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Testo digitalizzato dal sottoscritto dall'opera Le Vie e la memoria dei padri di p. Mario Villani e Giuseppe Soccio, finanziata dalla Amministrazione Provinciale di Foggia nel 1999. Il testo è stato arricchito da foto di mia proprietà e/o nella mia disponibilità, in grande parte inedite.

Stele Daunia presente nel museo di San Matteo a San Marco in Lamis.
Stele Daunia presente nel museo di San Matteo a San Marco in Lamis.
Il castello di Manfredoniab_250_0_16777215_01_images_almanacco_istruzione_castello-svevo-di-manfredonia.jpg ospita un patrimonio archeologico di straordinario valore ed interesse: le stele daunie.
Si tratta di lapidi funerarie, rinvenute nelle campagne circostanti, risalenti al VII-VI secolo a.C., variamente scolpite ed incise, che ci tramandano il senso di mistero ed il bisogno di trascendenza che da sempre accompagna l'umana esistenza. Sin dall'età antica, quindi, dal territorio sipontino si sono irradiate espressioni di civiltà e di senso religioso per l'intera Daunia.
Sbocco al mare della misteriosa Arpi, fiorente emporio che portò i Romani a dedurla in colonia, , ha svolto, come altre città portuali di collegamento con l'Oriente, un ruolo decisivo per la cristianizzazione delle regioni intorno ad essa orbitanti.
E' sede di antica diocesi; la tradizione attribuisce a Siponto San Pietro la consacrazione di San Giustino, suo primo vescovo.
Annovera tra i suoi pastori San Lorenzo Maiorano, parente dell'imperatore d'Oriente Zenone e protagonista del racconto sulle apparizioni dell'Arcangelo Michele.
Nella alterne vicende che hanno visto il Meridione dominato e conteso da Goti, Bizantini, Longobardi, Arabi, Normanni, con tentativi fallimentari di affermazione di autonomia delle popolazioni autoctone, Siponto ha avuto un posto di rilievo, subendo spesso distruzioni, ma sempre risollevandosi, così come sempre si è ripresa dalle devastazioni prodotte dalle calamità naturali.
Acquaforte della Basilica di Siponto presente nella Biblioteca di San Matteo a San Marco in Lamis
Acquaforte della Basilica di Siponto presente nella Biblioteca di San Matteo a San Marco in Lamis
La sua fine arrivò sotto gli Svevi, ma per rinascere a qualche chilometro di distanza e assumere il nome di Manfredonia derivante da Manfredi, il biondo figlio di Federico II.
Alle vicende della città di Siponto sono sempre collegate quelle della diocesi, la quale dal VII al X secolo fu annessa a quella di Benevento.
Dell'antica Siponto, a parte qualche rudere, straordinariamente e quasi ad evidenziare una sua vocazione, è rimasto in piedi un monumento che, tra l'altro, ha un valore artistico notevole: il santuario di S. Maria Maggiore, cattedrale e, quindi, centro ufficiale della diocesi sipontina. Posto sulla via sacra dei pellegrini, il santuario della Madonna sipontina sorge attiguo ai resti di una basilica paleocristiana risalente ai tempi del vescovo Lorenzo.
Le tradizioni locali anticipano la sua costruzione a S. Giustino, e perciò al I secolo d.C.. Molto dibattuta, tra gli studiosi, la questione circa l'inglobamento nella struttura di un preesistente battistero e di altri edifici, ornati di mosaici, voluti dal vescovo Lorenzo, che hanno fatto meritare a Siponto l'appellativo di Ravenna del Sud.
Cripta della Basilica di Siponto - Aquaforte presente nella Biblioteca di San Matteo a San Marco in Lamis
Cripta della Basilica di Siponto - Aquaforte presente nella Biblioteca di San Matteo a San Marco in Lamis
L'edificio, di singolare pianta quadrata, secondo gli studiosi fu eretto tra la fine del secolo XI e l'inizio del XII, quando era vescovo Leone e si lega alle lunghe battaglie sostenute per affrancare la diocesi dalla dipendenza beneventana.
La sua esistenza già nel 1039 è testimoniata da un'epigrafe che documenta la presenza di un ambone monumentale, opera dello scultore Acceptus, che ha legato il suo nome a vari capolavori dell'epoca come la cattedra di Canosa ed il pulpito di Monte Sant'Angelo, che, insieme ad altre dotazioni, sottolinea il ritrovato prestigio dell'antica diocesi pugliese.
Il tempio nel 1117 fu consacrato da papa Pasquale II; nel 1049 e nel 1067 era stata sede di sinodi locali celebrati rispettivamente dai papi Leone IX e da Alessandro II.
Tra il 1223 e il 1250, a causa di terremoti, la città subì gravi danni; l'interramento del porto chiuse definitivamente la vicenda di Siponto.
Nel 1263 Manfredi prese la decisione di costruire una nuova città poco distante in un luogo più idoneo e di trasferirne gli abitanti.
Il culto della Vergine è intimamente legato alle vicende della chiesa e con essa è sopravvissuto per giungere fino ai nostri giorni.
Intorno al 1060 fu commissionato e realizzato il portale e la chiesa fu dotata dell'icona della Vergine con il Bambino. Anche in questo caso, la tradizione va oltre i limiti crononologici accertati: l'icona sarebbe stata donata dall'imperatore Zenone al vescovo Lorenzo a seguito delle apparizioni di San Michele.
Per secoli, inoltre, circolò la leggenda, comune per molte immagini della Vergine, secondo cui sarebbe stata dipinta da S. Luca. Di sicuro, però, sappiamo che la sua venerazione fu sempre viva nel corso dei secoli come attestano numerosi documenti e testimonianze. Nonostante devastazioni e saccheggi e nonostante il suo isolamento, l'antica cattedrale di Siponto è stata sempre nelle cure e nell'attenzione dei pastori della diocesi, non per la sua posizione urbanistica, evidentemente, né per la sua funzionalità organizzativa, bensì per la viva partecipazione popolare al culto della Madonna, che non può vedersi disgiunto da quello per S. Michele, sin dalle origini del santuario garganico.
Da Leandro Alberti, che la visitò nel 1525, a Gregorovius, che la descrive verso la fine dell'Ottocento, Santa Maria Maggiore ha sempre destato attenzione e meraviglia.
Manfredonia. Santa Maria di Siponto.
Manfredonia. Santa Maria di Siponto.
Ai primi del '500 importanti restauri furono eseguiti dagli arcivescovi Antonio Del Monte e Giovanni Maria Del Monte, il futuro papa Giulio III. Successivamente, anche l'arcivescovo Domenico Ginnasio rivolse le sue cure al consolidamento e all'abbellimento del sacro edificio.
Ma, è nel secolo XVII che il culto si intensificò ad opera soprattutto dell'arcivescovo Fr. Dionisio de Robertis, dell'ordine dei Servi di Maria, e, poi, dell'instancabile Fr. Vincenzo Maria Orsini, che fu papa col nome di Benedetto XIII, il quale, oltre a restaurare la chiesa, la riconsacrò il 23 giugno 1675.
L'immagine della Madonna, su legno di cedro, è quella classica delle icone ispirate alla tradizione orientale: la Vergine regge con il braccio sinistro il Bambino mentre questo esibisce il rotolo della Parola di Dio. Ma l'icona non è l'unica immagine della Vergine presente nella cattedrale di Siponto.
Fino a non molto tempo fa era conservata nella cripta della basilica una statua straordinaria. Alfredo Petrucci dice che quando la vide, nel 1927, era 'abbandonata e ricoperta di polvere' come una 'mendica'. Era chiamata dalla devozione del popolo la 'Sipontina'; seduta in trono con il Bambino benedicente sulle ginocchia; con gli occhi allargati in atteggiamento di doloroso stupore, e il mento coperto di strane macchie biancastre.
La fantasia dello scrittore la chiamò subito la 'Madonna dagli occhi sbarrati'; ma lo studioso non si fermò alle sensazioni; volle chiedersi perché la Madonna avesse quello sguardo così inquieto e sofferente. Il Petrucci collegò lo sguardo della Vergine Madre di Dio e degli uomini ad una leggenda narratagli qualche tempo prima da un vecchio popolano.
Tanto, tanto tempo fa una giovinetta era stata violentata da un parente del vescovo dell'epoca proprio davanti all'immagine della Madonna la quale "dal momento in cui fu consumata la nefandezza inaudita, si trasfigurò: i suoi occhi, già dolci e suadenti, furon visti diventare ogni giorno più grandi e finalmente restarono sbarrati come due finestre su una notte di procella". Anche la scomparsa di Siponto è collegata a questa leggenda.
La sventurata ragazza cercò la morte fra le onde, ma il mare, misericordioso, la riportò a terra. Le sue lacrime disperate si raccolsero originando il lago Salso il quale, a sua volta, determinò lo sviluppo delle paludi che saranno la causa della fine di Siponto. La narrazione del popolano di Manfredonia riporta il pensiero a Catella, figlia di Evangelio, diacono della chiesa sipontina, stuprata dal depravato nipote del vescovo Felice.
La vicenda è nota dalle lettere che S. Gregorio Magno inviò alla fine del sec. VI al suddiacono Pietro, al notaio Pantaleone e allo stesso vescovo Felice perché l'autore del delitto fosse punito e la sventurata Catella avesse giustizia.
La leggenda prosegue dicendo che le macchie bianche sul mento della statua sono il resto del vomito prodotto dalla Vergine a causa del mare grosso durante la traversata da Costantinopoli a Siponto.
Manfredonia. Santa Maria di Siponto.
Manfredonia. Santa Maria di Siponto.
La 'Sipontina', secondo quanto riferisce Serafino Montorio nel suo Zodiaco di Maria, fu rapita durante il sacco dei Turchi del 1620 ed in tale occasione due dita della mano furono recise. Ma, la Vergine, con materna premura 'da se stessa tornossene su quelle spiaggie; e perché fosse assai più chiaramente conosciuta la sua protezione, e perciò con più fervore venerata, non posossi nella propria Chiesa, ma trà giunchi delle vicine paludi' .
Ma se la 'Sipontina' consentì a mani infedeli comunque di rimuoverla dal suo luogo, la stessa cosa impedì che facessero mani cristiane e quando i cittadini di Manfredonia, in un'epoca imprecisata, è ancora il Montorio che racconta, tentarono di trasportarla nella città, per imperscrutabile volere divino, 'svegliossi nell'aria sì furiosa tempesta di grandini, pioggia, lampi, tuoni, e saette, che parea volesse inabissarsi il Mondo; perlocché spaventati cessarono da tale attentato'. Sempre secondo il Montorio, i guardiani di pecore, capre ed altri animali godono di una speciale protezione da parte della Madonna, tanto che a Lei offrono 'le primizie de' loro armenti'.
Il sacro tavolo, invece, veniva prelevato per essere portato in processione fino al duomo di Manfredonia in occasione di calamità e avversità. Man mano questa pratica processionale si ripeté in una data fissa fino a trasformarsi in una vera e propria ricorrenza e festa patronale 'con rito doppio di prima classe con l'ottava'. Secondo alcuni, la festa che tuttora si svolge ebbe origine tra il 1840 e il 1841 dopo un'epidemia colerica e a partire dal 1849 fu spostata da settembre al 30 agosto.
Nel 1872, durante la festa, il sacro tavolo subì gravi danni per un incendio; fu poi restaurato a Roma nel 1927 e il 28 agosto 1955 il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, futuro Giovanni XXIII il papa buono, incoronò in piazza Duomo la Madonna e il Bambino, mentre era arcivescovo Andrea Cesarano.
Come già accennato, il pellegrinaggio alla Madonna di Siponto era praticamente una tappa di quello che si concludeva alla grotta di San Michele.
Gli interventi miracolosi della Vergine sono confermati da numerosi attestati di vescovi ma, soprattutto, dagli ex voto. L'intervento salvifico della Madonna viene registrato nei casi più disparati ma quelli che riguardano naufragi e annegamenti sono i più numerosi e fanno comprendere come il Santuario di Santa Maria Maggiore a Siponto sia uno dei più importanti punti di riferimento della fede e della devozione della gente di mare, insieme alla Madonna della Libera a Rodi Garganico.

Fotografie

Immagini di Stele Daunie e di Santa Maria di Siponto Immagini di Stele Daunie e di Santa Maria di Siponto Immagini di Stele Daunie e di Santa Maria di Siponto
Immagini di Stele Daunie e di Santa Maria di Siponto Immagini di Stele Daunie e di Santa Maria di Siponto Immagini di Stele Daunie e di Santa Maria di Siponto

Testo digitalizzato dal sottoscritto dall'opera Le Vie e le memorie dei padri di p. Mario Villani e Giuseppe Soccio, finanziata dalla Amministazione Provinciale di Foggia nel 1999. Il testo è stato arricchito da foto di mia proprietà e/o nella mia disponibilità.

Manfredonia. San Leonardo di Siponto.
Manfredonia. San Leonardo di Siponto.
Al pellegrino che arrivava sul Monte Aquilone in cima alla salita di Santa Lucia, dopo aver attraversato la pianura arsa e deserta, le cupole di San Leonardo dovevano apparire come un'oasi di refrigerio.
Intorno a San Leonardo confluivano i pellegrini provenienti dalle regioni tirreniche i quali, attraversato il Vallo di Bovino e le sconfinate pianure del Tavoliere, giungevano alle radici del Gargano. Arrivavano anche quelli che, provenienti dalle regioni adriatiche, preferivano accostarsi al Gargano dalla parte di Siponto seguendo la strada pedemontana che da Civitate tagliava per la pianura lungo i contrafforti meridionali del promontorio.
Nient'altro giustifica l'esistenza di un complesso così imponente e bello al di fuori della strada che lo costeggia, percorsa da genti diverse provenienti dalle contrade più lontane, tutte dirette verso l'antro posto in cima al Monte Gargano dove alla fine del sec. V era apparso l'Arcangelo San Michele.
Il nome più comune con quale il complesso viene identificato è 'S. Leonardo di Siponto'; molti documenti, tuttavia, usano 'S. Leonardo alle Matine' preferito dai pellegrini provenienti dal settentrione i quali arrivavano a S. Leonardo dopo aver attraversato le Matine di Rignano Garganico e le Matine di S. Giovanni Rotondo.  Le 'Matine' sono i terreni posti immediatamente alla radice della montagna in leggero declivio e in posizione soleggiata.
Manfredonia. San Leonardo di Siponto.
Manfredonia. San Leonardo di Siponto.
Fu molto usata anche la denominazione di 'S. Leonardo in Lama Volara'; questo nome deriva dalla valle, o lama, Volaria verso la quale dolcemente declina la collinetta su cui è posto il santuario, chiamata così fin dal XII secolo dai Normanni per via dei numerosi ladri, voleurs in francese, che infestavano la zona.
La storia pone nel XII secolo la fondazione del monastero e della chiesa di San Leonardo. E' il tempo in cui si completa l'espansione normanna nel sud d'Italia. I nuovi popoli contendono ai Bizantini e ai Saraceni le fertili plaghe della Puglia e della Sicilia e pongono le basi di una diversa configurazione politica e sociale in cui la presenza dei popoli che vivono al di là delle Alpi diventerà duratura e stabile.
La storia del santuario di San Leonardo porta con sé, fin dalla sua fondazione, tutta la complessa vicenda delle successive straniere dominazioni dell'Italia meridionale. In essa è contenuta anche tutta la forza unificatrice della religione che attraverso la devozione a San Michele e l'esercizio della solidarietà verso i bisognosi, ha contribuito non poco a formare di tante stirpi un popolo solo.
Con l'arrivo dei Normanni, anche i percorsi devoti si erano affollati di genti straniere. La presenza dei pellegrini d'oltralpe si era maggiormente intensificata con le Crociate.
Insieme a loro era cresciuto tutto un sistema di accoglienza e di assistenza che soddisfaceva i bisogni spirituali e quelli materiali.
Manfredonia. San Leonardo di Siponto.
Manfredonia. San Leonardo di Siponto.
Il santuario di San Leonardo fu tenuto a battesimo dai Canonici Regolari di San'Agostino, probabilmente provenienti, al seguito dei Normanni, dal monastero francese di San Leonardo presso Limoges.
Loro compito, nella nuova realtà pugliese, era quello che già svolgevano sia nel monastero di Limoges, sia al Passo di San Bernardo ai confini della Svizzera: accudire i pellegrini di passaggio.
Uno dei documenti più antichi riguardante San Leonardo lo colloca 'iuxta stratam peregrinorum inter Sipontum et Candelarium'.
Attraverso i Canonici Regolari di Sant'Agostino il culto per San Leonardo di Noblac, amico e discepolo di San Remigio, venerato come liberatore dei prigionieri e degli schiavi, approdava nella Capitanata e ben presto la bellissima chiesa eretta in suo onore divenne centro di diffusione del suo culto in tutta l'Italia Meridionale, soprattutto durante i secoli delle Crociate.
Molti combattenti e pellegrini, infatti, finiti prigionieri dei Saraceni, ricorrevano con fede al santo. Questo patrocinio fu sempre molto vivo nella coscienza religiosa dei fedeli, e anche in tempi moderni intorno alle statue di San Leonardo vengono appese catene e ceppi portati come ex voto.
Nel 1525 Leandro Alberti, che qualche anno prima aveva visitato il santuario, raccontava di aver visto "grandi raunamenti di ferramenti di diverse maniere, siccome cathene, boche, colari et altre simili generationi di ferramenti (da tenere prigioni et cathenati gli huomini) da li quali sono stati liberati miracolosamente le persone per li meriti, et prieghi di detto glorioso Santo Leonardo et etiandio istratti dalle carceri tanto de li christiani quanto de li infedeli et anche dalle Galee, et poi quivi portati in memoria della miracolosa liberatione".
Il primo secolo della vita del santuario fu fervido di attività religiosa ed edilizia. I pellegrini crescevano e per loro fu costruito un grande ospizio. Anche il bellissimo tempio romanico fu eretto in quell'epoca. Lo stupendo portale della facciata settentrionale, che tanto rappresenta nella storia dell'arte e della devozione della Capitanata, fu fatto tenendo presenti molti elementi importati dalla patria di San Leonardo e dei Canonici fondatori: la Francia.
Il santuario, per i servizi resi ai pellegrini fu dai re Normanni ripieno di benefici materiali, mentre i papi non mancarono di arricchirlo di privilegi spirituali.
Tra i benefizi ottenuti si ricorda l'esenzione dalla giurisdizione dei vescovi e la soggezione del santuario direttamente alla Sede Apostolica. Anche i re della casa di Svevia, Enrico VI e suo figlio Federico II, eredi dei Normanni, furono larghi di favori verso il santuario.
Federico II fu tuttavia indirettamente causa della decadenza del santuario.
Le sue truppe saracene, acquartierate a Lucera, non sempre controllabili da parte delle autorità imperiali, con le frequenti scorrerie rendevano la vita difficile a molte popolazioni della Capitanata.
Il territorio appartenente a San Leonardo era stato particolarmente preso di mira sì che le derrate prodotte erano sistematicamente rapinate e le strade erano insicure.
Manfredonia. San Leonardo di Siponto.
Manfredonia. San Leonardo di Siponto.
Le condizioni economiche del santuario calarono vertiginosamente. I Canonici, ormai ridotti a sette, dopo la morte del loro Priore, chiesero l'intervento del Papa. Dopo una rapida inchiesta condotta da Risando vescovo di Melfi e da frate Eustasio, Priore dei Domenicani di Barletta, col beneplacito dell'Imperatore Federico II, il Papa nel 1260 affidò il monastero ai Frati Teutonici dell'Ospedate di S. Maria in Gerusalemme.
I Frati, conosciuti col nome di Cavalieri Teutonici, alla metà del sec. XIV, data la maggior ricchezza della nuova casa e la sua migliore posizione rispetto ai flussi di pellegrini che arrivavano o transitavano per la Puglia, trasferirono da Barletta a San Leonardo la loro casa principale di Puglia, la Bagliva.
I Cavalieri Teutonici zelarono il culto di San Leonardo il cui tempio alla fine del sec. XIV, come dice un anonimo cronista dell'epoca 'era tenuto in grandissima stima da tutti gli Italiani'.
Con il culto crescevano anche i pellegrinaggi e gli ex voto.
Pietrantonio Rosso ricorda come 'Ferdinando d'Aragona essendo principe di Altamura, cascò da cavallo e fece voto di visitare la chiesa di San Leonardo alle Matine'.
Nello stesso secolo ad opera del precettore Giovanni di Argentina (Strasburgo), il complesso dell'ospizio fu interamente rinnovato e ingrandito. Sia gli Angioini che gli Aragonesi colmarono di favori il santuario di San Leonardo, il quale ebbe nuove proprietà e molte grancie, o case filiali, sparse per tutta la Capitanata e anche in altre province.
Verso la fine del sec. XIV ci fu la grande crisi dell'Ordine Teutonico. Alla potenza politica e militare che aveva portato l'Ordine ad impadronirsi di intere regioni dell'Europa centro-orientale, faceva riscontro una vita religiosa molto rilassata, con una disciplina conventuale languente e priva di spirito religioso. A ciò si aggiunga, per quanto riguarda la Bagliva di Puglia, una particolare crisi di rapporti interni, accompagnata da grave dissesto economico derivante sostanzialmente dallo stato di confusione in cui versava il Regno di Napoli.
Per quasi tutto il sec. XV il santuario di San Leonardo si dibatté in enormi difficolta derivanti da uno stato economico disastrato e da liti interne.
Durante questo secolo il santuario perdette la sua autonomia e divenne un beneficio concistoriale affidato a un Abate Commendatario.
L'ultimo personaggio dell'Ordine dei Teutonici che si occupò di San Leonardo fu Stefano Gruebe vescovo di Troia.
Durante la sua direzione gli abitanti di Troia ebbero il privilegio di partecipare alla festa dell'Ascensione che si celebrava solennemente a San Leonardo costituiti in squadra paramilitare con bandiere e tamburi.
Manfredonia. San Leonardo di Siponto.
Manfredonia. San Leonardo di Siponto.
Questa usanza fu tenuta in auge per diversi secoli. Il Gruebe terminò il suo mandato nel 1482 quando fu eletto Arcivescovo di Riga.
Partito il Gruebe, si aprì per San Leonardo un periodo molto confuso caratterizzato dal tentativo dei vari Abati Commendatari di recuperare quelle parti del patrimonio abbaziale che erano state usurpate. Agli inizi del sec. XVI la saggia amministrazione degli Abati Commendatari Nicolò e Taddeo Gaddi, fiorentini, rispettivamente vescovo di Fermo e Cardinale del titolo di San Teodoro, portò il patrimonio della vecchia abbazia a livelli mai visti prima.
Quando, nel 1557, il re Filippo II ebbe bisogno di denaro per finanziare la sua guerra contro la Francia, San Leonardo di Siponto fu costretto a sborsare ottocentottantotto ducati che 'fu il massimo tra quelli versati da ciascuna delle altre chiese, abazie e benefici', mentre l'abbazia di San Giovanni in Lamis, attualmene convento di San Matteo, ne versò solo centoundici.
Così ricorda Don Silvestro Mastrobuoni nella sua monografia su San Leonardo. L'Ughelli, nella sua opera Italia Sacra, classifica questa abbazia come la più ricca d'Italia, riconoscendole un reddito annuo di ben ventimila fiorini d'oro.
Nel 1560, per soli cinque mesi, fu Abate Commendatario di San Leonardo anche S. Carlo Borromeo. Durante gli ultimi anni del sec. XVI e i primi decenni del XVII furono Abati Commendatari diversi personaggi della potente famiglia Gaetani i quali si distinsero per la saggia amministrazione dei beni dell'abbazia.
Questa famiglia colse con prontezza la spinta delle nuove esigenze religiose e sociali operanti intorno a San Leonardo e favorì una robusta opera di riconversione delle sue strutture di accoglienza affidandole a un ordine religioso, i Frati Minori Osservanti, dotato della duttilità necessaria a cogliere i nuovi fermenti pur nella fedeltà al primigenio spirito religioso che cratterizzava il santuario.
Tra la fine del sec. XV e durante buona parte del XVI le continue guerre a cui era stato sottoposto il Regno di Napoli avevano reso poco sicuri i percorsi. Le comitive devote erano diminuite notevolmente.
Nel frattempo intorno alla zona di San Leonardo si era sviluppato un nuovo flusso di forestieri legato non tanto ad interessi religiosi, quanto economici. San Leonardo era diventato uno dei punti più intensamente colonizzato dai pastori abruzzesi con le loro greggi transumanti. Costoro occupavano quasi tutta l'area da settembre a maggio.
I Frati, giunti a San Leonardo nei primi decenni del sec. XVII, si dedicarono all'apostolato fra i pastori.
Le frequenti visite e le questue ad opera dei fratelli laici portavano fra i devoti abruzzesi il profumo della Parola di Dio; la tradizionale festa dell'Ascensione, voluta come festa propria del Santuario dall'imperatore Federico II, fu celebrata con grande solennità e arricchita di un grande mercato; l'antico ospizio dei pellegrini, infine, venne ristrutturato per servire da ospedale per i pastori abruzzesi e per i pellegrini che, sebbene in numero ridotto, continuavano a scorrere per la vecchia strada; le rendite del beneficio furono in gran parte devolute per le spese dell'ospedale.
Il rapporto dei Frati Minori con l'abbazia di San Leonardo era di puro servizio: custodivano la chiesa, accoglievano i pellegrini, facevano opera pastorale fra i pastori abruzzesi, conducevano l'ospedale. In cambio l'Abate Commendatario assicurava loro vitto e alloggio.
Manfredonia. San Leonardo di Siponto.
Manfredonia. San Leonardo di Siponto.
Alla fine del sec. XVIII l'abbazia venne dichiarata di regio patronato e integrata nei beni demaniali. Nel primo decennio del nuovo secolo i Frati furono estromessi da S. Leonardo dalle leggi eversive volute dal regime di Gioacchino Murat. L'ospedale venne soppresso.
Le rendite dei territori abbaziali, divenuti demaniali, furono devolute al nuovo Ospedale costruito in Foggia, affidato alle cure dei Frati di San Giovanni di Dio, i Fatebenefratelli. L'antico monastero venne abbandonato, e ben presto si videro i segni della decadenza.
Nel 1821 il priore dei Fatebenefratelli di Foggia, fra Baldassarre Vitelli, fece portare a Foggia venticinque carrette cariche di porte, finestre, embrici e tavole divelte dall'edificio di san Leonardo per servire al nuovo ospedale.
Nel 1874 il Gregorovius vide l'antica abbazia e pianse la sua gloria. Sulle mura della chiesa si notavano ancora, benché sbiaditi, gli stemmi dei Cavalieri Teutonici che l'avevano custodia ma la rovina era grande. 'Ora San Leonardo è diventato centro di una fattoria e non è abitato che da pecorai', lasciò scritto.
Per oltre un secolo San Leonardo fu rifugio di pecorai e di ladri; la sua sacralità fu violata e infamata mille volte; le sue volte decorate e i portali diedero rifugio a viandanti e animali randagi, nidi di ucceli e sciami d'api.
Tale lo vide Riccardo Bacchelli il quale a lungo rimase attonito dinanzi a quella porta 'cieca che al tempo delle crociate fu aperta a monaci, a dottori, a cavalieri, a dame e a re di corona'.
Quanto era sopravvissuto rischiò di essere spianato nel 1945 quando l'autorità militare decise di far brillare le bombe abbandonate nelle vicinanze dalle forze armate che si erano succedute durante la guerra. Per fortuna intervennero le Belle Arti e furono salvati la chiesa e l'ospedale. Dal 1950 la chiesa è nuovamente aperta al culto.
Come da antica tradizione si celebra solennemente la festa dell'Ascensione.

San Leonardo di Siponto San Leonardo di Siponto San Leonardo di Siponto
San Leonardo di Siponto San Leonardo di Siponto San Leonardo di Siponto
San Leonardo di Siponto San Leonardo di Siponto San Leonardo di Siponto
 

Testo digitalizzato dallo scrivente dall'opera Le Vie e la memoria dei padri di p. Mario Villani e Giuseppe Soccio, finanziata dalla Amministazione Provinciale di Foggia nel 1999. Il testo è stato arricchito da numerose foto di mia proprietà che illustrano alcune bellezze di Monte Sant'Angelo.
Il webmaster

La Grotta di S.Michele Arcangelo - Da una vecchia cartolina.
La Grotta di S.Michele Arcangelo - Da una vecchia cartolina.
La storia del culto di San Michele non inizia dal Gargano. In occidente, già prima della fine del sec. V il 29 settembre a Roma si festeggiava la dedicazione della Basilica di San Michele sulla via Salaria.
In Oriente numerosi erano i santuari dedicati a San Michele ubicati nelle vicinanze di sorgenti termali presso le quali si raccoglievano gli ammalati attirati dalle virtù medicamentose dell'acqua.
Quei primi cristiani, ricordandosi dell'angelo che agitava le acque della Piscina Probatica, presso Gerusalemme, rendendole capaci di guarire gli infermi, avevano identificato in San Michele l'angelo benefattore e avevano pensato che fosse il medesimo angelo a rendere benefiche tutte le acque termali, dovunque esse fossero.
Avendo, inoltre, letto nel libro di Giobbe come il nemico di ogni bene, il diavolo, avesse ricoperto il grande Paziente di una piaga maligna dalla testa ai piedi, identificarono nel diavolo il massimo autore del male fisico, oltre che del male spirituale.
Pensarono, allora, che come ci difende contro il maligno dal male dell'anima, così San Michele ci difende dal male del corpo.
La storia del culto di S. Michele sul Gargano è stata a noi tramandata dal Liber de apparitione sancti Michaelis in monte Garganob_250_0_16777215_01_images_mario-villani_tooltips_liber-apparitio.jpg, chiamato per brevità Apparitio, redatto tra la fine del sec. VIII e gli inizi del IX.
Gli studiosi dicono che questa operetta, malgrado l'apparente unità, presenta due momenti redazionali diversi.
Il più antico si riferisce agli inizi del culto michaelico sul Gargano risalente al V-VI secolo. In esso si parla dell'arrivo del culto e della consacrazione della basilica fatta personalmente dall'Angelo; si parla anche delle guarigioni operate da S. Michele per mezzo dell'acquab_250_0_16777215_01_images_mario-villani_tooltips_miracolo-chonae.jpg, la Stilla, che veniva raccolta dallo stillicidio della roccia.
Cartolina di Montesantangelo del 1959.
Cartolina di Montesantangelo del 1959.
Il secondo momento si riferisce alla metà del sec. VII, quando i Longobardi di Benevento, sconfitti nel 650 i Bizantini, occuparono il santuario e unificarono le due diocesi di Benevento e di Siponto fino al quel momento distinte.
Il racconto dell'Apparitio è scandito in tre episodi.
Il primo è quello del toro.
Nella città di Siponto viveva un ricchissimo signore, padrone di grandi armenti.
Era un personaggio importante e conosciuto da tutti. Si chiamava Gargano e il suo nome, dice l'anonimo autore dell'Apparitio, in seguito venne a designare la stessa grande montagna.
Una sera s'accorse che il più bel torob_250_0_16777215_01_images_mario-villani_tooltips_san-michele-sul-gargano-02.jpg dei suoi armenti mancava alla conta.
Il giorno dopo di buon mattino, con una numerosa squadra di pastori, cominciò ad esplorare la campagna spingendosi fin sui dirupi montani a picco sul mare. Finalmente ritrovò il suo toro sulla soglia di una caverna inaccessibile, alta sulla cima della montagna.
L'ingresso della Basilica di San Michele a Montesantangelo.
L'ingresso della Basilica di San Michele a Montesantangelo.
Accecato dall'ira e dalla fatica, Gargano, preso il suo arco, scagliò una freccia contro il toro indocileb_250_0_16777215_01_images_mario-villani_tooltips_san-michele-sul-gargano-04.jpg.
La freccia, però, percorsi pochi metri, come deviata da vento impetuoso, invertì la sua traettoria e colpì lo stesso Gargano che l'aveva scagliata.
Il fatto scosse il torpore della tranquilla cittadina di pescatori e di pastori. Molti traevano funesti presagi. Il vescovo indisse tre giorni di digiuno e di penitenza al termine dei quali gli apparve l'arcangelo Michele. "Hai fatto bene, gli disse l'arcangelo, ad ordinare il digiuno; gli uomini infatti ormai erano diventati troppo pigri nel cercare le vie del Signore... Io sono Michele arcangelo e sto sempre al cospetto del Signore. Questo fatto è avvenuto perché sappiate che questa terra e i suoi abitanti mi sono stati affidati perché io sia loro "ispettore e custode".
Scultura presente sulla facciata della Basilica di San Michele a Montesantangelo.
Scultura presente sulla facciata della Basilica di San Michele a Montesantangelo.
Gli studiosi si soffermano molto su questo episodio rilevando in sostanza come esso, al di là degli elementi leggendari e di colore, sottolinei il passaggio della regione garganica dal paganesimo, rappresentato dall'irascibile e potente signore chiamato Gargano, al cristianesimo in cui la montagna diventa il luogo privilegiato della presenza di Dio e dei suoi angeli.
La leggenda del torob_250_0_16777215_01_images_mario-villani_tooltips_san-michele-sul-gargano.jpg fu rappresentata numerose volte dall'Alto Medioevo ai nostri giorni sia in Italia che negli altri paesi europei.
La più antica è una raffigurazione pittorica esistente nello stesso santuario di Monte Sant'Angelo in uno degli affreschi eseguiti alla fine del sec. X sulle preesistenti strutture murarie.
Molto interessante anche un bassorilievo, eseguito fra il XII e XIII secolo, scoperto da qualche anno sul lato orientale del castello di Dragonara in Capitanata. Notevole è anche l'affrescob_250_0_16777215_01_images_mario-villani_tooltips_san-michele-sul-gargano-03.jpg di Iacopo del Casentino, già attribuito a Cimabue, della cappella Velluti nella chiesa di Santa Croce a Firenze.
Lo storico tedesco Gregorovius, che nel secolo scorso aveva visitato la basilica di Monte Sant'Angelo, ricorda, nella sua opera Passeggiate in Campania e in Puglia, di aver visto lo stesso episodio riprodotto dal Dürer nel palazzo reale di Schleissheim, vicino Colonia.Il secondo episodio è quello della Vittoria.
Scoppiò una guerra: da una parte i napoletani, presentati dall'Apparitio come ancora pagani, dall'altra, insieme, beneventani e sipontini.
Prima dello scontro il vescovo indisse un digiuno di tre giorni per chiedere la protezione dell'arcangelo. S. Michele gli apparve assicurando vittoria certa. Il giorno dopo i sipontini, lieti della protezione angelica si accinsero a tagliare il passo ai napoletani pieni di spirito demoniaco.
All'improvviso la grande montagna del Gargano cominciò a tremare, e poi a fumare come un vulcano, mentre nella tenebra piovevano sui pagani saette di fuoco.
I napoletani fuggirono atterriti inseguiti da beneventani e sipontini fin sotto le mura della loro città. Gli scampati dal ferro dei sipontini e dalle saette infuocate del monte Gargano, si convertirono al cristianesimo.
Quando i vincitori, tornati al loro paese, vollero salire alla grotta dell'Arcangelo per ringraziarlo, notarono stupefatti un'orma umana, piccola, come di giovinetto, impressa sulla pietra presso la porta settentrionale della grotta.
L'episodio della Vittoria, narrato dall'Apparitio, diventa più chiaro se raffrontato con altre fonti storiche.
Siamo alla metà del sec. VII, intorno al 650. A quell'epoca la Puglia e buona parte dell'Italia Meridionale erano ancora amministrate dai Bizantini.
I Longobardi, attestati saldamente nel ducato di Benevento, compivano frequenti scorrerie nei territori bizantini e miravano decisamente alla conquista della Puglia settentrionale.
Questa situazione non poteva essere chiaramente tollerata dai Bizantini, allarmati dalla crescente attività espansionistica longobarda.
Con una punta di malignità lo storico longobardo Paolo Diacono, nella sua Historia Langobardorum, afferma che i Bizantini assalirono il Santuario dell'arcangelo Michele a Monte Sant'Angelo attirati dai tesori che custodiva.
In effetti i Bizantini volevano riaffermare con forza la loro autorità sulle fertili pianure della Puglia settentrionale a cui i Longobardi, stretti fra la alture del Sannio, guardavano con grande interesse.
Non ci riuscirono e da questo momento la storia del santuario di S. Michele sul Gargano s'intrecciò strettamente con quella dei Longobardi delle regioni meridionali, ma anche con la storia delle popolazioni longobarde dell'Italia settentrionale e centrale.
A cominciare dalla vittoria dei Longobardi sui Bizantini, si affievolì il particolare orientamento della devozione popolare a S. Michele, venerato come l'angelo della sanità.
Particolare del bellissimo campanile ottagonale della Basilica dedicata a San Michele a Montesantangelo.
Particolare del bellissimo campanile ottagonale della Basilica dedicata a San Michele a Montesantangelo.
La figura di S. Micheleb_250_0_16777215_01_images_mario-villani_tooltips_san-michele-sul-gargano-05.jpg venne caratterizzata principalmente nel senso che più chiaramente emerge dalla Bibbia e soprattutto dal libro dell'Apocalisse, quella del Principe delle milizie celesti, difensore dei diritti di Dio.
San Michele divenne, insieme a San Giovanni Battista, il santo nazionale dei Longobardi. La sua immagine fu spesso impressa sulle monete.
Cuniperto quando nel 671 ascese al trono di Pavia fece dipingere l'immagine di San Michele sugli scudi dei guerrieri.
Paolo Diacono riferisce che il duca del Friuli Alahis si rifiutò di affrontare in duello personale Cuniperto perché sullo scudo di questi era raffigurata l'immagine di San Michele su cui aveva giurato fedeltà al re.
Il terzo episodio riferito dall'Apparitio è quello della Dedicazione.
Dopo tutti questi fatti la grotta delle apparizioni fu al centro dell'attenzione religiosa dei sipontini.
I pellegrinaggi si moltiplicavano anche dai paesi vicini e da tutto il ducato di Benevento. Ma non essendo stata consacrata, la grotta non era un luogo di culto, per cui il vescovo di Siponto non sapeva cosa fare. Gli apparve ancora una volta l'arcangelo Michele il quale gli disse di aver provveduto lui stesso a consacrare la Grotta; il vescovo poteva, quindi, tranquillamente compiere atti di culto, celebrare la messa e autorizzare i pellegrinaggi.
Un santo su misura: S. Michele e i Longobardi
Testimonianze epigrafiche
Da questo momento il santuario garganico fu uno dei centri religiosi più frequentati di tutta Europa.
Recenti studi dell'Istituto di studi classici e cristiani dell'Università di Bari, hanno messo in luce un complesso epigrafico notevolissimo di età compresa fra il VI e il XII secolo.
Esso è costituito principalmente da iscrizioni di pellegrini incise sulle pareti di pietra della primitiva galleria di ingresso del Santuario.
La costruzione della galleria è da attribuire all'interesse che i Longobardi subito ebbero per San Michele. Fino al sec. VII il santuario era costituito dalla semplice grotta che si apriva ben alta, in cima a un'aspra salita, immediatamente sotto la vetta della montagna.
I pellegrini che arrivavano dalla valle Carbonara dovevano percorrere gli ultimi 200 metri arrampicandosi sulle rocce per arrivare alla Grotta.
I Longobardi, già nel secolo VII addolcirono la salita costruendo alla base del tratto finale una galleria che serviva come vestibolo da cui si saliva al piano superiore dove un porticato chiudeva la Grotta a settentrione.
Quello fra i Longobardi e San Micheleb_250_0_16777215_01_images_mario-villani_tooltips_san-michele-sul-gargano-06.jpg fu fin dal primo istante un rapporto privilegiato; nell'Arcangelo i biondi guerrieri venuti dal nord identificarono l'eroe di Dio, capo delle schiere angeliche, difensore dei diritti di Dio. Essi contribuirono come nessun altro popolo alla diffusione del culto di S. Michele.
D'altra parte, la loro devozione a S. Michele favorì in maniera determinante il passaggio del Longobardi dall'arianesimo al cattolicesimo. Il santuario garganico fu assunto ben presto dai Longobardi a loro santuario nazionale.
In una iscrizione incisa dopo il 687 si attesta che il duca Romualdo I, figlio di Grimoaldo I "spinto dalla devozione, per ringraziamento a Dio e al santo Arcangelo, volle che si realizzasse la costruzione del Santuario e ne fornì i mezzi. Gaidemari fece".
Un'altra iscrizione ricorda la visita al santuario di Romualdo II e di sua moglie Gunperga avvenuta nei primi anni del sec. VIII "L'Angelo Gabriele vi protegga, duca Romualdo, Gunperga. Dio da al re il tuo giudizio e al figlio del re la tua giustizia" con cui il duca Romualdo invoca Dio perché assista nell'esercizio del potere il figlio, il futuro Gisulfo II che regnò dal 742 al 751.
Accanto a queste iscrizioni riguardanti personaggi famosi, si leggono molte centinaia di iscrizioni che ricordano il passaggio di pellegrini di ogni stirpe e ceto sociale.
L'analisi dei nomi, fatta dagli studiosi dell'Università di Bari, denota una netta prevalenza di popolazioni longobarde.
Vi sono tuttavia anche iscrizioni incise nell'antico alfabeto runico che tramandano nomi dell'area britannica.
Durante il medioevo il culto di San Michele si diffuse in tutta Europa. La Sacra Grotta, insieme al Sepolcro di Gesù a Gerusalemme, alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo a Roma e al santuario di San Giacomo di Compostela in Spagna, divenne uno dei quattro grandi grandi santuari della Cristianità.
Il percorso completo venne sintetizzato col motto "Deus, Angelus, Homo". A questi santuari ci si recava per esigenze penitenziali; spesso, infatti il cammino di conversione si identificava col pellegrinaggio a uno di questi quattro santuari.
La fatica del cammino, la lontananza dalla casa e dalle comodità, la precarietà delle situazioni, l'asprezza delle condizioni, i pericoli e i disagi delle contrade sconosciute ponevano il pellegrino nelle condizioni di tornare a se stesso, di sperimentare la provvidenza di Dio, la carità dei fratelli, il senso della propria miseria, la dolcezza della scoperta di Dio come unico bene e unica speranza.Frequentemente questi santuari erano arricchiti della indulgenza plenaria, soprattutto in occasione dei Giubilei.
Si moltiplicarono i santuari dedicati all'Arcangelob_250_0_16777215_01_images_mario-villani_tooltips_mont-saint-michel.jpg, soprattutto lungo le grandi vie di comunicazione battute dai pellegrini.
Molto spesso, nella costruzione di questi santuari veniva murata, tra le opere di fondazione, una pietra proveniente dalla Grotta di Monte Sant'Angelo, ed elargita, come speciale segno di benevolenza, dagli stessi Papi.
La pratica, tuttora in uso, è antichissima essendo stata regolata addirittura in una disposizione di papa Gregorio II (715-731).
Tra i personaggi più importanti che visitarono il nostro santuario si annoverano diversi Papi. L'ultimo Papa pellegrino alla Grotta dell'Arcangelo è stato Giovanni Paolo II, nel maggio del 1987. La tradizione assegna a Gelasio I, sotto il cui pontificato, alla fine del sec. V, si ebbero le apparizioni di San Michele sul Gargano, l'inizio della serie dei papi pellegrini. Certamente pellegrino è stato Leone IX nel 1049, nello stesso anno della sua elevazione al soglio pontificio.
Nel 1093 era pellegrino sul Gargano Urbano II, il banditore della prima Crociata. Con molta probabilità anche il pontefice Callisto II fu pellegrino alla Grotta di San Michele in occazione del concilio di Troia dell'anno 1120.
Il papa Alessandro III, l'intrepido oppositore di Federico Barbarossa e protettore dei Comuni Lombardi, fu pellegrino nel gennaio 1177 quando consacrò la chiesa dell'Abbazia di Pulsano, nei pressi di Monte Sant'Angelo.
Anche Gregorio X, proveniente dalla Palestina, dove era stato sorpreso dalla elezione a papa, salì all'inizio del 1272 alla sacra Grotta, prima di recarsi a Roma dove fu consacrato.
Molti altri sono i papi che la tradizione dice essere stati pellegrini alla Grotta dell'Arcangelo.
Anche molti regnanti si recarono pellegrini alla Basilica Angelica. Sopra si accennava ai molti personaggi delle case regnanti lingobarde. Il più importante e noto imperatore pellegrino fu Ottone III di Sassonia.
Costui il 29 aprile 998 aveva fatto decapitare sugli spalti di Castel S. Angelo a Roma Giovanni, detto Nomentano, della celebre famiglia romana dei Crescenzi, che si fregiava del titolo di Senator omnium romanorum, nel tentativo di porre fine allo stato di endemica confusione in cui erano cadute Roma e la sede Apostolica per la presenza ingombrante e sovvertitrice di alcune grandi famiglie, tra cui i Crescenzi.
Il saeculum obscurum, in cui gli accadimenti ebbero luogo, era fecondo di vicende tenebrose e confuse, di tradimenti, di ricatti per cui niente era quel che sembrava.
Ma Ottone III era troppo buon cristiano per non sentire il peso del suo delitto. Dopo un lunghi colloqui con i suoi direttori spirituali, San Romualdo fondatore dell'eremo di Camaldoli e San Nilo fondatore del monastero di Grottaferrata, su imposizione di San Romualdo, nel 999 iniziò il suo viaggio penitenziale verso la Grotta dell'Arcangelo per espiare il suo peccato.
Campagna di Napoleone in Spagna nel 1808. A tale impresa partecipò anche il generale Duhesme, che nel 1799 aveva saccheggiato, tra l'altro, la Basilica di S. Michele.
Campagna di Napoleone in Spagna nel 1808. A tale impresa partecipò anche il generale Duhesme, che nel 1799 aveva saccheggiato, tra l'altro, la Basilica di S. Michele.
Il viaggio da Roma al Gargano fu come un bagno ristoratore per le contrade attraversate. Dovunque l'imperatore penitente suscitò un rinnovamento spirituale; tutti i cronisti dell'epoca sottolinearono il ritorno alle fresce sorgenti della spiritualità che il viaggio imperiale aveva suscitato non solo fra le classi aristocratiche, ma anche fra il popolo.
L'imperatore restò diversi giorni a Monte Sant'Angelo, e di ritorno, trascorse altri quaranta giorni in stretta penitenza nel monastero di S. Apollinare in Classe, presso Ravenna, dove il suo amico San Romualdo era Abate.
Anche Enrico II, detto il Santo e venerato come tale dalla Chiesa Cattolica, successore di Ottone III, si recò come pellegrino a Monte Sant'Angelo. Il piissimo Imperatore era molto devoto dell'Arcangelo Michele, a lui aveva dedicato una grande Badia benedettina fondata presso Bamberga; l'incoronazione a Imperatore era avvenuta, inoltre, nella chiesa di San Michele a Pavia.
Il pellegrinaggio di Enrico II avvenne nella primavera del 1022 e fu tramandato alla storia da un episodio straordinario. L'imperatore volle trascorrere una notte nella Mistica Grotta. Durante la preghiera ebbe la visione di innumerevoli schiere angeliche, che cantavano attorno all'altare e vi celebravano il culto mentre Dio stesso, per mezzo di un angelo, gli faceva baciare la Bibbia.
Tra i pellegrini illustri dobbiamo annoverare anche la contessa Matilde di Canossa, e poi una moltitudine di re e regine di tutte le case regnanti che si sono succedute a Napoli, in Italia e in tutta Europa fino ai Borboni di Napoli e ai principi di Casa Savoia.
Fra i Santi pellegrini sono da ricordare, oltre ai Santi Guglielmo e Pellegrino, Guglielmo da Vercelli, Giovanni da Matera e Francesco di Assisi, di cui si è parlato sopra, anche una innumerevole schiera di Santi attirati non solo dalla figura dell'Arcangelo ma anche dal misticismo dei luoghi, dalla loro solitudine raffinata e piena di presenze.
Si ricorda che San Tommaso d'Aquino, prima di trasferirsi a Parigi, mentre era professore di Teologia a Napoli, avendo accettato dal Re Carlo I d'Angiò di tenere pubbliche lezioni a Foggia in cambio di un'oncia d'oro, tra una lezione e l'altra si recò al santuario dell'Arcangelo.
Un altro santo domenicano pellegrino fu San Vincenzo Ferreri invitato dalla lontana Spagna a predicare in Puglia per ricondurre alla fede cattolica gli eretici Valdesi.
Furono pellegrini anche Sant'Antonino da Firenze, San Camillo De Lellis e tanti altri.
Non tutti i visitatori del santuario furono pellegrini. Come tutte le strade, anche quelle dei pellegrini spesso sono battute da briganti e grassatori.
Molte volte è accaduto nella storia che illustri personaggi non abbiano visitato il santuario per arricchirlo con l'omaggio di umile offerta, segno di animo devoto, bensì abbiano asportato e depredato, magari con la comoda copertura di ideologie correnti.
Greci, Longobardi e Saraceni spesse volte considerarono il Santuario come una sorta di cassaforte ove attingere risorse e ricchezze.
Fra gli episodi più truci sono da ricordare la spoliazione del normanno Guglielmo I il Malo accaduta nel 1160.
Altro episodio degno di memoria fu la pesante imposizione di consegnare i vasi sacri fatta da Federico II di Svevia nel 1229.
Coronato dell'Angelo coniato da Ferdinando I.
Coronato dell'Angelo coniato da Ferdinando I.
Ma anche sovrani di confessata fede cattolica non esitarono a raccogliere preziosi frutti nella vigna del Signore.
Così Alfonso I di Aragona, nel 1442 asportò dalla Celeste Basilica la statua d'oro per farne monete, dal suo nome chiamate Alfonsine.
Gesto analogo fu quello di Ferdinando I d'Aragona il quale nel 1461 fece man bassa di tutti gli oggetti preziosi della Basilica e della stessa statua d'argento.
Tutto fu trasformato in monete sonanti le quali, ornate dell'effigie dell'Arcangelo, furono chiamate Coronati dell'Angelo.
L'ultima grande ruberia fu fatta il 2 marzo 1799 dai soldati francesi del generale Duhesme.
Misero a sacco l'intera città; il solo il santuario fruttò tanta roba preziosa da caricarne 24 muli. Nulla sfuggì all'accurata caccia della soldataglia.
Fu ripetuto così, nel 1799, il gesto sacrilego già compiuto nel 1528 da altri francesi non meno rapaci appartenenti alle soldatesche di Francesco I.
Coronato dell'Angelo coniato da Ferdinando I.
Coronato dell'Angelo coniato da Ferdinando I.
Anche oggi il pellegrinaggio è una realtà viva nella sua valenza ecclesiale e salvifica: esso è fatica di trasformazione attraverso la penitenza, silenzio interiorizzante, esercizio di fraternità, progressivo percepire la propria partecipazione alla città dei santi.
E' in definitiva il viaggio della vita che viene a concludersi nella Casa del Padre, simbolicamente rappresentata dalla penombra piena di presenze e di mistero della Caverna dell'Angelo.
Oggi il santuario di San Michele a Monte Sant'Angelo si presenta sempre come una delle capitali spirituali di tutta l'Italia Meridionale, vero crocevia dello spirito, dove le strade di molti popoli confluiscono favorendo scambi e unificando i cuori in un continuo storico con le esperienze spirituali di popoli che da oltre quindici secoli, ininterrottamente, continuano a varcare la soglia della misteriosa caverna.
Negli ultimi decenni la facilità e rapidità dei viaggi e la relativa disponibilità finanziaria hanno privato il pellegrinaggio della componente 'fatica' che prima consentiva di percepire, anche visivamente, l'impegno penitenziale dei pellegrini.
Negli ultimi tempi, poi, spesso non è facile distinguere fra pellegrinaggio e turismo religioso. Sono rimasti diversi pellegrinaggi molto attivi e in piena espansione i quali hanno conservato alcuni importanti caratteri dei pellegrinaggi antichi.
Essi sono intesi come dei veri e propri esercizi spirituali nei quali un gruppo di persone, spesso di numero considerevole, vive appartato e separato dalla vita di ogni giorno, tutto teso alla preghiera e alla meditazione.  Il pellegrinaggio di San Marco in Lamis è uno dei pochi rimasti che esprima, anche visivamente, tutta la spiritualità del pellegrinaggio.
Esso prende le mosse verso la metà di maggio da San Marco in Lamis, cittadina posta a circa 30 chilometri ad occidente di Monte Sant'Angelo, lungo la Via Sacra Langobardorum.
Attualmente la comitiva è composta da circa 300 persone, dagli anziani ultra ottantenni ai bimbi di pochi anni.
Il pellegrinaggio dura tre giorni di cui il primo e il terzo dedicati al viaggio fatto interamente a piedi.
Il secondo giorno è dedicato alle devozioni nella Grotta dell'Angelo.
Il viaggio si snoda per monti e valli in un andare faticoso e lieto. Ogni chiesa, ogni cappella rurale che si incontra è un momento di gioia; ogni ora della giornata viene santificata.
Il viaggio è la rappresentazione visiva del viator che a piedi, impolverato e umilmente si reca da chi rappresenta l'unica sua speranza.
La 'cumpagnia' di San Marco in Lamis effettua la salita a Monte Sant'Angelo. Il frate che l'accompagna è p. Nicola De Michele.
La 'cumpagnia' di San Marco in Lamis effettua la salita a Monte Sant'Angelo. Il frate che l'accompagna è p. Nicola De Michele.
Arrampicarsi su per le aspre e odorose balze del Gargano è rappresentare la tenacia quotidiana di chi non si rassegna alla vita, che vuol superarla e tende con tutte le forze alla meta dove troverà la sua pace.
Sulla sommità del monte Dio ha posto la sua dimora. La preghiera santifica ogni metro di strada facendo di ogni istante un momento di grazia; la preghiera è il centro del pellegrinaggio, l'attività principale intorno a cui ruota ogni altro aspetto.
Il pellegrinaggio sammarchese conserva un elemento densamente simbolico della spiritualità penitenziale. All'inizio della salita della Costa, le persone che per la prima volta partecipano al pellegrinaggio si caricano di una pietra.
Nei tempi antichi doveva essere di peso rilevante, ora invece è di consistenza limitata e simbolica.
La pietra rappresenta i peccati personali. La salita si compie sotto il peso dei propri peccati interamente e dolorosamente percepiti.
Pellegrini in partenza per Monte Sant'Angelo dal Santuario di Santa Maria delle Grazie in S. Giovanni Rotondo.
Pellegrini in partenza per Monte Sant'Angelo dal Santuario di Santa Maria delle Grazie in S. Giovanni Rotondo.
Arrivati in cima, i pellegrini esprimono il ripudio del passato e la gioia del ritorno alla giustizia scagliando nel profondo della valle la loro pietra simbolo di una vita ormai trascorsa.
Quando finalmente il pellegrino arriva, sente prepotente il bisogno di estrinsecare la gioia e di rendere grazie: si inginocchia, bacia la terra, tocca le porte del tempio, le bacia, incide il nome sulle pareti, spesso lascia l'impronta del piede o della mano. Sperimenta finalmente la pace nella penombra familiare della casa di Dio.
Quando il pellegrino arriva sotto le mura del santuario trova una città che il fluire del tempo pare non abbia scalfito. Il rumore delle automobili e il luccichio delle vetrine non appannano il senso dell'appartenenza a un mondo antico, ma non trascorso, in cui il fluire delle comitive recenti si innesta al salmodiare dei pellegrini antichi.
La continuità delle esigenze spiriuali, dell'offrirsi e del riceversi santificati, il senso della comunione dei santi qui è totale.
Il pellegrino percepisce di essere l'ultimo di una lunga catena umana, iniziata quindici secoli fa, che si snoda attraverso l'eterno rosario dei dolori e delle gioie, della fatica, della preghiera e del rinnovarsi nella pace del Signore. Anche il pellegrino giunto per la prima volta avverte questo luogo come già conosciuto e desiderato. La città lo accompagna in questo ritrovarsi con la suggestione dei suoi scorci, con la discreta bellezza dei suoi palazzi e delle chiese.
Il pellegrino s'accorge che tutta la città, così varia per le sue architetture, i suoi musei, il suo stupendo inserirsi tra mare e boschi, tende e confluisce, come alla sua unica ragion d'essere, verso il santuario. Il santuario, a sua volta, s'inserisce perfettamente e con grande discrezione in un tessuto urbano sobrio in cui l'aristocrazia dello spirito è del tutto evidente.
Fotografie

Foto di Monte Santangelo Foto di Monte Santangelo Foto di Monte Santangelo
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Testo digitalizzato dal sottoscritto dall'opera Le Vie e la memoria dei padri di p. Mario Villani e Giuseppe Soccio, finanziata dalla Amministazione Provinciale di Foggia nel 1999. Il testo è stato arricchito da foto di mia proprietà e/o nella mia disponibilità, in grande parte inedite.

Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo.
Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo.
Sulla fondazione del santuario di Pulsano abbiamo maggiori notizie che per altri santuari. Esso, infatti, è frutto dell'opera di San Giovanni da Matera, della cui Vita si conoscono diverse versioni.
Nato a Matera verso il 1070, giovanissimo iniziò la sua ricerca ed il suo cammino spirituale a contatto con i monaci Basiliani e, successivamente, in maniera personale, vivendo per lunghi periodi in assoluta solitudine.
Fu a Taranto, in Calabria ed anche in Sicilia. Si stabilì poi a Ginosa e, accusato ingiustamente ed incarcerato, riuscì ad evadere per riprendere di nuovo la sua vita di pellegrino.
Durante le sue peregrinazioni, incontrò San Guglielmo da Vercelli sul monte Laceno e con lui condivise ideali e pratica religiosa.
Animato e incoraggiato dalla fraterna amicizia del fondatore di Montevergine, si mise in viaggio per la Terra Santa ma, da Bari, ritornò indietro per recarsi sul Gargano a visitare la grotta dell'Arcangelo San Michele, dove gli apparve la Madre di Dio per indicargli il luogo in cui la sua missione doveva essere portata a compimento e, cioè, il luogo dove poi sorgerà l'abbazia, a circa otto chilometri da Monte Sant'Angelo, su di un balzo che domina la sottostante pianura ed il Golfo di Manfredonia.
Alcune tradizioni vogliono che in quel luogo esistesse già un monastero edificato dal duca Tulliano di Siponto con le rendite dei genitori, che erano ricchi patrizi romani, intitolato a San Gregorio Magno, e appartenente a un non ben identificato ordine di S. Equizio o degli Equizi che, per etimologia, rimanderebbe a una sorta di ordine cavalleresco.
Anche sulla derivazione del nome, le leggende sono discordanti: c'è chi vuole l'importazione del nome da una località vicino Taranto, chamata appunto Pulsano, dove San Giovanni ha soggiornato, e c'è chi fa derivare il nome dal fatto che la Vergine avrebbe guarito il Santo, febbricitante, prendendogli il polso, per cui da polso sano si sarebbe giunti a Pulsano. Quest'ultimo è il significato che si trova nei racconti leggendari e nei canti dei pellegrini.
Di certo sappiamo che, a partire dal 1129, attorno a Giovanni da Matera, nella località ora detta, vi erano sei discepoli che nel giro di pochi mesi diventarono sessanta.
Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo.
Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo.
Costoro ben presto costruirono un grande monastero. Nei dintorni, e specialmente nel Vallone dei romitori i monaci costuirono molte piccole abitazioni abbarbicate sulle aspre pareti della montagna dove trascorrevano lunghi periodi di solitudine assoluta nella preghiera e nella contemplazione.
La comunità aveva assunto la Regola di San Benedetto ma si dedicava anche a un'attiva vita apostolica tra i contadini e soprattutto tra i pellegrini provenienti dalla Grotta di San Michele e diretti al santuario di San Leonardo a Siponto. Ben presto si diffuse la fama di questa comunità, grazie anche agli abati, come Giordano e Gioele, che continuarono l'opera del fondatore, fino al punto che essa diventò il primo nucleo di un vero e proprio ordine monastico, la Congregazione benedettina dei Pulsanesi.
La nuova Congregazione ebbe case fin nella Toscana, come San Michele di Guamo presso Lucca e San Michele in Orticara presso Pisa, e nella pianura padana, come Quartazzola sul Trebbia presso Piacenza. Della Congregazione Pulsanese facevano parta anche case femminili come il monastero di Santa Cecilia a Foggia. Giovanni da Matera morì a Foggia, nel monastero pulsanese di San Giacomo, il 20 giugno 1139.
Il suo corpo fu posto sotto l'altare maggiore del monastero di Pulsano e, nel 1830, trasferito nella cattedrale di Matera. Nel 1177, Alessandro III consacrò la chiesa del monastero e da Vieste il 9 febbraio dello stesso anno emanò una bolla a favore dei monaci pulsanesi.
Pulsano, quindi, è estremamente importante per la storia religiosa del Mezzogiorno d'Italia e rappresenta l'unico caso di congregazione religiosa sorta in Capitanata, nata, come quella dei Verginiani di Montevergine, nel solco di San Benedetto.
Come accennato, la leggenda di fondazione del santuario, in questo caso, si intreccia con eventi storicamente documentabili. Le devote visite che i pellegrini facevano alla Madonna di Pulsano per sette sabati consecutivi durante la quaresima sono da mettere in relazione con i sette giorni in cui la chiesa, addossata alla grotta naturale che funge da abside, secondo la leggenda fu costruita.
Il quadro della Madonna di Pulsano, purtroppo, è stato rubato nel 1966, così come è stata trafugata buona parte dell'arredo sacro e numerosi elementi scultorei ed architettonici del complesso abbaziale che è sicuramente una delle più importanti espressioni del romanico pugliese. Il dipinto, secondo alcuni studiosi, apparterrebbe alla scuola cosiddetta dei Ritardatari, fiorente in Puglia e Basilicata tra XII e XIII secolo.
L'immagine riecheggia le icone bizantine con il volto scuro della Madonna leggermente inclinato, il capo coperto e l'aureola dorata; il bambino è rivolto verso chi osserva e, nel complesso, l'effigie richiama la Madonna di Siponto e la Madonna di Ripalta.
Già a partire dal XIII secolo, il monastero entrò in una fase di decadenza. Il suo ultimo abate fu un certo frate Antonio eletto nel 1379.
Costui pare che si fosse schierato con l'antipapa Clemente VII il quale aveva dato inizio al grande scisma di Occidente.
Il legittimo pontefice Urbano VI, pertanto, pur non destituendolo, ne ridusse il potere sottraendo alla sua giurisdizione il benefizio abbaziale e affidandolo a un Abate Commendatario.
Alla morte dell'abate Antonio gli edifici, già provati da terremoti e minati dall'abbandono, subiranno gravi danni, nonostante generosi tentativi di restauro. Tra il Settecento e l'Ottocento il monastero ricevette le cure dei Celestini, i quali lo abbandonarono quando, agli inizi del secolo XIX, furono soppressi dal governo di Gioacchino Murat.
In questo frangente il vescovo di Matera organizzò la traslazione del corpo del Beato Giovanni nella cattedrale di quella diocesi.
Partiti i Celestini, la chiesa fu affidata a dei cappellani. Uno di questo, Nicola Bisceglia nel 1842 la acquistò con le sue pertinenze.
Di recente è ritornata ad essere proprietà della diocesi di Manfredonia.
Nonostante le vicissitudini dell'abbazia, il culto della Vergine venne tenuto in vita da diversi ordini monastici, Carmelitani, Francescani, Domenicani, fino a giungere ai nostri giorni, come ci documenta, tra gli altri, nel nostro secolo, Giovanni Tancredi.
Raffaele Petruzzi nel suo Il pellegrino lucano ai più celebri santuari d’Italia del 1882 parla del 'Santuario di Pulsano, ove a pie' scalzi nei sette sabati della quaresima divota gente recasi lassù a visitar Maria'.
Lo stesso autore, poi, ci parla di una tradizione che vuole conservata presso Pulsano una delle monete che Giuda ebbe in compenso per il tradimento del suo Maestro. E questa tradizione è attestata anche da Pompeo Sarnelli e da Serafino Montorio, che hanno scritto tra XVII e XVIII secolo, ad ulteriore conferma della persistenza nel tempo della devozione e dei pellegrinaggi in questo selvaggio angolo di Gargano.
Nonostante il degrado e l'abbandono, il santuario di Pulsano continua ad essere considerato uno dei più venerabili luoghi della Capitanata dedicati alla Vergine Madre di Dio.

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Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo
Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo
Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo Veduta del Santuario della Madonna di Pulsano - Monte Santangelo

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