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Da Qualesammarco, n. 3 del 1990
Storia antica di S. Marco: la “ianua”. Un errore da correggere.
Al tempo quando Berta filava ... od almeno filavano le popolane di San Marco anziane e di mezza età, e per precisare nei primi anni di questo secolo, la “cultura” a San Marco significava la scuola elementare. Quella dell'obbligo si fermava alla terza classe, superata la quale si otteneva il certificato di “proscioglimento”; gli scolari più meritevoli venivano avviati alla quarta, cui seguiva l'esame di “maturità”. Col tempo nacquero la quinta e la sesta, una specie di ITIS embrionale ed ante litteram, dove i ragazzi imparavano anche il disegno, il “lavoro manuale”, elementi di “agraria” ed altre istruzioni pre-lavorative.
Nei corsi dell'obbligo ci insegnavano a leggere, a scrivere ed a far di conto; storia e geografia a macchia d’olio, dal paese di origine ai cinque continenti e dai Savoia, Garibaldi, Mazzini e Cavour ai romani. Più volte, nell’età adulta ed ancor più oggi, in quella senile, ho risciacquato il cervello da quel lavaggio, al lume del buon senso e dell’esperienza di vita.
Non vi scandalizzate del livello culturale del tempo: l’Italia era stata fatta da cinquantanni, e Roma capitale da circa quaranta: ed a tutt’oggi, in tempo equivalente, è stato risolto il problema meridionale? Tenendo presente che, allora, il Giornale d’Italia arrivava il giorno dopo la pubblicazione e non c'erano radio e televisione né il voto universale.
Fra gli errori d’epoca uno è rimasto comunemente accettato anche dalla cultura di oggi: uno che mi sembra vada ridiscusso e corretto perché, a mio parere, troppo intimamente correlato alla vera storia, al significato, alla indicazione del modo di vivere, insomma al destino, cioè nascita sviluppo fortuna e decadenza della vita paesana, per apparire di poco conto e non degno di rettifica da chiunque ami sapere dove, come e perché è nato.
In seconda elementare ci raccontarono che San Marco è un paese del Gargano (e che cos’era il Gargano), attraversato da un torrente (e che cos'era il torrente) nominato Iano (non Iana, come in seguito seppi era il nome vero). Ci spiegarono che Iano derivava da Giano, dio romano che aveva due facce: una della pace ed una della guerra. Quando si dichiarava una guerra, od una pace, veniva esposta questa o quella faccia pertinente. La mente immatura accettava la parola del maestro ma, mentre mi riusciva collocare agli Eroi del Risorgimento sui piedistalli che quella cultura ci forniva, non mi era possibile sistemare a San Marco un dio della guerra. Onde mi restò in mente, con qualche confusione, un Giano come un intruso in quel paese tanto lontano dai confini d'epoca della Patria.
Non mi pareva che le sassaiole da monelli con cui tentavamo di scacciare i “Sangiovannari” fossero proprio guerre, e non ne vedevo altre. Sensazioni non ancora riflessioni.
Si trattava di un errore sistematico.
Ancora nel 1982, in quell’interessante volumetto di Matteo Ciavarella Fra orti e mugnali (Quaderni del sud. Lacaita editore e distributore in via Cadorna 20 Manduria) si dice che “... l'origine dell'appellativo Iana dato al torrente comunemente viene fatto derivare da Giano il cui culto, anticamente, sarebbe stato molto diffuso nelle contrade garganiche ... sulla collina, dove sorge il convento di San Matteo, vi sarebbe stato un tempio dedicato a Giano ... tutto il vallone … tra i conventi di San Matteo e di Stignano, sarebbe stato nominato valle della Iana”. Tutto il vallone, giusto, era in funzione della “iana”.
Riferisce al condizionale il Ciavarella: l’errore non è suo ed Egli prende qualche distanza; l'errore è nella “comune credenza”. Illogico: chi e contro chi dichiarerebbe guerra il Gargano?
Vi furono, storicamente certi, oltreché la dominazione normanna, passaggi di Goti e di Saraceni che attraversarono la valle per raggiungere, o saccheggiare il già santuario di San Michele in Monte Santangelo (ricordato in Ciavarella nella premessa al già citato Fra orti e mugnali); ma sono posteriori a Giano ed alle sue ipotetiche guerre. Non risultano documenti che il Gargano fosse un guerrafondaio, in proprio o per procura.
E’ nozione comune invero e indubbio ricordo di alcuni, ormai pochi, vecchi, che ancora a quei nostri tempi di inizio di secolo la valle rimaneva il passaggio dei pellegrini per Monte Sant'Anngelo, ed in genere di chi accedeva al Gargano dalla pianura della Puglia. Forse vi era un altro accesso al Gargano, dal nord, dove il promontorio è più facilmente accessibile, attraverso un passaggio - var - di cui avremmo la testimonianza nel Varano di Cagnano; ma questo è un altro discorso. Nel remoto il periplo del Gargano per aggredirlo dal nord o dal sud era impresa non da poco. E’ una impresa restò ancora fino a tutto il primo quarto di questo secolo. Dopo, l’ingegneria stradale moderna e l’automobile, sviluppate parallelamente, facilitarono altri accessi.
In realtà, è mia opinione e l'ho espressa in altra sede, la Iana non era l’immagine irrazionale di un Giano; ma era la Ianua, la porta del Gargano. Mi piace ripetermi su questo Foglio cittadino, nella speranza di provocare i lettori ad una verifica pro o contro che sia.
Né, come per il regno. di Giano, mi sembra logico ipotizzare un tempio in zona di San Matteo. Un tempio è una chiesa oggi, come lo era in età pagana: Ecclesia, gente unita. Quale gente? Riunita in un luogo che non fu mai nulla più che una sosta breve nel viaggio di piccole o grandi carovane, uscite in quel punto dal letto del torrente. Mancano tracce di un insediamento di popolo in quel punto, tale da costituire una “chiesa”, e da erigere un tempio. Altro è il convento, a cui il punto di sosta, di riposo del viandante si addice, e con esso la chiesa per la comunità dei frati.
E’, ripeto, mia opinione che iana sia una “ianua” e non altro. L’etimologia dei vari luoghi della valle mi sembra convincente: inizia a Stignano, un serravalle tipico, ostium ianuae, apertura della porta. Arriva alla ianua, iana, che era un punto preciso: il breve slargo del “pozzo grande”.
Qui il torrente (il quale origina dal Monte Nero dove ci sono ancora, che io sappia, e c’erano certamente agli inizi del secolo delle fonti di acqua, e si perde in una pietraia dopo Stignano) scorreva liberamente a quota del terreno e vi formava le lame (di San Marco in Lamis). Qui, nella porta, il viandante che aveva viaggiato nel letto del torrente, fino all'avvento della vianova (via nuova), trovava il riferimento di acqua (testimone il pozzo grande) ed un ripiano fuori dalla pericolosa stretta del percorso nel torrente, per posteggiare i carri, provvedere alle eventuali riparazioni, accudire e far riposare gli animali. Qui, nello slargo del pozzo grande, ancora nel tempo della mia infanzia vi era il maniscalco, la taverna; vi abitava l'ultimo barrocciaio che faceva servizio di noleggio (sciarabbà) San Marco - San Severo. Si chiamava Donato e non ne so il cognome.
Dalla ianua e precisamente, a monte, dopo la vicina piana dei pozzi comunali (i quali attingevano acqua alla sottocorrente della detta Iana, in fila a sbarrarla trasversalmente), partiva poi nei primi anni del secolo lo Starale, ostium arale, apertura verso l’ara, ancora letto di torrente e strada, strada da me percorsa tante volte e dalle acque, di rado, in tempo di piena, che raggiungeva la base dello sperone montuoso del convento di San Matteo.
In questo punto vi sarebbero (e mi han detto che vi sono) tracce di un manufatto antico ritenuto religioso.
A mio parere l'ostium arale, lo starale, qui raggiungeva appunto l'ara e vi faceva capo. Ara dei sacrifizi per aver superato i mali passi (i tratti pericolosi nel letto del torrente). Tradizione votiva era la destinazione di numerosissimi voti, per quel che ricordo prevalentemente per grazia ricevuta in incidenti di viaggio. E qui, ai piedi del Monte Celano (coelum ianuae) si concludeva il passaggio al Gargano, in luogo acconcio al breve riposo ed al ringraziamento, dopo la fermata del rifornimento nella ianua, matrice di San Marco.
Dunque la “porta”, la ianua, era quel piccolo slargo del pozzo grande, sufficiente pei tempi. Il resto è un tropo, traslato del nome dalla parte al tutto.
Ianua è un nome latino: romano od altomedioevale?
Anche i Longobardi ed i normanni parlavano latino. Ed i normanni certamente, e forse altri popoli nordici che ignoro, lasciarono ampia traccia dei loro commerci con gli indigeni in questi luoghi di sosta: le discendenti, pure o spurie; le magnifiche popolane di San Marco, alte, castane, occhi azzurri, passo da portatrici di acqua sulla testa, ergo passo da indossatrici.
Ignoro i giovani maschi: non li vedevo e forse, se sarà il caso, ne spiegherò il perché.
Così erano le donne del popolo nel primo novecento; ora non so.
Scusatemi, giovanette del momento.
Ma questo è un altro discorso.
Vittorio De Filippis

Hai mai visto gli ex voto di san Matteo? Conosci Giovanni Gelsomino?