Titta Rosa, Narratori contemporenei, 1921
Nato a Forlì il gennaio 1880.
Si addottorò in Scienze Sociali all'Istituto Cesare Alfieri di Firenze. Seguì la carriera giornalistica a Roma prima alla Tribuna, poi alla Patria e al Travaso delle idee quotidiano. Indi si ritirò nella sua Romagna. Per il Corriere della Sera viaggiò nell'Oriente Mediterraneo e nell'estremo nord d'Europa. Fu corrispondente di guerra durante la guerra libica. Durante il conflitto europeo, dopo aver prestato servizio militare, fu al Comando Supremo come corrispondente di guerra. Ha fondato e dirige una pubblicazione periodica per i più piccini: Giro, giro tondo.
Bibliografia
Novelle
L’Antica Madre, Licinio Cappelli Rocca S. Casciano 1900 (esaurito).
Anna Perenna, Treves, Milano, 1904.
I Primogeniti, Treves, Milano, 1905.
L'alterna vicenda, Treves Milano, 1907
Le Novelle di Ceppo, Quattrini, Firenze, 1909 (esaurito)
La vigna vendemmiata, Trevis, Milano, 1918.
Tre bimbe a vendere, Vitagliano, Milano, 1920
Un Segreto di Stelle, Vitagliano, Milano, 1921
Romanzi
Gli uomini rossi, Treves, Milano. 1904
Il cantico, Treves, Milano, 1908
L'ombra del Mandorlo, Mondadori, Milano, 1920
Il Cavalier Mostarde, Mondadori, Milano, 1921
Ahi Giacometta, la tua ghirlandella!, Mondadori, Milano, 1921
Versi
I canti di Faunus, Perella, Napoli, 1908
Storie di immagini, Istituto Editoriale Lombardo, Milano, 1915
Solicchio, Treves, Milano, 1916
Viaggi
II diario di un viandante, Treves, Milano, 1913
Da Comacchio ad Argenta, Istituto di Arti Grafiche, Bergamo, 1909
Il Gargano, Istituto di Arti Grafiche Bergamo, 1910
L'Arno, Alinari, Firenze, 1910
Paesi di conquista, Taddei, Ferrara, 1913
Monografie
Un tempio d'amore, Sandron, Palermo, 1910
Libri per ragazzi
Le gaie farandole romanzo, Bemporad, Firenze, 1907
L'albero delle Fiabe, Bemporad, Firenze, 1907
Le novelle del bosco e delle palude (fiabe), Sandron, Palermo, 1909
La signorina Zeri (romanzo), Mondadori, Milano, 1911
II Piccolo Pomi (romanzo), Bemporad Firenze, 1912
Marmitta (romanzo), Nugoli, Milano, (esaurito), 1914
Nunriante e le bestie, Nugoli, Milano (esaurito) 1914
La gaia Cachipoll (romanzo), Mondadori, Milano, 1920
Collaborazioni: Corriere della Sera (Milano); Gazzetta del Popolo (Torino); Resto del Carlino (Bologna); Messaggero (Roma); Tribuna (Roma); Idea Narionale (Roma) ecc.
La coronata
- Fiurlena Fiurlena - gridarono i giovanetti - discendi. Noi abbiamo dieci buoi, quattro campi di grano, ottanta pecore e sette giumente ben nutrite, tutto sarà tuo, discendi!
Un ampio riso, dalle quattro bocche felici, si partì a festeggiare il lieto aprile.
Fiurlena si affacciò nel sole. Ella si ravviava i lunghi capelli disciolti ed aveva le braccia nude. Col capo leggermente chino dal lato in cui il pettine scorreva fra l'aggrovigliata chioma bionda, sorrise alla gaia giovinezza che la chiamava per la via, con la primavera irrompente.
- O porta d'oro! - esclamò Ierem.
- O giglio dei grani! - disse Piòc. E Zara e Urlànd guardarono muti.
- Dove andate? - chiese Fiurlena.
- Alla fontana degli ulivi. E tu non vieni?
- No.
- Ma la corona sarà tua!
Fiurlena rise di un franco riso incredulo e soggiunse:
- Io sono povera come il palmo della mano e non ho vesti per adornarmi.
- Tu vincerai certamente! - proruppe Ierem.
E gli altri a coro: - Sì, certamente!
Fiurlena scosse il capo:
- No, no, la corona non la donate voi!
- Ma noi grideremo il tuo trionfo.
- E il vecchio vi farà scacciare dai suoi.
- Non potrà perché siamo più forti.
La giovanetta sorrise; annodò, sollevando le braccia in atto soavissimo, le belle treccie dietro la nuca, poi, appoggiate le mani sul parapetto della finestrella, si sporse alquanto col torso.
- Addio figliuoli belli.
- Non vieni con noi?
- No.
I
Fiurlena si fece solecchio della mano; guardò, dietro le siepi, il gruppo che scendeva alla Fontana degli Olivi, poi si volse con indifferente riso e cantò una vivace canzone di trionfo che la sua bellezza le aveva composto per la voce dei giovanetti arditi che amore maraviglia ed esalta.
Ora, fra il popolo della Romagna, era anticamente una dolce consuetudine sacerdotale.
Era questa una preghiera degli uomini alla multiforme natura non avara di doni; una preghiera ai germi e alle zolle; alle nubi che celano grandi spiriti raminghi ed al sole irriguo che scaccia il sonno delle nevi e trionfa dalla lontana cuna, nel mare d'argento.
La più bella era la più amata; colei che adunava in sé il più d'amore umano e divino e dovea essere scelta al propiziare dei cieli, sui campi che racchiudono le speranze degli uomini.
Ebium era il vecchio sacerdote e da infiniti anni teneva il suo ufficio, tantoché le prime ch'egli aveva prescelto nei lontani aprili, avevan saputo già la stretta del lenzuolo d'amianto e la violenza del rogo; o si trascinavano curve, con rari capelli incanutiti.
Egli pure era cadente e magro e su la bruna pelle del volto e delle braccia le vene rilevate in fitta trama, pulsavano a pena. Ora, in quegli idi d'aprile, allorquando i giovani passarono sotto la sua casa per acclamarlo e seguirlo alla non lontana Fonte degli Olivi, Ebium aveva già indossata la lunga tunica vermiglia, su la quale, a bianchi ricami, erano raffigurati in nitido disegno il sole e le spiche del grano; ed aveva composto, con le violette che i fanciulli gli avevan recato a grembi la sera antecedente, la delicata corona che doveva posare sulla più bella fronte.
Alla garrula chiamata, egli si affacciò sulla porta sorridendo, appoggiato ad un suo lungo bastone che le verdi giade, mistici amuleti, adornavano in forma serpentina. Un fanciullo si fece innanzi con le mani tese. Indossava una breve tunica bianca ed aveva i lunghi capelli disciolti.
- Ebium - disse - quest'anno la corona tocca a me. Io la debbo portare.
Lungo la via, siccome i giovani cantavano il coro d'aprile per propiziare il sole nascente alle terre, coloro che il desiderio non aveva anzitempo svegliati, si affrettarono dalle lontane case per aggiungersi alla frotta festante.
Il sole era sorto, dietro la selva sacra ai venti turbinosi e, nella fresca mattina, i campi del cielo erano invasi da trilli e da richiami canori. Dalle gole gonfie di gioia, ad intervalli musicali, seguiva il coro soavissimo: Salvaci dalla fiera tempesta, aprile; Rendi ospitale la tua soglia ... La più bella fra le figlie di donna. La porteremo nel tuo letto odoroso, aprile ...
Era detta la Fonte degli Olivi, perché i placidi alberi argentini dal verde fruttice modesto la circondavano ombreggiandola. Dietro agli Olivi cresceva una spessa macchia di bossi, poi una selva di larici bianchi dai riflessi metallici. Il luogo, appartato fra gli alberi, aveva tutta la soavità dei ninfei silvestri perché non vi chioccolava se non una fontanella e vi si udiva il discreto sussurrio del fogliame il quale pare annunzi l'avvicinarsi del vento alle vergini selvaggie che sono irraggiungibili come l'ombra. Dietro la fonte si elevava, coronata da un ninfale argenteo, l'erma di una divinità sacra ai boschi.
Quando giunse Ebium fra il lieto coro primaverile, le giovanette erano già ad attenderlo sparse fra gli alberi, sedute o diritte in pose ieratiche. Chi aveva fra i capelli larghi fiori vivaci in intreccio mirabile sul viso bruno e sottile; chi nudo il seno e le belle braccia rotondette che non avean fatto corona attorno ad un capo ansioso; chi, dalla tunica un po' dischiusa lasciava intravvedere la squisita grazia di un fine malleolo e di una gamba statuaria; e si movevano con fruscii ed avevano risa brevi e voci passionali.
- Dolcissime! - gridò Ebium alzando il bianco bastone vivo di occhi di giada. - Aprile vi chiama!
E il coro:
- Aprile che porta il sorriso su ali infinite
E desta i grani nel grembo della madre pia.
In breve d'ora i due gruppi si trovarono di fronte; da un lato Ebium e tutti i giovani forti: cantori ed amatori; da l'altro le giovanette che attendevano con ansia mal dissimulata il giudizio d'amore.
- Padre padre padre! - ripeteron le fanciulle alzando le braccia - sacerdote d'aprile, stia lontana da te la sorella maligna, possa tu porgere la ghirlanda mille volte ancora.
E ne l'invocazione d'augurio si udirono in unica fusione, voci calde e argentine e trillanti e velate come da acque e pure come di cristalli sonori.
Il coro si tacque. Da parte a parte corsero dialoghi vivi di ammirazione; parole di invito e di desiderio e d'amore. Il sole era salito oltre i cespugli e le alberelle, sicché le ombre azzurrognole si eran dileguate ed era un incantesimo di luce e di verde sotto il gran sereno propiziatore.
Passavan le soavi parole:
- O stella dei mari, occhio di rugiada, foglia di timo e di menta, tu sei nata per darmi ipena! …
E dalle fanciulle:
- Ecco Ierem, la quercia dei monti, non v'è nessuno che abbia il suo portamento …
Sotto al sole, erano sfavillìi di gemme, bagliori di lini e trionfi di umana bellezza. Le tuniche vermiglie e violette e bianche e verdi come le messi primaverili, mettevano una gaiezza viva per l'aria in armonie varianti per il confuso andare; sì che i volti e le persone esili delle giovanette avevano, dai colori accordantisi come in rapida scala musicale, per sensibile ebbrezza, un risalto mirabilmente soave.
Quando Ebium alzò le braccia, le giovanette si disposero in due ali ai lati della Fonte degli Olivi; di fronte rimasero i giovani, il sacerdote ed il fanciullo che recava la corona.
Dal gruppo dei cantori, poiché l'istante della scelta si avvicinava, partirono incitamenti e consigli.
- Padre, guarda Marcia. Non v'è chi abbia capelli più biondi e persona più bella …
- Ebium Ebium, tu sceglierai Avlana dagli occhi di smeraldo. Le sue carni sono come latte ed il suo piccolo seno è di gigli …
- La corona sarà per Tùrtura. Essa è come una palma fra le compagne. Guarda gli occhi suoi neri, vecchio, e i suoi lunghi capelli …
Poi le fanciulle più prossime alla fonte mandarono un breve grido di sorpresa. Un movimento di nuova attenzione fece rivolgere gli sguardi nel punto della selva in cui pareva si disvelasse una nuova maraviglia. I giovani si tacquero; gli ultimi inviti morirono in lieve sussurio di curiosità.
E il sacerdote fu per parlare, ma si arrestò d'improvviso, che un senso di strana stupefazione lo vinse. Regnò il silenzio che accompagna i sùbiti contrasti. Dietro la fonte appoggiata lievemente col cubito e l'errma verdastra, stava Fiurlena.
Ella avea smosso in un attimo le fronde ed era comparsa là, come per incanto. L'acqua la rispecchiava tutta ed ella era tutta nuda con la gran chioma disciolta da cui il sole traeva intensi riflessi metallici. E rideva di un suo tranquillo riso.
Il sole passando sulle sue rosse carni, le avvolgeva come in gelosa carezza. Dalla fine caviglia al breve seno turgido, per le anche soavi in armonica curva, per il ventre teso e bianco e le spalle leggermente spioventi e la vita esile che parea dovesse troncarsi nel fremito del respiro, era ella di un'armonica bellezza insuperabile - fiore di soavissima grazia, nato alla gioia e del pensiero e del senso, dai misteri dell'essere.
L'acqua la rispecchiò ed ella volse intorno gli occhi lenti conscia dello spasimo ch'era per irrompere in un grido dai giovani petti dei cantori.
Ebium prese la corolla dalle mani del fanciullo e la posò sulle chiome bionde di Fiurlena. Poi fece cenno alle danzatrici le quali, incrociando tralci d'edera e di mirto e corone di rose, attorniarono la vincitrice.
Tutto intorno i cantori, i giovani delle alte terre, dalle persone possenti, dagli occhi accesi come gemme sogguardarono nell'ansia muta del desiderio. La bellissima adolescente fu cinta, sì, dall'impetuosa canzone della giovanezza; ma l'aprile, per quella volta, non s'ebbe la sua preda.
(Anna Perenna).