Brano tratto da Francesco Granatiero, Poesia in dialetto della Capitanata, Torino, 2015.
ospedale all'altro per una malattia di petto diagnosticatagli in Croazia durante la guerra, studia da autodidatta, leggendo alcuni classici della nostra letteratura con predilezione per autori come Berni, Boiardo e Pulci.
Del poeta garganico verranno pubblicati postumi due libri [Borazio 1977...].
Molto e meritatamente è stato scritto su di lui (figura, tra l'altro, oltre che in Spagnoletti-Vivaldi 1991, in opere come Dell'Aquila 1986 e Bonaffini 1997), ma non sarà mai abbastanza, per il miracolo di un autodidatta dalla breve vita. Voglio qui solo evidenziare uno dei punti più alti della sua raffinata ironia, che si trova in un sonetto a torto trascurato come Inte lu ciele rosa allu serine, dove (a parte l'iterazione, non ironica, di nu certe riferito all’odore) tutta la composizione ha la luminosità e la grazia della vera poesia, la musicalità e l'estenuazione di Verlaine e Di Giacomo, ma capovolti e irrisi, al servizio di un contenuto, il più plebeo di tutti, reso con una freschezza e una gioia espressiva di primaverile incanto:
Inte lu ciele rosa, allu serine, Sona la tromba e spacca matetine, Menateve figghiò, l'aria è serena, Ascite fore cu 'ssi belle vase |
Nel cielo rosa, sereno, Suona la tromba e spacca mattutino, Sbrigatevi, figliole, l’aria è serena, Uscite con questi bei vasi |
Il rapido mutare di tempi e costumi rende necessario un chiarimento: il sonetto, con lu fattapposta, ossia l’aggeggio specifico per un determinato uso, allude scherzosamente al pitale, il cui contenuto veniva utilizzato anche per concimare i piantimi.