A qualche passo da me è una fanciulla che distende panni al sole; mi guarda con insistente curiosità; una donna più lontano, la madre forse, mi chiama per chiedermi da che parte vengo e che cerco mai lassù.
Mi sporgo dalle rocce a guardare; l'altezza è vertiginosa; la montagna scende a picco sul gorgo profondo, s'inabissa nelle acque che una forte corrente non lascia mai tranquille; si ode il loro fremito, il loro muggito. Le due lavandaie mi raccontano come il mare si sia formato, sotto alla montagna, un grande nido e come, nelle notti di tempesta, da ogni casa si oda il rombo sinistro delle onde che si incavernano.
Rimango solo lung'ora in questa divina solitudine a guardare, ad ascoltare; il paesaggio è nuovo e strano, strano sopra tutto pei colori che formano un armonico contrasto indimenticabile. Gli scogli, le rocce sono del bianco più terso che si possa immaginare e lucono dolcemente a questo sole senza offendere gli occhi; inoltre il mare, col suo azzurro cupo e profondo, il mare che le incornicia tutte e le cinge nella sua immensità, ne sfuma le asprezze, le attenua in una gamma soave di azzurri.
Queste rocce paiono favolosi palazzi di purissimo marmo, sorti per incantesimi lunari in qualche remota età leggendaria; palazzi rudi, ma belli. La forza dell'attimo li trasse improvvisamente dal nulla per gli dei del mare, per le sirene allettatrici che condussero tante paranzelle, tanti navigli e tartane a naufragare a questa maraviglia.
Un pescatore che incontro fra questi scogli mi narra questa dolce leggenda:
- Una volta viveva a Vieste una fanciulla come non se n'eran vedute mai; la sua bellezza superava il sole, era come l'occhio del Signore; le sirene ne vennero in gelosia e un giorno in cui ella andava sola attendendo il suo amico, la rapirono.
Ora vive in fondo al mare, incatenata agli scogli. Il suo amico piange eternamente e la sospira e l'attende su la spiaggia. Una volta ogni cent'anni, le sirene si commuovono e gli amanti possono avere un giorno d'amore, ma verso sera, allorché, illusi dalla loro libertà le sirene tirano la catena alla quale la fanciulla è avvinta ed ella ripiomba nel mare e per altri cento anni il pianto dell'amato, simile al gemere delle onde corre la tempesta ed il sereno.
E ancora: fu da queste rocce che Ettore Fieramosca si lanciò col suo cavallo nel mare.
Il vecchio pescatore mi dice il nome che danno nel paese a certi piccoli fiori che crescono numerosissimi fra questi scogli; li chiamano arruska; tale parola di origine araba, significa sposa, sono asfodeli e, alla sommità delle rocce, formano grandi ghirlande d'oro, di porpora e di rosa.
Ne raccolgo tre secondo mi indica la guida gentile:
- Prendine tre, signoria, è il costume nostro: uno per l'amicizia, uno per la fortuna e uno per l'amore.
Di quassù si partono le antiche mura che raccoglievano nella loro cinta tutta la città. Dal lato nord, su l'alto di un colle sabbioso di percorso difficile, si apre l'antica porta del castello interamente conservata. Non so per quale lato debba salirvi, l'impresa non è facile; viene a mancare ai piedi il normale punto di appoggio, poi queste sabbie sono ardenti come il fuoco. Finalmente riesco alla conquista della non ardua cima e divengo oggetto di curiosità da parte di numerose donne le quali mi sbirciano, mi interrogano, vogliono sapere mille cose, quasi entrassi in casa loro o fossi un turco predone. Ma, come mi spiega un giovinetto, quassù non capita mai nessuno e un uomo nuovo è sempre un divertimento!
Le case che si ammucchiano in breve spazio, discendono su gli scogli e proseguono fin su la punta di San Francesco dove sorge l'ultima chiesa. Ogni piccolo spazio è occupato; vi sono case le quali proseguono la linea della roccia che cade a picco sul mare.
Nessuno quaggiù deve sapere che cosa sia vertigine. Prendiamo la nostra refezione al castello da un amico di Pulputulo; locande non ve ne sono; conviene adattarsi. Non so ciò che si mangi perché sono distratto, voglio distrarmi per non morir di fame; so che ho ancora intensa l'impressione di quelle vivande macabre. Come frutta mi presentano dei cetrioli (cucumis sativus) e il mio ospite, levando l'unico bicchiere che ha servito a tutti, brinda alla nostra salute:
Questo vino è buono e galante
Evviva tutte quante!
Brindisi che non uguaglia, per originalità, l'altro che toccò alla signora Janet Ross:
La forza dell'uomo è l'ingegno
E coll'ingegno ogni cavallo s'aduma (Nota),
S'aduma tigre, alfante, lione;
Poi si educano le donne collo fiato dell'uomo,
Poi si principion a far li fanciullini;
Nu brindisi i faccio a tutti i Signori
Ed io mi bevo i vini.
Riprendo la via. La città sperduta, in questa caligine estiva pare sonnecchi, protesa dolcemente sul mare.
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