La fondamentale stabilità delle tre grandi classi sociali, che avevamo notato esaminando i dati nazionali, si nota anche al livello delle tre circoscrizioni (Nord, Centro e Sud), sebbene a questo livello le oscillazioni risultino più accentuate. Anche per queste circoscrizioni vale l'osservazione che le variazioni più importanti hanno luogo all'interno delle classi medie e della classe operaia: flessione dei lavoratori autonomi ed aumento degli impiegati; flessione dei salariati in agricoltura ed aumento dei salariati nelle altre attività, specialmente nell'industria. Queste flessioni e questi aumenti, che sono l'espressione di un processo di «modernizzazione», hanno luogo in tutte e tre le circoscrizioni; ma, com’era da attendersi, nel Nord sono molto più accentuati.
Soffermandoci sulla situazione attuale, è importante osservare che oggi, nel Sud, la quota degli impiegati privati - che sono direttamente collegati con la produzione - è sensibilmente inferiore a quella nazionale e, ancor più, a quella del Nord. Il quadro si rovescia se si considerano gl'impiegati pubblici: nel Sud la quota è maggiore della media nazionale ed è molto maggiore di quella del Nord. Le quote risultano tutte spostate in alto di un punto e mezzo o due punti se invece degli impiegati pubblici si considerano i dipendenti della pubblica amministrazione, i quali includono anche i militari e i salariati. Ecco le percentuali sulla popolazione attiva (di dipendenti della pubblica amministrazione, n. d. r.): Nord 7,2, Centro 12,8, Sud 10,5, media nazionale 9,2.
Consideriamo ora la classe operaia. Nell'agricoltura i salariati rappresentano il doppio della media nazionale (6,2%) ed oltre tre volte la quota del Nord. Viceversa i salariati dell'industria, esclusa l'edilizia, nel Sud rappresentano una quota pari alla metà della media nazionale (2.5%) ed a poco più di un terzo della quota del Nord.
A causa dell'esodo agrario, negli ultimi vent'anni i contadini proprietari (più i mezzadri e i fittavoli) e i salariati si riducono sensibilmente. È da notare che la velocità assoluta e relativa dell'esodo agrario nel Sud è paragonabile a quella dell'esodo che ha avuto luogo nel Nord e nel Centro, sebbene le occasioni di lavoro extra-agricolo, in queste due aree, fossero molto maggiori e sebbene l'emigrazione in regioni lontane (o all'estero) sia molto più dolorosa, umanamente, di spostamenti nell'ambito della stessa regione. Questo fatto è chiaramente la conseguenza delle condizioni di miseria e di deficienza e di precarietà delle occupazioni, soprattutto nelle zone agrarie dell'interno. L'esodo agrario e l'emigrazione, insieme con lo sviluppo molto fiacco della domanda di lavoro fuori dall'agricoltura, spiegano l'agghiacciante caduta nel Sud, ben più grave che nel Centro e nel Nord, del tasso di attività (Nota del redattore: L'Istat certifica che nel 4. Trimestre 2016 il tasso di attività della popolazione attiva - da 15 a 64 anni - ammonta al 55,7%; nel 2008 (scoppio della crisi finanziaria mondiale) ammontava al 58,6% - Vedi grafico).
In generale, la flessione dei gruppi sociali legati all'agricoltura e l'accrescimento di quelli urbani tende ad aggravare l'instabilità politica, almeno in una prima lunga fase. D'altra parte, l'ipertrofia dell'impiego pubblico accompagnata all'ipotrofia dell'impiego privato tende, come sempre, in linea generale, a rafforzare le posizioni della conservazione, poiché gli impiegati privati, quando sono collegati alla produzione e, in particolare, alle fabbriche, tendono ad essere politicamente più «progressisti» dei loro colleghi del settore pubblico, ove prospera il clientelismo. Tutto questo è grave e preoccupante, ma è comprensibile: in una situazione economica come quella meridionale, la domanda di lavoro extra-agricolo cresce lentamente; soprattutto i giovani appartenenti ai ceti medi impiegatizi e professionali, o i giovani appartenenti ai ceti medi costituiti dai lavoratori relativamente autonomi (specialmente artigiani e contadini proprietari), che non vogliono o non possono trovare impiego nelle attività dei loro padri, premono in tutti i modi per ottenere un posto, un impiego, dopo essersi muniti di un diploma o di una laurea. In queste condizioni, le fortune stesse degli uomini politici sono legate alle loro capacità di procurare «posti»; ed i «posti» spesso vengono assegnati in gran parte in modo indipendente dalla capacità delle persone. Si tratta di posti a livelli umili - per il così detto personale d'ordine e esecutivo - e si tratta, in minor misura, di posti a livelli relativamente elevati che specialmente negli enti locali comportano stipendi buoni, relativamente agli altri lavoratori e relativamente alla situazione economica.
Domina dunque, nel Mezzogiorno, il clientelismo politico e amministrativo. Gli stessi partiti di sinistra, quelli che hanno la falce e il martello e magari un libro come simbolo, rimangono inquinati da una tale situazione. Il clientelismo piccolo borghese rischia di travolgere anche questi partiti, che in teoria dovrebbero costituire, in primo luogo, l'espressione dei contadini più poveri e dei salariati agricoli (falce) e dei lavoratori salariati nell'industria (martello). In realtà, questi partiti, almeno negli organismi centrali, sono gestiti e diretti da piccoli borghesi, più o meno illuminati: l'elogio del «proletariato», la proclamazione della sua egemonia, spesso diventano una maschera della situazione reale, in cui l'egemonia è dei piccoli borghesi: molto libro, poco martello, pochissima falce. La verità è che i piccoli borghesi hanno conquistato l'elettorato attivo e quello passivo, mentre gli uomini della falce e del martello di regola hanno solo l'elettorato attivo.
Le critiche ed anzi le invettive che Gaetano Salvemini scaglia contro la piccola borghesia meridionale sono dunque largamente valide anche oggi. Ecco qualche citazione:
"La vita pubblica nel Mezzogiorno è assolutamente impraticabile per chi non sia una canaglia (...). Va da sé che le lotte fra le fazioni non hanno nessun contenuto né sociale né politico. Si tratta di clientele concorrenti in cui si scinde l'unica classe dominante (…). Se qualcosa c'è da dire sugli ideali dei vari eserciti in lotta, è che tutti hanno lo stesso ideale: togliersi un po' di fame sul bilancio del comune" (La piccola borghesia intellettuale nel Mezzogiorno d'Italia, [1911], in Movimento socialista e questione meridionale, Feltrinelli, Milano, 1963, pp. 487-93).
Dal principio del secolo ad oggi, dunque, le condizioni della vita pubblica sembra siano mutate più nella forma che nella sostanza. In gran parte le cose stanno proprio così. Tuttavia, se l'osservatore riesce a dominare le sue emozioni e l'angoscia e la rabbia di fronte ad uno spettacolo spesso barbaro ed incivile, egli deve riconoscere che molte cose sono cambiate anche nella sostanza; ed i cambiamenti hanno avuto luogo non solo nelle campagne (le condizioni economiche dei contadini sono molto migliorate ed il loro numero è fortemente diminuito per via dell'emigrazione), ma anche nelle città dove, in certi casi, sono sorti nuclei piccoli ma dinamici di classe operaia moderna.
In conclusione, nel Sud i nuclei relativamente omogenei e moderni della piccola borghesia e della classe operaia sono ancora così esigui da rendere problematico l'uso stesso del concetto di classe: converrebbe forse parlare semplicemente di categorie socio-economiche. In ogni caso occorre tenere ben presente che tanto nella piccola borghesia relativamente autonoma quanto fra i lavoratori salariati sono ancora numerose le persone occupate in modo precario