Vecchia foto panoramica di San Marco in Lamis
Vecchia foto panoramica di San Marco in Lamis
A conclusione della ricerca è possibile pervenire a delle idee valutative e interpretative delle testimonianze con dialogo e delle interviste prodotte dagli informatori. Il materiale verrà esaminato evitando un'esposizione schematica dei dati e procedendo, al contrario, a scomposizioni e ricomposizioni in un'ottica di analisi e rielaborazione della quotidianità desunta dalle testimonianze. Si tratta del resoconto di un'esperienza complessiva, al cui centro si colloca un tentativo di riattivazione della memoria storica collettiva attraverso la comunicazione orale, con la consapevolezza che questo metodo è spesso in grado di restituire ambiti di realtà non sufficientemente indagati dalla storiografia corrente.
Nello studio delle tradizioni popolari il ciclo della vita e il ciclo calendariale si intrecciano tra loro collegando la vita dell'individuo, seguito dalla nascita alla morte, al ritmo delle stagioni, in cui la vita fisica della collettività dipende dall'andamento stagionale. Questi due cicli verranno analizzati in un'ottica di aggregazione dei contenuti comuni e seguendo una ripartizione che schematicamente consideri:
1) la cultura materiale
2) il ciclo della vita (con gli inevitabili riferimenti agli aspetti sociali e religiosi ad esso collegati).
Analizzando più approfonditamente i mestieri tradizionali, si può partire dalle attività legate alla lavorazione della terra o al suo utilizzo: agricoltori, braccianti, coadiutori agricoli, pastori, provvedevano e in parte provvedono ancora oggi alla semina e alla lavorazione del vigneto, del frutteto, dell'uliveto, e all'allevamento del bestiame. Per la semina si utilizzava il sistema della rotazione. Il terreno era diviso in quattro parti: il primo quarto era utilizzato per i pascoli, il secondo era arato e lasciato a maggese o vuoto o seminato a legumi, il terzo, lasciato l'anno precedente a maggese, veniva seminato a grano, e l'ultimo quarto, precedentemente utilizzato a grano, veniva seminato ad avena o nuovamente a grano,
Giugno vedeva i lavori di mietitura: il grano, raccolto in covoni, veniva portato sull'aia, trebbiato e separato dalla pula.
Panorama di San Marco in Lamis
Panorama di San Marco in Lamis
In un'economia contadina, in cui la produzione e lavorazione dei prodotti avveniva in loco, il grano raccolto dall'agricoltore veniva trasportato al mulino e qui mondato, macinato e setacciato per separare la crusca dalla farina. L'unico mugnaio attualmente presente nel paese ha in uso dal 1951 un mulino formato da un pulitore combinato, da un laminatoio a tre passaggi sovrapposti, da un cilindro a doppio effetto e dal frangitutto per il mangime.
La base del vigneto era la 400 americana, sulla quale si procedeva all'innesto: si inseriva un sarmento a due gemme ricoperto poi di terra e si innestava l'uva bianca, nera o francese. A vendemmia avvenuta, si controllava la quantità di zucchero contenuto nel mosto adoperando il mostimetro, si procedeva poi a travasarlo nelle damigiane e si inseriva il bisolfito in un pezzo di stoffa.
Per il frutteto l'innesto veniva legato alla pianta con la rafia e coperto con un giornale o con una foglia di fico per otto giorni; era possibile innestare diverse varietà e la stessa cosa avveniva per l'uliveto,
Tra gli strumenti usati dall'agricoltore sono da elencare le forbici, il potatoio, l'accetta, il cavallo con l'aratro, l'erpice, la falce, lo ''strappa cavalli'.
I prodotti della terra venivano venduti direttamente dai produttori o, in alternativa, dai fruttivendoli che provvedevano a raccogliere la verdura che cresceva spontaneamente o a rivendere la frutta acquistata presso i produttori. Il lavoro iniziava alle quattro del mattino e la merce veniva venduta al mercato.
Anche il mestiere del pastore aveva una grande rilevanza. Le mucche si mungevano a mano e il latte era versato in contenitori di rame; per la preparazione della ricotta si usavano una pentola grande, la schiumarola e le fiscelle di giunco,
All'utilizzo del territorio, in particolare delle sue risorse boschive, era legato pure il mestiere del carbonaio che si serviva del rastrello di legno, del vallo, della zappa, della motosega, della roncola. Il procedimento di carbonizzazione prevedeva quattro fasi. All'inizio la carbonaia veniva allestita sovrapponendo dei tronchi in modo da formare una gabbia e sistemando intorno ad essa il legname ricoperto poi con foglie secche e terra. In un secondo tempo, la carbonaia veniva accesa introducendo nell'apertura carboni incandescenti e veniva lasciata bruciare per 11-13 giorni. Si procedeva quindi allo spegnimento e raffreddamento e infine all’estrazione del carbone attraverso delle portelle aperte sui lati della carbonaia.
Lo scarto dei carboni veniva utilizzato per ricavare la carbonina mentre dai rametti bruciati e ammortati con l'acqua si ricavava la carbonella.
La montagna era fonte di sostentamento per quella fetta di popolazione che non aveva attività propria e in alternativa a quello di bracciante agricolo accettava un lavoro a cottimo quale quello del cavapietre. Nello svolgimento del suo lavoro, il cavapietre usava la paramena per forare, il martello a due punte, la zappa e il cesto di ferro per mettere il materiale. Il lavoro era pericoloso e impegnativo: il cavapietre lavorava dal lunedì al sabato e il suo lavoro consisteva nel forare la montagna per circa quattro metri, estarre la pietra e portarla nei frantoi, dove si produceva la sabbia, la moniglia, la graniglia, la breccia; il tutto era poi caricato sui camion utilizzando cesti di ferro trasportati a spalla.
Panorama di San Marco in Lamis
Panorama di San Marco in Lamis
La produzione degli attrezzi in legno o in ferro era squisitamente artigianale. Oggi la produzione in loco è venuta meno con il progressivo abbandono delle campagne e l'introduzione dei manufatti industriali. Il fabbro provvedeva a ferrare i cavalli utilizzando il martello, la rognapiedi, il coltello, la tenaglia, e a forgiare zappe, falci, balconi, scaldando acciaio e ferro con un composto chiamato placca e formato da terra e composti chimici. Anche i bulloni erano prodotti artigianalmente versando il composto in un pezzo di ferro piano con fori di diverso diametro, chiamato gruvera. In assenza di veterinari, il fabbro provvedeva anche ad operare i cavalli e a castrarli. Per la castrazione si procedeva in questo modo: con la luna nuova, si copriva la testa del cavallo con un sacco, si legavano le zampe e, dopo averli cosparsi di alcool, si legavano i testicoli con uno spago e si inseriva una canna. Dopo otto giorni i testicoli andavano in necrosi e l'operazione era terminata.
Il sellaio provvedeva a costruire gli oggetti per il cavallo: il collare, la bardella, la braga, la briglia, il sottopancia e infine la sella, che poteva essere di due tipi, americana e inglese; la prima serviva per i lavori più pesanti, la seconda solo per cavalcare. Nel suo lavoro il sellaio usava aghi, asole, stecche, morse, pelle di bufalo o di vitello, feltro, crine e canovacci. Il carrettiere, utilizzando il carro costruito dal carradore, i cavalli e gli oggetti lavorati dal sellaio, provvedeva a trasportare la merce da S. Marco allo scalo della ferrovia garganica o ai paesi vicini e viceversa. Il carro aveva due stanghe e tre cavalli, del quali quello centrale portava il timone. Il lavoro iniziava alle quattro del mattino, ma già dalle due il carrettiere preparava i cavalli.
Gli attrezzi in legno erano costruiti dal falegname che usava raspa, sega, pialla, pialletto, scalpello e martello. Oltre a qualche attrezzo in legno che poteva servire in campagna, il falegname lavorava per lo più oggetti per la casa: scaldini, spianatoie, madie, e mobili quali il comò, l'armadio, il tavolo. Per lucidarli si usava un composto di alcool e gomma lacca. I mobili d'arte erano fatti dall'ebanista. Gli oggetti in stagno erano lavorati dallo stagnino, che scioglieva lo stagno nell'olio e aggiungeva un po' di acido. Gli strumenti usati erano il martello, l'incudine, la lima, il saldatore, la pinza, la tenaglia, le forbici, e il copriforgia che serve per forare lo stagno. Il lavoro del muratore è ancora oggi diffuso tra la popolazione attiva del paese, ma ha subito molti cambiamenti. Anticamente, infatti, le case erano costruite in pietra e per la costruzione dei muri le pietre venivano squadrate e unite tra loro con un impasto di calce e sabbia. Il muratore utilizzava cesto, martello, martellino, cazzuola.
Il sarto, il calzolaio, l'orafo soddisfacevano le esigenze di abbigliamento della popolazione. Il sarto confezionava tanto abiti femminili, in particolare tailleur, quanto abiti maschili: a un petto, a doppio petto, cappotti a raglan, smoking. Anche gli abiti per il fidanzamento e il matrimonio erano confezionati dal sarto, che utilizzava il tavolo da taglio, le forbici, la squadra, la macchina da cucire, il ferro da stiro. Il sarto aveva in apprendistato dei ragazzi che collaboravano con lui e consegnavano gli abiti ai clienti ricevendo da questi una mancia chiamata parauante. Il calzolaio confezionava, oltre alle scarpe, le pantofole di velluto e di stoffa.
Anche la lavorazione dell'oro avveniva artigianalmente: dopo aver fuso l'oro in un crogiuolo, lo si faceva passare attraverso dei canali di diametro diverso per formare i fili d'oro; l'oro piatto veniva invece schiacciato sul laminatoio. I pendenti si ricavavano usando degli stampini tra cui uno a forma di dado. La lega era formata, per due quinti da argento o nichel o rame. Per pulire l'oro si utilizzavano la carta smeriglio e un impasto di terra e olio; per eliminare le incrostazioni si introducevano collane e bracciali in acido solforico.