica. La propaganda DC che documenta lo spettro della miseria sotto l’oppressione di Stalin nei Paesi comunisti e il recente colpo di stato comunista contro i socialisti, nel febbraio a Praga, spaventa anche i moderati di sinistra.
L’intervento contro il Comunismo fatto da Pio XII, il 28 marzo, “o con Cristo o ontro Cristo”, galvanizza il mondo cattolico e il clero. Inoltre la paura per un avvento di “baffone”, come viene definito Stalin, che si nasconde dietro la faccia di Garibaldi, rappresentato da una cartolina propagandistica che, capovolta, mostra la vera faccia, contribuiscono ad un risultato sfavorevole alla sinistra.
Il 16 aprile finalmente si chiude una campagna elettorale dura, costosissima, volgare e finanziata dai rispettivi padrini internazionali, Unione Sovietica e Stati Uniti. I monarchici di Achille Lauro avevano distribuito a Napoli spaghetti e solo la scarpa destra, la sinistra sarebbe stata consegnata a scrutinio ultimato. Giancarlo Pajetta ed altri notabili comunisti avevano invocato un movimento di massa dove anche le anziane dovevano finalmente “gettare i loro pitali sulla testa di Alcide De Gasperi”. Ma queste, portate al voto in braccio dagli attivisti dei Comitati Civici, depongono il loro voto nell’urna per la Croce. In quel giorno di pausa elettorale, di meditazione prima del voto, i Comitati Civici non riposano, controllano i tabulati delle liste elettorali per una specie di sondaggio, contano gli ammalati e gli anziani da portare al voto, gli elettori residenti nelle campagne e nei borghi, perché nessun voto vada perduto a favore delle sinistre che, a loro volta, nelle cellule e nel partito, inquadrano gli iscritti e i simpatizzanti, anche nelle preferenze dalle quali sono esclusi naturalmente i candidati socialisti.
L’alta percentuale dei votanti, il 92.3% a livello nazionale ed anche a San Marco, dimostra come le donne abbiano contribuito in modo significativo alla vittoria della DC. A scrutinio ultimato il Fronte Popolare perde 9 punti rispetto al 2 giugno e il PSI naufraga non essendosi accorto che l’abbraccio anche elettorale con liste uniche con il PCI gli è stato deleterio, tanto che nel suo diario Pietro Nenni scrive: “Come è potuto sfuggirci il senno per la paura alla quale dobbiamo la sconfitta?”. La DC da sola raggiunge la maggioranza assoluta a spese degli alleati, ad eccezione dell’Unità Socialista, lista dei riformisti fuoriusciti dalla casa madre di Nenni perché contrari all’abbraccio mortale con i comunisti. Infatti, questi conquistano il 7.1%, mentre i liberali lasciano sul terreno il 3% dei voti rispetto al 2 giugno passando dal 6.8% al 3.8%, i repubblicani passano dal 4.4% al 2.5%, l’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini sparisce passando dal 5.3% allo 0.2% mentre le liste neofasciste e missine raccolgono complessivamente il 2%. Il trionfo elettorale del 18 aprile rafforza definitivamente il potere della DC. Alcide De Gasperi forma il suo quinto Governo che durerà fino all’estate del 1956, avendo come punti fermi l’anticomunismo, la ricostruzione del Paese, l’alleanza occidentale e la promozione dell’unità europea. Ha inizio per mezzo secolo l’egemonia democristiana, ma la DC di De Gasperi, uomo politico di statura mondiale, rifiuta un governo monocolore e integralista cattolico per costruire un centrismo quadripartito fatto da democristiani, repubblicani, socialdemocratici e liberali.
Fibrillazione e nervosismo
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