Da Qualesammarco, n. 1 del 1991
Il sasso nello stagno
di Sergio D'Amaro
Sono passati tre anni dal numero zero di Qualesammarco, nel maggio '88. Per me è difficile dire cosa è cambiato o cosa è restato in questi mesi. Non so perché, mi viene in mente l’ultima visita del caro Joe Tusiani, il suo paese portato oltre Atlantico e ritornato, di riflesso, carico di giusta fama.
Forse sì, S. Marco merita un destino migliore, ma a prezzo di duri sforzi e di una volontà che va distribuita equamente fra tutti. Penso agli sforzi e alla volontà, oltre che all’intelligenza squisita, di Tusiani per farsi largo nei colleges di Manhattan; e quanto quest’uomo abbia sofferto (“Am I a man or two strange halves of one?” - Sono un uomo o due strane metà di uno? -; “Two Languages, two Lands, Perhaps two Souls” - Due lingue, due terre, forse due anime -) e abbia sublimato nei suoi lunghi anni d'America, e quanto abbia amato il suo paese e tuttora lo cerchi, lui che può permettersi il Who’s Who.
Per amare e conoscere la propria aiuola (che molte volte ci fa feroci!) occorre uno sguardo straniato, da lontano. Bisogna cioè armarsi di un cannocchiale rovesciato, che capovolgendo la visione garantisca la relatività di ogni immagine e di ogni impressione. E’ utile, in quest’ottica che non vuole i particolari, cercare ancora i problemi e le gioie e le angosce che ci accompagnano? Oggi non so, dopo tre anni di giornale un po' a cascata, un po' a singhiozzo, che cosa dire di “pubblico” e di opportunamente “giornalistico”.
Forse sappiamo le cose che vogliamo dirci o che non vorremmo nasconderci, sappiamo che continua ancora a pulsare la vita oltre i pochi metri quadrati toccati in sorte (o accettati per inerzia o comodo o cattiva coscienza). Siamo un po' tutti frastornati dal doppio occhio che dobbiamo prestare al grande mondo che sguscia via dai mass media e al piccolo mondo del paese che corre dietro alle merci prestigiose di un potere sconosciuto, difficile da decifrare.
E’ la nostra anima se ne va, leggera e cinica, a cercare uno spazio vivibile, a cercare i significati, i valori che galleggiano ormai tra un'insegna e un clackson, tra una parolaccia e un orologio che vorremmo fermare.
Perché un giornale, allora in un tempo di miseria (e, per molti, di disorientamento)? Ancora una volta, per cercare di capire, per tentare un colloquio civile, per gettare nella stagno la parola e le parole che ci uniscono e ci educano. Basti questo per continuare, per ora, a sperare.
Una postilla
Intanto, per l'estate in atto vorrei segnalare agli amici cui sta a cuore la sorte del Comune un convegno (di cui ancora non si hanno gli atti) svoltosi l’anno scorso a Rende, in Calabria, che aveva per tema Dal Comune mancato al paese ritrovato. Vi hanno partecipato studiosi come G. Cingari, F. Cardini, R. Colapietra, G. Gubitosi, C. Pitta, V. Teti. Una riflessione molto stimolante sulla mancata rivoluzione municipale di cui parlava Carlo Cattaneo a proposito dei Comuni meridionali.
Sergio D’Amaro