Achille Grandi (Como, 24 agosto 1883 – Desio 28 settembre 1946)
Operaio tipografo di Como, fu allievo dell’Istituto di Studi Sociali, fondato a Bergamo dall’Opera dei Congressi, nel clima di fervore sociale sviluppatosi nel mondo cattolico, successivamente all’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII.
Si impegnò nella Direzione delle Opere Cattoliche di Como e nella Lega cattolica del lavoro di Monza, assumendo, nel 1908, la carica di Vicepresidente del Sindacato Italiano Tessile (SIT). Instancabile organizzatore sindacale estese la propria attività in Lombardia e in gran parte d’Italia. Nel 1918 diventò presidente del SIT ed entrò nell'esecutivo nella Confederazione italiana dei lavoratori (CIL), la neonata confederazione d’ispirazione cattolica. Grandi sarà segretario generale della Cil dal 1922 al 1926. Nel 1919 fu tra i fondatori del Partito Popolare, nelle cui fila fu eletto deputato, opponendosi a qualsiasi collaborazione con il fascismo. Fu costretto a sciogliere la Cil nel 1926 e a ritirarsi a vita privata, ritornando al mestiere di tipografo. Rimase riferimento per il mondo sindacale cattolico, tanto che Badoglio, nel 1943, subito dopo la caduta del regime, lo nominò Commissario della Confederazione dei Lavoratori dell'Agricoltura. Fondò, insieme a Bruno Buozzi e Giuseppe di Vittorio, la Confederazione Generale del Lavoro (Cgil) firmando con Di Vittorio ed Emilio Canevari (succeduto a Buozzi dopo il suo assassinio) il Patto di Roma di unificazione delle forze sindacali democratiche (cristiana, socialista e comunista), sottoscritto nel giugno 1944.
Contemporaneamente all’attività sindacale, fondò, nell'agosto 1944, le Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani (ACLI), divenendone primo presidente nazionale. Aderì alla Democrazia Cristiana, nelle cui liste fu eletto Deputato all’Assemblea costituente. (Da www.centrostudi.cisl.it

La nascita delle Acli in Italia

Achille Grandi
Achille Grandi
Per capire meglio la storia locale è necessario aprire una breve parentesi sulla storia nazionale nei vari periodi storici, cogliendone l’influenza e i condizionamenti che questa ha dato alla storia dei circoli di periferia. Pertanto questa prima parentesi sulle Acli nazionali dalla caduta del fascismo alla nascita della Repubblica ci aiuterà a capire meglio la storia del circolo su quello che abbiamo già scritto e che scriveremo nei capitoli seguenti sulle origini delle Acli a San Marco. Il 5 luglio 1943, con la caduta del fascismo, il nuovo governo Badoglio, succeduto a Mussolini, abolito il sindacato fascista obbligatorio e corporativo, chiama a collaborare i vecchi dirigenti prefascisti, per liquidare il passato e ricostruire il movimento sindacale su basi nuove e con regole democratiche. Questi si costituiscono in “comitato interconfederale” e aprono un dibattito per una intesa unitaria tra cattolici, socialisti, liberali ed altri. L’8 settembre 1943, con l’annuncio dell’armistizio, l’Italia si trova divisa in due, centro nord occupata dai tedeschi e dai repubblichini di Salò, il Mezzogiorno occupato dagli alleati. Tutti i dirigenti sindacalisti, convocati da Badoglio, sono bloccati dalla presenza tedesca a Roma, città senza governo, costretti ad una quotidiana resistenza clandestina, obbligati all’unità, soffocano ogni polemica, ogni contrasto o divisione in nome della solidarietà popolare e della costante memoria storica che il fascismo è prevalso proprio per le lacerazioni e insanabili divisioni dei partiti, non solo nel Parlamento ma anche nella società, lacerazioni che hanno portato all’Aventino politico ed al suicidio della democrazia. All’interno della Democrazia Cristiana clandestina fanno perno i sindacalisti cattolici, come Grandi e Gronchi, i quali formulano una proposta di sindacato unitario, aperto però a libere associazioni senza discriminanti politiche e religiose.
Giuseppe Di Vittorio
Giuseppe Di Vittorio
Ma questo progetto di sindacato unitario fa sorgere il problema di riconoscere uno spazio autonomo ai cattolici per promuovere una specifica formazione religiosa, morale e sociale dei lavoratori cristiani al fine di incarnare nei problemi concreti del quotidiano la dottrina sociale della Chiesa. Questo apostolato laico è possibile solo sotto la diretta responsabilità della stessa classe operaia onde evitare di cadere in una sorta di paternalismo, sia nel partito, sia nella Chiesa, che in quel momento storico avrebbe reso l’apostolato poco credibile.
Il Patto di Roma, firmato da Achille Grandi, Emilio Canevari e Giuseppe Di Vittorio rispettivamente per DC, PSI e PCI, segna la nascita precaria del Sindacato Unitario siglato CGIL, che doveva essere indipendente da ogni partito. Poiché il sindacato prevedeva l’iscrizione d’ufficio di tutti i lavoratori, si rendeva ancora più necessario prevedere “a latere” associazioni sociali, educative, ricreative, professionali, ecc. la cui adesione volontaria potesse svolgere una sana funzione critica. Difatti un’associazione di aderenti volontari era ritenuta importante per uno stimolo dialettico nei confronti di un sindacato unitario al fine di impedire il pericolo di burocratizzazione e di verticismo autoritario. Grandi, più di ogni altro, nel rispetto delle tradizioni dei cattolici democratici, è convinto che il sindacato non debba essere cinghia di trasmissione dei partiti e per questo progetta una “associazione libera” affrancata da ogni tutela partitica, un’associazione che possa sollecitare e preparare i cattolici, con una più ampia preparazione, all’esperienza sindacale, avendo però come punto di riferimento la Chiesa ed inserita in modo organico nelle strutture del mondo cattolico. Grandi ha creduto nell’unità sindacale e a questo progetto ha dedicato la sua vita fino alla morte avvenuta il 28 settembre 1946.
Emilio Canevari
Emilio Canevari
Pio XII, che aveva un’esperienza diretta di sindacato unitario, maturata come nunzio apostolico a Monaco, in Germania, tra protestanti e cattolici, è favorevole non solo all’unità, ma anche alla necessità di creare vicino a questo sindacato un’associazione di soli cattolici. Infatti, il 18 settembre 1944, convoca GrandiVittorino Veronese per dare un consenso ufficiale al sindacato unitario, condizionato però a fondare le Acli, così come era stato preparato ufficiosamente, già dal 14 giugno 1944, da Giovanni Montini, suo Segretario di Stato e futuro papa Paolo VI. Dopo approfonditi colloqui tra la DC, l’Azione Cattolica, Grandi, Veronese, Lamberto Giannittelli, Luigi Palma, Pastore, Piercostante Righini e Silvestra Tea Sesini, il 5 luglio 1944 viene deciso anche il nome e lo statuto ed il 26, 27, 28 luglio 1944 nel convento di Santa Maria Sopra Minerva si firma l’atto di nascita delle Acli, anche se il battesimo avverrà solo l’11 marzo 1945 in San Pietro con la benedizione di Pio XII che definisce le Acli “cellule dell’apostolato cristiano moderno”. Ma già il 9 gennaio 1945, sul “Giornale dei Lavoratori”, Grandi scrive: “Le Acli sorgono per la difesa del patrimonio religioso e per l’attuazione dei principi sociali espressi nelle Encicliche”. Ed è a Roma, dal 25 al 28 settembre 1946, che le Acli celebrano il loro primo Congresso dopo solo tre mesi dall’elezione dell’Assemblea Costituente e dal referendum istituzionale Monarchia-Repubblica del 2 giugno.
Il logo delle Acli
Il logo delle Acli
È un periodo storico quello che va dal settembre ’43 al settembre ’46, che si potrebbe definire, nella Chiesa e nei dintorni del mondo cattolico, un momento di laboratorio politico, di fabbrica di strutture organizzative e di uomini per l’appuntamento elettorale con la democrazia al fine di poter eleggere uomini di alta statura etica e culturale, possibilmente anche vicini al mondo cattolico. Tuttavia la presenza cattolica si è dimostrata scarsa e poco impegnata nel referendum ed assente o quasi nelle amministrative locali fino al 1947. Infatti, è solo dal 1946 che vediamo le organizzazioni cattoliche muovere i primi passi politici.
Una immagine dell'VIII congresso della DC. Napoli, dal 27 al 31 gennaio 1962
Una immagine dell'VIII congresso della DC. Napoli, dal 27 al 31 gennaio 1962
Ed è questo l’anno del primo Congresso Nazionale delle Acli che prospetta nella dottrina sociale della Chiesa “una soluzione adeguata di tutti i problemi dei lavoratori” e ancora “la trasformazione del contratto di lavoro in contratto di società, basata su un’economia solidaristica”. Emerge da questo Congresso uno schema culturale rigido e centralizzato, ma solo in apparenza. All’interno c’è un mondo variegato e composito di gruppi e associazioni senza un primato dell’uno sull’altro, se non della gerarchia cattolica che può assumere anche rilievo politico, come avverrà, infatti, nel ’48 con il principio dell’unità dei cattolici, ed anche ai nostri giorni sui valori della vita e della famiglia. Ma sono la Presidenza nazionale e quelle regionali, provinciali e dei circoli che controllano l’ortodossia e l’unità delle Acli consistente nel privilegiare la dimensione sociale rispetto a quella statale. Più società e meno Stato sarà il motivo conduttore che accompagnerà tutta la storia del movimento, e questo primato, più storico che teologico porterà le Acli ad operare sul terreno sociale, terreno fertile sul quale germoglieranno solide sia pure tra mille difficoltà organizzative e tormentate vicissitudini politiche e contraddizioni degli uomini. Così le nuove Acli attraverseranno il burrascoso e periglioso mare della loro storia, e sempre accompagnate dal vento della Provvidenza, approderanno intatte ai nostri giorni, nel porto del nostro tempo per caricare le stive di nuovi ideali, di nuove tensioni morali, alla luce del Vangelo, per attraversare le incognite dell’immenso oceano del terzo millennio.