Laggiù fu relegata da Tiberio, nell'anno settimo di Cristo, Giulia nipote di Augusto e moglie di L. Giulio Paolo, convinta di adulterio. In quella solitudine la povera donna visse vent'anni e in quella solitudine morì. Carlo Magno, per motivi che ci sono ignoti, relegò alle Tremiti, Paolo Warnefrido, più noto
Vico Garganico sorge alla cima di un colle ed è circondata, come Rodi, da ricchi aranceti.
I colli, ricchi di aranceti, di vigne e di olivi, le formano intorno ricca corona. Possiede parecchie case di bell'aspetto e di buona architettura.
Da Vico proseguo per Ischitella e Carpino.
Carpino, che è senza alcun dubbio il paese più sporco e più selvatico del Gargano, giace sopra un'altura a sei chilometri ad est dal Lago Varano; verso il centro della regioen garganica. L'aria vi è saluberrima.
Il primo ricordo che si abbia di Carpino risale al 1176, allorquando fu dato in dotazione da Guglielmo II a sua moglie Giovanna. Fu feudo dei Della Marra, ad uno dei quali Ferdinando I d'Aragona diede facoltà di poter costringere i natii del paese, unitamente a quelli di Cagnano, a stabilire la loro dimora nei due comuni. Avvenuta la ribellione dei Della Marra, i feudi che appartenevano loro furono dati a Giovanni di Sangro, dal quale passarono successivamente ad altri signori.
Noto sul muro, sotto le finestre di moltissime case, tracce indubbie della via più spicciativa che gli abitanti fanno prendere alle immondizie, nessuna esclusa. Per definire certe strade converrebbe usare parole troppo crude. Non so se qualcuno fra i miei lettori potrà capitare laggiù; comunque sia, se qualcuno vi andrà, si tenga per detto che è massima prudenza quella di percorrere le vie cantando o rumoreggiando, in caso diverso può sentirsi subitamente irrorato da un getto di acqua sudicia o giù di li. E parlo per dolorosa esperienza.
Da Carpino proseguo per Cagnano Varano, che è uno fra i paesi meno caratteristici della regione.
La prima memoria che si abbia di Cagnano risale al 1095, quantunque si voglia di origine antichissima. Appartenne ad illustri famiglie normanne, dalle quali passò in seguito e successivamente in possesso di varie nobili famiglie.
Noto sui muri della piazza maggiore, che è vasta e linda, le tracce dell'ultima lotta elettorale: sono manifesti a lettere cubitali in cui ogni iperbole è messa a profitto della buona causa. Leggo esaltazioni che sanno un tantino di grottesco; forse, per l'indole di questo popolo, è necessario il superfluo. Porterò, a chiarire la mia asserzione, qualche esempio: Il tal dei tali è l'onore del Gargano. Eleggete ** fonte di dottrina, vaso di elezione. Vogliamo il trionfo della libera onestà incorruttibile con quel che segue.
Circa la sua origine, alcuni vogliono sia stato fabbricato su le rovine di una antica città detta Collazia; altri, come il Fraccacreta, sostiene che prima di chiamarsi San Nicandro era detto S. Annea, opinione che non regge perché di tale ultimo villaggio si vedono tuttora i ruderi a circa quattro chilometri da San Nicandro. Tali ipotesi ho riportato a titolo di curiosità; la più antica notizia che si abbia sul paese risale all'anno 1095, allorché, unito a Cagnano, Rignano e Castel Pagano, fu concesso dal conte Enrico all'Abbazia di San Giovanni. Il paese, che è situato sulle ultime alture garganiche, conserva parte dell'antico castello.
Scendiamo verso il piano delle Puglie; rieccoci al fuoco. La lentezza della diligenza è incomparabilmente superiore ad ogni esaltata lentezza; va sì adagio che il postiglione, con la lunga frusta, si diverte a dividere a metà le lucertole che lo sogguardano dagli scrimoli dei fossi.
Come vogliono le nostre brenne, fra una lucertola e l'altra, giungiamo a destinazione. Riprendo uno sciarabbà per visitare il convento di Ripalta.
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La febbre infesta questi luoghi ubertosi.
Scendo verso il Fortore ad ammirare l'agile ponte in legno che si lancia fra le due rive deserte. La costruzione non ne è ancora ultimata. Giù, vicino all'acqua gialla, alcuni operai tarantini alzano a ritmiche riprese un grande mazzapicchio; configgono uno degli ultimi pali di rinforzo. In questo silenzio meridiano si ode unicamente la tipica cantilena del più vecchio fra i lavoratori, una cantilena a ritmo che unisce le singole forze in un impeto solo.
Fra un colpo e l'altro del mazzapicchio si ode uguale, continua, dolorosa:
Fatti core ragazzo....
e il legno batte sul legno aspramente:
La vita non è poi brutta....
Tutti dobbiamo morire....
Fatti core ragazzo...
Nella squallida solitudine sento che in quella voce palpita il cuore di tutta l'umanità.
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