Una vecchia veduta panoramica di San Marco in Lamis
Una vecchia veduta panoramica di San Marco in Lamis
Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre precisare che assumiamo la nozione di cultura in senso antropologico, cioè come complesso delle attività e dei prodotti intellettuali e manuali dell'uomo in società. Rientra in questo concetto di cultura tutto ciò che ha a che fare con la dimensione materiale e simbolica della quotidianità. Per ciò che riguarda la cultura materiale faremo riferimento, in particolare, ai prodotti e strumenti dei: a) mestieri tradizionali; b) arredo della casa; e) abbigliamento; d) alimentazione, e) medicina popolare.
a) Mestieri tradizionali
Una panoramica sulle attività svolte da quella che era la popolazione attiva di S. Marco in Lamis nei passati decenni delinea mestieri legati al ciclo delle stagioni e alle risorse del territorio: pastori, agricoltori, fruttivendoli, mugnai, cavapietre, che vivendo in stretto rapporto con la natura, ne dipendono fisicamente; oppure mestieri trasversalmente collegati a questi per la produzione degli attrezzi, quali fabbri, falegnami, sellai, carradori, stagnini, Tra i mestieri legati al fabbisogno locale della popolazione sono stati rilevati quelli del muratore, sarto, orafo, calzolaio, in un contesto in cui le risorse locali soddisfacevano le esigenze legate al ciclo della vita. A questo riguardo le attività lavorative della popolazione femminile sono ugualmente significative: ricamatrici, tessitrici, magliaie, sarte, lavandaie che con il loro lavoro, per lo più integrativo del bilancio familiare e svolto tra le pareti domestiche, provvedevano alla biancheria e al vestiario, sia per il quotidiano che per le occasioni straordinarie, quali il matrimonio, il carnevale, le feste.
Per quanto riguarda invece il lavoro femminile, mancando completamente qualsiasi attività operaia, esso si orientava verso l'attività di coadiuvante agricola o verso attività inerenti alle esigenze della casa e dell'abbigliamento. Le bambine imparavano presto a ricamare, a tessere, a cucire, a lavorare a maglia, e trascorrevano l'adolescenza a preparare il corredo. Strumenti usati erano il telaio con i cavalletti per il ricamo, quello a due o quattro pedali per la tessitura o anche il telaio piccolo per ricamare a macchina, la navetta, il pettine, il subbio, il portagomitolo, l'arcolaio, l'aspo, il fuso, la macchina da cucire o per la maglieria. I punti principali ricamati erano l'intaglio, il filè e lo sfilato. Alcune donne poi continuavano a ricamare o tessere per integrare il bilancio familiare o si dedicavano all'insegnamento del mestiere di sarta o ricamatrice, prendendo presso di sé delle ragazze come apprendiste.
La maggior parte dei mestieri qui analizzati risultano oggi in via di estinzione: è stata rincontrata una sola presenza quanto all’attività dei carbonai, cavapietre, fabbri, falegnami, stagnini, sarti si è ridotto a poche unità. Altri mestieri sono scomparsi e tra essi quello del cardalana, dell'arrotino, del venditore di neve.
b) l'arredo della casa
L'arredamento di una casa. Da una tavoletta dipinta (1837) della collezione presente nel Santuario di S. Matteo a San Marco in Lamis.
L'arredamento di una casa. Da una tavoletta dipinta (1837) della collezione presente nel Santuario di S. Matteo a San Marco in Lamis.
I pochi oggetti di arredo delle abitazioni, come già accennato nell'elencazione dei mestieri, erano costruiti dagli artigiani del tempo; in particolare, il mobilio (comprendente la cassettiera, il tavolino, le sedie, il comodino, l'armadio, il letto) e gli utensili per la cucina (madia, setacci, matterelli, oggetti di rame, pentole, piatti di creta, piatti e posate di legno). Il tutto era sistemato per lo più in un unico locale che fungeva da zona notte e zona giorno; in genere il letto era ubicato al centro della stanza, il mobilio addossato alla parete e in un angolo della stanza erano la cucina e il tavolo. Solitamente gli animali erano sistemati nella casa: c'era una mangiatoia in legno per i cavalli, una stia per galline, conigli, capretti; nei pressi del letto era sistemato il maialino. Il materasso era riempito con foglie di granturco e chi non poteva permettersi la testata del letto usava i cavalletti e quattro tavole. La biancheria del letto era per lo più in cotone grezzo, tessuto al telaio. In assenza di servizi idrici e fognanti, l'acqua era trasportata dalle fontane e per i servizi igienici si utilizzava un vaso che veniva riposto dietro il letto, nel sottoscala o nel camino nascosto da un panno. La mattina un carro trainato da un cavallo trasportava una botte al cui interno si svuotavano i vasi.
c) L'abbiglamento
Tavoletta votiva dipinta del Santuario di S. Matteo a S. marco in Lamis
Tavoletta votiva dipinta del Santuario di S. Matteo a S. marco in Lamis
La donna indossava una gonna a fiorami, un giacchino, un grembiule, uno scialle. I tessuti più usati erano la flanella e il velluto. Il grembiule e lo scialle erano in tessuto fine e chiaro, adorni di ricami e merletti. Il tipo di calzatura più usato era rappresentato dalle pantofole che si portavano con calze di lana pecorina cardata dal cardalana, filate, lavorate e colorate in casa dalle donne. Le scarpe erano usate molto raramente e comunque in occasioni particolari. Le donne si adornavano di collane prodotte artigianalmente, che recavano pietre preziose e pendenti a forma di botte o di conchiglia. Allorché era d'obbligo vestirsi di lutto, il vestiario veniva tinto di nero e portato in genere per decenni o anche per l'intera vita, e gli oggetti di ornamento venivano modificati sostituendo, ad esempio, le pietre colorate degli orecchini con una pietra nera.
I capelli erano intrecciaci e raccolti sulla nuca con l'ausilio di forcine, perché questa acconciatura era adatta ai lavori domestici e agricoli, nel qual caso un fazzoletto proteggeva i capelli.
L'abbigliamento maschile era confezionato dai sarti, che utilizzavano tessuti chiari per gli abiti estivi e tessuti blu o marrone per gli abili invernali: si trattava di cappotti, giacche, gilè, camicie, pantaloni, in particolare alla zuava, indossati su biancheria lavorata in casa.
d) L'alimentazione
Una famiglia sammarchese - Foto di Giuseppe Bonfitto
Una famiglia sammarchese - Foto di Giuseppe Bonfitto
In casa si provvedeva anche a confezionare il pane secondo questo procedimento: dopo aver scaldato l'acqua si aggiungeva il sale e la farina nella madia; si ammassava e si lasciava riposare per un'ora, L'impasto veniva ammassato di nuovo e lo si metteva a crescere per tre ore; veniva poi spezzato e dopo mezz'ora passato. Dopo aver fatto riposare l'impasto ancora per un'ora, lo si trasformava in pagnotte pronte per essere infornate.
Il pane, così confezionato, durava per sette-dieci giorni e veniva usato dalla famiglia per preparare il pancotto: di solito, tozzi di pane bagnato e serviti con verdura, patate e legumi. Oltre al pancotto si usava molto cucinare la farina di granturco che veniva utilizzata in diversi modi: versata in acqua bollente con l'aggiunta di sale, fagioli, patate, grasso di maiale e olive, oppure, dopo averla bollita, arrostita sulla graticola e condita con l'olio, o, infine, ricoperta con una sfoglia di pane e cotta al forno. In occasione delle festività le donne preparavano crostoli e pèttole di Natale, e biscotti, taralli, propati e canestrelti a Pasqua.
e) La medicina popolare
La credenza del malocchio è connessa ad una serie di pratiche e oggetti per allontanarlo. Una donna, che sia esperta del rituale, versa in un piatto pieno d'acqua tre gocce di olio recitando una formula e segnando col segno della croce la persona colpita dal malocchio, La prima goccia di olio che si allarga conferma l’esistenza del malocchio, mentre il permanere del malocchio richiede la ripetizione del rituale per tre volte nella giornata. La formula può essere trasmessa solo nella notte di Natale. Oggetti tenuti in casa per difendersi dal malocchio sono il ferro di cavallo, il corno, la testina.
La medicina popolare ha elaborato rimedi contro le riniti, le emorragie, le infreddature e il carbonchio. L'influenza era curata con la santolina, l'aglio pestato e la menta. Per il morbillo e gli orecchioni si facevano impacchi caldi di camomilla. Olio e vino servivano per rimarginare le ferite: questo rimedio era definito 'medicina di Gesù Cristo'. Un disturbo intestinale tipico dei bambini, l'ossiurìasi, veniva curato da una persona al corrente del rituale, appoggiando le mani sul ventre, pronunciando una formula e facendo il segno della croce. La tosse era curata con il decotto di malva e il morbillo somministrando al bambino solo del latte.