Il brano che vi offro da leggere è del 1975 ed è tratto da Sylos Labini, Saggio sulle classi sociali, Laterza. La situazione attuale a San Marco in Lamis (FG) è molto migliore di quella descritta nel libro, ma i problemi sono rimasti, per non dire aggravati. In Unità e brigantaggio di Pasquale Soccio, opera del 1969, a pagina 126 si legge, relativamente alla istruzione a San Marco in Lamis: Il comune di S. Marco, al tempo dell'unità, sovvenzionava meschinamente solo quattro maestri elementari: due erano addetti all'istruzione dei maschi e due a quella "delle fanciulle", come si legge in un elenco (Nota). Quattro maestri potevano badare a un massimo di 200 alunni: ben misera cosa a petto di 1.500-2.000 ragazzi da scuola esistenti in un comune di 18.000 abitanti. L'analfabetismo era tale che alcuni consiglieri comunali non potevano firmare gli atti del decurionato; notevoli i non scribenti su un totale di 25 decurioni. (Nota)
Laureati occupati nelle diverse attività -1972Le attuali difficoltà economiche e politiche sono in larga misura simili a quelle sperimentate da altri paesi; all'origine, io credo, c'è l'ascesa assoluta e relativa della classe operaia (si consideri in modo speciale il caso della Gran Bretagna; si considerino i recenti massicci scioperi in Giappone, i cui sindacati erano presentati come modelli di autocontrollo e di disciplina). Tuttavia, in Italia le difficoltà assumono una gravità particolare per ragioni connesse con la nostra struttura sociale. Noi siamo un paese relativamente sviluppato dal punto di vista economico; ma siamo un paese arretrato dal punto di vista civile. Ho già fatto osservare che il 70% della popolazione attiva del nostro paese possiede, al massimo, la licenza elementare: una percentuale che non trova riscontro in nessuno dei paesi considerati civili. E sappiamo che, con la licenza elementare, si possono fare solo lavori ripetitivi: salvo casi eccezionali, non si può partecipare, neppure in forma modesta, alla gestione della cosa pubblica o dei partiti; di regola, non si può neppure gestire la sezione di un partito in un piccolo comune. Con la licenza elementare (che è il livello massimo di quel 70%) si giunge a scrivere qualche lettera alla madre o alla fidanzata quando l'uomo è sotto le armi e a leggere un giornale sportivo. (Certo, gli autodidatti possono svilupparsi culturalmente anche con la sola licenza elementare; ma è ben difficile pensare che si tratti di un numero elevato di persone). Immagine di un terremoto in Italia. Da L'Astrolabio.Quella percentuale è illuminante: spiega, da sola, perché le tirature dei giornali sono da noi vergognosamente limitate; spiega l'atteggiamento spesso arrogante e insolente dei piccoli burocrati, specialmente nelle zone più depresse, dove, naturalmente, la percentuale dei semianalfabeti è ancora più alta della media nazionale, come ben più alta di quella ufficiale è la percentuale degli analfabeti totali o degli analfabeti di ritorno; spiega il basso livello della nostra vita politica (ciascuno di noi, in quanto uomo di parte, è incline a vedere le miserie culturali e morali negli altri partiti e ad essere particolarmente indulgente con quelle del partito al quale appartiene o per il quale vota); spiega - ma qui l'analisi diventa molto più difficile - l'atteggiamento dei 'mandarini' - di noi, piccoli e medi borghesi - che spesso inconsapevolmente tendono a trar vantaggio nei modi più diversi dalla loro posizione di quasi monopolisti dell'istruzione media e superiore. È vero: l'afflusso nelle scuole medie e superiori delle nuove leve è sensibilmente maggiore che nel passato, così che quella percentuale (70%) va diminuendo; ma la velocità con cui diminuisce (poco meno di due punti l'anno) non è grande: con una tale velocità solo fra due o tre lustri arriveremo al livello attuale della Francia (circa il 45%), che pure o fra i più alti nell'ambito dei paesi civili. Ma allora, oltre ad essere un popolo di eroi, di santi, di poeti, di navigatori e di scienziati siamo anche, e innanzi tutto, un popolo di semianalfabeti? Popolazione in età scolastica e forze di lavoro per titolo di studio - 1951-1961-1971 (percentuali) Dopo aver tolto di mezzo la storia degli eroi e degli scienziati - una espressione caratteristica della retorica piccolo-borghese - togliamo pure di mezzo ogni forma di feroce esagerazione autocritica; riconosciamo pure l'esistenza di una minoranza di persone civili, che oltre a non essere semianalfabete non sono neppure topi nel formaggio e non si preoccupano esclusivamente del proprio «particulare»; in quella minoranza - se proprio abbiamo deciso di tirarci su il morale - possiamo includere anche noi: me che scrivo, voi che leggete. Dopo aver fatto tutto questo, resta la fondamentale verità della risposta: sì, le eccezioni sono eccezioni, le oasi non impediscono al deserto di restare deserto, anzi ne sono la conferma. Come massa, siamo un popolo di semianalfabeti; e ciò ci condiziona tutti, in un modo o nell'altro, nell'indurci in tentazione, ossia nel dar sfogo al nostro egoismo o nell'attuare una qualche forma di prevaricazione sociale; ci condiziona anche negli sforzi che possiamo fare per migliorare la situazione, sforzi faticosissimi e in gran parte, almeno a prima vista, inutili, o nello spingerci verso atteggiamenti scettici o cinici e, nel fondo, quasi disperati. Quella percentuale è il più grave atto di accusa ai gruppi che si sono succeduti al potere nel nostro paese, alla così detta classe dirigente, in ultima analisi a noi stessi - chi legge questo scritto può esser certo di appartenere alla frazione più elevata del 30% dei privilegiati (i laureati non raggiungono neppure il 4% della popolazione attiva). Come si concilia quella tremenda percentuale con l'esplosione scolastica, di cui tutti parlano? Si concilia per diverse ragioni. In primo luogo, l'esplosione è tale, o appare tale, per la radicale insufficienza delle strutture scolastiche (delle strutture molto più che del personale). In secondo luogo, la mortalità scolastica è molto elevata: non sono pochi i ragazzi che frequentano una, due o tre classi delle scuole medie inferiori senza giungere al diploma. In terzo luogo, l'aumento dei diplomati (o dei diplomandi), certamente più rapido che nel passato, incide solo lentamente sullo stock: l'Italia imperiale di Mussolini ci aveva lasciato il 90% di semianalfabeti. Ora siamo al 70%: un progresso è stato fatto; ma quanto è lunga la via! Il quadro è spaventoso se visto nei suoi termini quantitativi. Forse sarebbe ancora più grave se si potessero esaminare a fondo gli aspetti qualitativi: i diplomi e le lauree di quel 30% di quasi-monopolisti, quale valore hanno? Possiamo tentare di ridurre l'angoscia pensando alla curva di Gauss, che domina in tutti i fenomeni sociali: una parte, non proprio piccola, delle scuole funziona, una parte, non proprio esigua, del personale insegnante è costituita da persone capaci e preparate. Tuttavia, la curva di Gauss va interpretata considerando l'altezza della moda e l'unità di misura, e forse è un bene che queste due quantità restino indeterminate. L'aumento nel numero dei diplomati e dei laureati è troppo lento sotto l'aspetto dello sviluppo civile, ma, al contrario, è troppo rapido con riferimento allo sviluppo economico, poiché l'espansione della domanda del lavoro intellettuale qualificato risulta inferiore all'espansione dell'offerta: il risultato è un aumento della disoccupazione intellettuale, soprattutto fra i giovani. Sia chiaro: l'accento posto sulle gravi carenze nel campo dell'istruzione non implica che queste carenze costituiscano la 'causa' dell'arretratezza civile, oltre che economica, della nostra società: esse ne sono piuttosto un importante indicatore. (D'altra parte, come Gino Germani mette in evidenza nell'opera citata - spec. a p. 131 - coloro che acquistano un grado di istruzione relativamente alto e poi non riescono ad ottenere le posizioni sociali cui aspirano o addirittura restano disoccupati, possono diventare causa di forti tensioni sociali). L'arretratezza civile risulta da tanti e tanti elementi, che possono essere efficacemente riassunti - me l'ha fatto osservare lo stesso Germani - dal concetto di 'estraneità' delle masse dalla vita politica, estraneità quasi totale nel secolo scorso, ma tuttora ampia, essendo la partecipazione delle masse alla vita politica o circoscritta ovvero saltuaria ed episodica.
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