Anno: 1956 Descrizione: G. Tusiani, Lo speco celeste, editrice Ciranna, Siracusa - Milano, 1956 Brevi note: Giuseppe Tusiani in un lungo poema racconta della sua partecipazione immaginaria alla cumpagnia di pellegrini a Monte Sant’Angelo, del fervore della gente che partecipa e dell’acqua che arriva dopo un periodo di siccità.
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Erano lungi l’elitre dorate e l’olivo lunare era lontano. Io tracciai sopra un foglio una montagna e, sotto, con tre fregi, pinsi l’onda: ma verde non le infuse il fiato mio, ma non la fece azzurra il mio respiro: seppi così il tuo nome, nostalgia.…
E, se mai l’onda e il volo m’affatichi coi suoi spruzzi alati, io giungerò con la mia fede tre giorni prima di Santo Michele, quando la Compagnia cinge cordiglio e scalza parte al cielo della roccia. Presto, si cerchi un asino che salga il rupestre sentiero! E non sia questo che mille giri intorno all’aia han quasi accecato, né quello che il groppone ha d’osso e pelle e putrido di piaghe e sta su quattro zampe come sopra ciglio d’abisso e par che gli rimanga appena forza di schiacciar la mosca dal sangue, con la coda e con un lagno. Anche un’asina, presto!, purché buona sia ad inerpicarsi su le balze: che l’Arciprete ha tutto bianco il capo pel sole di settanta primavere e parrà proprio il Cristo che riviene il giorno dello palme e degli olivi. Si partirà domani, a mattutino, con l’ultim’astro che non vuol perire. A mattutino, la corolla sogna e la campana canta: canto e sogno s’intessono nell’ora, mezzo astrale e mezzo umana, e chiama la campana ancora e, con la gente che s’avvia silente, par che andare il gregge voglia incontro al suono, sì l’invito è chiaro. Son qui tutti i segnati? Bianco d’alba e d’anni, l’Arciprete, con l’ausilio di sei braccia, sull’asina è montato, e gli van dietro, tutti, verso il Monte. Sono gli uccelli meno di trecento (i primi son migrati) e son le capre men di dugento (1’altre l’han vendute il dì di San Matteo che ha il viso moro) e son le stelle men di cinque (il giorno è sulla vetta ormai ridente cosa): ma quattrocento, quattrocento e uno, sono i segnati che or cantando vanno (e l’uno tace, lungo lo starale, che non rammenta l’inno glorioso): La spada di Santo Michele è tutta d’oro, è tutta d’oro. Lo scudo di Santo Michele è tutto aurora, è tutto aurora. Il viso di Santo Michele è come il sole, è come il sole. La mano di Santo Michele è di viole, è di viole. Il piede di Santo Michele è terribile e forte. Santo Michele Arcangelo, salvaci dalla morte!
Ecco, la morte e intorno e già cammina con essi, prima ed ultima: è nel sole che secca il seme e il pozzo, e il suo riflesso bianco non è ma rosso di scarlatto, e gli occhi gonfia di fuoco sottile e sulle tempie batte ed invermiglia le gote e accende la polvere bianca e sotto il piede scalzo la fa brace. E va per miglia e miglia la mia gente e l’anima mia stanca l’accompagna. Sotto gli olivi, come Cristo affranta, or posan tutti e l’Arciprete è sceso dall’asina e carezza ogni fanciullo e dice che la via s’è dimezzata: ed egli ha letto i libri ed i vangeli e pensa ai sette pesci ed ai tre pani. In mezzo ai cerri fanno campolata, nel mezzodì di fiamma, i pellegrini: che anche la cicala è stanca e posa sul ramo eccelso fra la terra e il sole.
Questo che odora è il pan cotto con l’aglio fresco del campo e, rara leccornia, c’è pur fronda di lauro nel paiuolo: ed ecco l’olio crudo che sottile esce dal corno e biondo dora i tozzi cresciuti nel bollire: a Dio sia grazia pel frutto dell’olio e del frumento! Or, desta, la cicala alacre canta e noi si deve andare verso il Monte. Presto, è già pronto l’Arciprete: ha dato egli il suo pane e l’uova al più famelico bimbo, ma un altro ciuffo d’erba, un altro ancora, strappa l’asina ed ingoia: e vanno sotto il sole i pellegrini cantando, ed uno solo è ancor silente.
Portano molti a tracolla le scarpe e le pianelle di panno e di cuoio, ché, se la roccia aguzza le consuma, esse non son più nuove per Natale; e, nonna, nonna, tu non hai pianella al piede e già la pelle è crepe e sangue, né sulla testa il fazzoletto è doppio, ed è quadruplice il raggio del sole: seppe il tuo capo il cercine di tela. in anni lunghi, e un po’ delle tue carni ognun s’è preso, o nonna, perché avevi un figlio da sfamare e da vestire e da far grande per la morte in guerra: ed or non hai più carni che mai possa il sole incenerire: hai solamente la tua ferita e l’ombra di tuo figlio.
Trentatré anni ha camminato Cristo per arrivare al monte dell’Ascensione; trentatré nubi l’Angelo ha varcato per giungere allo Speco della luce, e trentaquattro solchi la formica ha corso ad iscoprire il primo chicco: ed anche la mia gente lenta sale verso la cima terribile e bella.
Ora dal grembo profondo del bosco in accenno di brezza viene e ventila alla fronte che brucia la speranza del vespro prossimo: o madre, mia terra, è così cupo il tuo sguardo di fiamma che, se pur taccia questo lume d’oro, noi penseremo a un astro che s’è spento dieci millenni or sono e in ciel s’indugia come, finito l’olio, fuma ancora sul nostro altare il lucignolo breve.
Ecco, solenne l’Arciprete scende dall’asina, ed in ogni umano sguardo è un’ansia che splende. Ecco, sul Monte, il fiotto fievole e fiero del vespero! L’Arcangelo sta lì. Orsù, saliamo, che già salita è la nostra speranza: ma è la nostra carne greve e stanca e non ha l’ali della nostra fede.
Baciamo questa terra come il cigno bacia l’onda, ché, se la morte or viene, saranno le nostr’ossa in campo santo e l’anima che spera è in paradiso. Saliamo questa balza come l’eco sale al cielo, ché, se la vita or cessa, saranno le pupille in firmamento e la preghiera è giunta alla sua riva.…
Ecco l’altare e l’Arcangelo! Il cielo é quaggiù; fuori, è solo l’orizzonte ch’ora si cinge d’astri, ma in quest’ombra è la sorgente d’ogni stella, come sull’occhio sta la lacrima soltanto ma dentro il cuore è il pianto che la crea. Ed ecco, genuflessa, la mia gente ha nelle mani il cuore e il cuore canta.
Santo Michele, ho visto il tuo viso ed immagino Cristo. Santo Michele, il rovo m’ha fatto il cuore più docile e nuovo. Santo Michele, sopra le spalle ho portato la croce dalla mia valle: dalla mia valle ho portato il mio pianto al tuo Monte beato.
E tu bevi le lagrime mie se màncati l’acqua sorgìa. Santo Michele, la sete mi strazia: Santo Michele, la grazia! Santo Michele, la grazia!…
Busto di J. Tusiani
Targa consegnata a J. Tusiani
Targa consegnata nel 2004 a J. Tusiani dal Presidente della Regione Puglia Raffaele Fitto
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