Il 18 di marzo devo fare 78 anni. Ho conosciuto mio marito che stava a fianco casa o saliva lui da me che abitavo sul Trono [Piazza Municipio]. Quando l'ho conosciuto tenevo 21 anni e non si saliva sopra come adesso. Mi sono sposata a 22 anni e lui ha fatto il militare e poi quando è venuto ci siamo sposati. Mi ha fatto sapere che mi voleva dalla madre e dal padre e mio padre ha detto: - Perché sta vicino [abita vicino], vorrebbe salire sopra? Deve andare prima sotto le armi e quando viene vi sposate. - E mi sono sposata a 22 anni. E' venuto mio suocero e mi ha portato un anello: apre il taschino e me lo dà.
Mi sono sposata il sei gennaio, giorno della Befana.
Mio padre scendeva con il mulo e ha detto: - L'avete fatta bene la fregatura! E l'indomani mattina che mi sono sposata non è salito sopra, mi ha aspettato fuori.
Lui quante volte mi ha fatto le serenate, e gli altri l'accompagnavano a cantare e suonavano con il violino. Erano i figli di Zumbridde, Squacciapantana che sono morti. Veniva a fare le serenate ogni dieci giorni dalla campagna e me le faceva quando eravamo fidanzati. Cantavano la sera tardi e tu stavi coricata e addormentata.
Quando ho fatto vedere la dote, sono venuti a conservarla la famiglia sua e la famiglia mia e l'hanno contata. Prima il letto si faceva a quattro cuscini e mia suocera mi ha fatto i cavalletti e le tavole e l'hanno fatto pitturare. Io ho avuto la dote a otto, anche lui ne ha avuta assai. Ho fatto vedere la dote otto giorni prima, ho preparato la festa con i propati [dolci locali].
Prima si usava che alla sposa, prima di sposarsi, andavano a intrecciarle i capelli. Però quando mi sono sposata io non si usava. Per andare a conoscere la sposa si mettevano una calza rossa e una calza celeste. Se si mettevano una striscia (virie) rossa e una striscia bianca andavano a fare il parentado e portavano la mezzetta (muzzétte) col grano. Andava la intrecciatrice, le portavano [alla sposa] il concertino [il completo da toilette], il pettine e il fermacapelli.
Prima andavano 3 o 4 donne che si conoscevano e si volevano bene, con lo scialle (faccelettone), si mettevano la spilla d'oro per far mantenere lo scialle (maccature) e andavano a conoscere la sposa.
Si mettevano una calza rossa e un'altra un po' gialla o verde o celeste perché le donne che le guardavano dicessero: - Uh, vanno a conoscere la fidanzata!
Poi quando andavano a pettinarla, la suocera le portava il pettine, il fermatuppè, l'anello e pagavano quella donna che andava a intrecciarla e la mettevano sulla mezzetta col grano [dentro]. Però quando mi sono sposata io non si usava. La dote la portavano con i cesti perché era vicina la casa dove dovevo andare [ad abitare].
Mi sono sposata alla Cattedrale e sono stata battezzata a S. Antonio perché sono nata nella strada del Purgatorio in Vico S. Agostino.
La sera prima che dovevamo sposarci sono venute a prepararmi (vèste) il letto mia suocera, le amiche che tenevo e mia sorella. Hanno preparato il letto, io l'ho visto solo quando siamo andati a dormire.
Il giorno che mi sono sposata abbiamo mangiato i maccheroni, la carne, la carne con patate nella teglia (carna a rote), le noci, le mandorle, il caffè. Un'altra sera c'erano gli invitati e pure i suonatori e hanno mangiato con noi. Di regali ho fatto soldi e oro: mi hanno dato un anello con i ricami e una signorina colore di rosa, poi un altro anello, due spille e due paia di orecchini (pèndele} me l'hanno data gli Squacciapantane.
Gli altri hanno dato i soldi. Abbiamo fatto di soldi 50 mila lire. Quando mi sono sposata mia suocera ha fatto venire il vino da Torremaggiore. Qui teneva una nipote che ha portato una botte (vascédde) di vino. Quando la festa è finita [...]. Durante la festa si cantava:
Stai buona ohi Nannì, stai buono ohi Peppì / un altro po' non puoi aspettare,/ il sapone deve squagliarsi,/ non t'avessi mai aspettato/ il sapone si è già squagliato.
Un'altra canzone di mio cognato diceva:
Non mi serve lo stoppino/e un ventaglio per soffiare/non mi serve lo stoppino/e un ventaglio per soffiare/questa faccia che tieni/non ho voglia di guardare/Carbonaia, carbonaia,/carbonaia tutta 'mpussètta/,tutta marchétta/tutta 'mpussètta, tutta marchétta.
Quando è finita la festa, siamo andati a casa. La porta l'abbiamo trovata aperta. Sono saliti tutti gli invitati e poi se ne sono andati. Poi il lunedì delle nozze [il giorno dopo il matrimonio] sono venuti pure i suonatori, Squacciapantane [e cantavano]:
Di fronte al municipio/ ci sta Maria Costanza/ha aperto il pappagallo/ pure nella stalla/Ti sei fatta la veste bianca/e non la sai portare/Sei figlia di contadino e vai in campagna a lavorare./Prima ti consola/e ti torna a controllare/ti darei uno schiaffo/e un altro proprio là./Ti sei fatto la veste bianca/ed è di seta fine/e sotto devi mettere/una chioccia coi pulcini./Prima ti consola/e ti torna a controllare/ ti darei uno schiaffo/ e un altro proprio là.
Quando aspettavo il figlio, io mi vergognavo a dirlo e allora mia suocera ha detto: - Ora di quanto sei? - e io ho detto: - Di 23 anni. - Non questo fatto, ma di quanto stai [quanti mesi di gravidanza], devi portare il conto di quanti mesi stai!.
Io poi mi sono accorta che aspettavo e mia suocera che era più esperta mi ha messo in guardia. Io mi sedevo sul gradino e diceva: - Non devi sederti, ti fa male! Quando cucivo e mi mettevo il filo sopra le spalle diceva così: - Non lo devi mettere se no non nasce bene il bambino. Di fronte casa avevano ucciso il maiale e io non lo dovevo guardare perché altrimenti ti veniva la voglia e allora quello che volevi usciva la macchia al bambino.
- Non devi toccarti da nessuna parte se no esce con la voglia di quella cosa che volevi. Io ho più esperienza, l'hanno detto a noi e noi lo diciamo a voi! - diceva mia suocera. Se ti veniva la voglia dicevi: - Oggi non voglio il pancotto, voglio le patate lesse sane - dovevi mangiarti quelle. Quando ti sposi, da una vita passi ad un altra, perché ti corichi con un uomo, non sei come quando sei giovane. E quando stai incinta, ci sono giorni che stai bene e giorni che non stai bene. Io non lo sapevo che la seconda volta erano gemelli e allora uno è nato vivo e l'altra è morta.
Quando aspettavo il primo fìglio, avevo la tosse e la notte non dormivo. Dopo gli cantavo la ninna nanna:
Ninna nanna, ninna nanna/il piede della culla è mezza mamma/Vieni S. Anna con le mani piene/vieni come S.Giorgio/vieni come S. Giorgio cavaliere/Ninna oh..., oh..., oh....
Un'altra ninna nanna diceva:
Mamma t'ha fatto/un letto di rose/e un altro di menta e un altro di menta/per profumare oh.., oh.., oh.., oh.., La mamma gli vuol bene/e il padre quando viene/il padre è venuto/ e pure bene gli ha voluto.
Quando ho battezzato Matteo, lui aveva 10 -11 giorni. Tonino ancora prima perché stava ammalato il padre e non ho fatto neanche la festa. A Matteo ho fatto la festa: veniva la comare quando era lo sposalizio della Madonna e alla festa di S. Giuseppe e la invitavo a pranzo. Lei è viva ed abita a Casarinelli [quartiere di S. Marco in Lamis] il marito è morto. La comare quando l'ha battezzato gli ha regalato l'anello: poi quando è venuta a trovarci gli ha regalato due anellini e un'altra volta due cuffiette (cuppelicchje) che si usavano.
Non stavano mai ammalati e non chiamavo mai il medico perché li ho allattati io, non come adesso che subito gli danno il lecca-lecca.
Subito dopo lo [svezzamento] mangiavano le cose che mangiavamo noi, mangiavano alla stessa nostra ora.
Dicevano che c'era il malocchio, ma io non ci credevo. Ci stava una donna qua vicino e diceva che il bambino era stato affatturato (affascinate) perché non si sentiva bene, ma lui teneva solo la tosse.
E gli massaggiavano la pancia e gli facevano il segno della croce, ma adesso non c'è più l'affascinatura.
Tonino è andato a scuola fino alla quarta elementare, Matteo fino alla quinta. Poi, io non avevo soldi per farli andare a scuola perché non tenevo proprietà e sono andati a lavorare. Uno è andato in campagna e poi Tonino si è messo con Celozzi. L'altro figlio è andato a lavorare in pianura (alla pugghja) ma siccome lo maltrattavano se ne è andato in Francia dallo zio.
Mio marito è morto a 26 anni nel 1937, il 23 marzo e il mio primo figlio è nato l'anno prima nel 1936: [quando è morto mio marito] il bambino teneva tre mesi. Mio marito era malato e diceva: - Mi fa male la pancia. Stava a letto e tenevamo per medico don Nunzio; lui è venuto molte volte e ha detto di portarlo a Foggia da un medico specialista per avere una soddisfazione. Quando è venuto la sera da Foggia, non poteva abbottonare il pantalone perché la pancia si gonfiava (abbuttava). Il medico veniva due volte al giorno e ha detto: - Sentite, adesso vi siete tolti la soddisfazione di andare a Foggia! Che vi ha detto? Quello che vi avevo detto io: questo ha la cirrosi epatica - insomma teneva malato il fegato. Il medico ha detto: - Adesso vi porterò tutti i dottori di San Marco. E io ho detto: - Come li paghiamo, non teniamo soldi.
Lui non mangiava, non beveva, non faceva niente. Se gli avessimo dato un po' di mozzarella, sarebbe morto e perciò non gli davamo niente.
Io avevo le mandorle; non sapevo dove metterle e le ho messe in un sacchetto dentro al doppiofondo del comò (contrafunne dellu cumò).
Le donne che ci stavano, a mezzanotte se ne sono andate.
Erano le 10 o 11 di notte e io sentivo le mandorle che facevano rumore e mio marito ha detto: - Togli le mandorle da lì dentro.
Era la sera di Pasqua Epifania e ho detto a quella che mi ha allattato di andarsene a riposare a casa sua perché pure lei teneva i figli, tanto io potevo riposare, se volevo, nel letto di mio marito. Però non sono andata a coricarmi al suo fianco perché la pancia era troppo grossa e occupava tutto il letto.
Allora ho sentito muovere il quadro e mio marito ha detto: - Avevo preso sonno, e questo rumore mi ha svegliato. È venuta mamma a bussare?. Lui voleva alzarsi ma non poteva perché era troppo grossa.
Mi sono affacciata ma non c'era nessuno. Non stavo svestita e ho sentito bussare di nuovo e ho detto: - Questa è mamma. Era la notte della Befana, il 6 gennaio. La mattina presto, mia suocera è entrata dalla signora di fronte e ha detto: - Antonietta ancora non apre - e quella ha risposto - Eh! si sentiva sempre rumore questa notte! - e io dicevo: - Posso mai aprire? Sono ancora le tre,.., sale qualche gatto, qualcuno...- ma poi sono andata ad aprire e mia suocera è entrata, e mio marito ha detto: - Mamma, sonno non me ne viene, né a me, né ad Antonietta e sento muovere il quadro.
E lei ha risposto - Beh, figlio mio, quando vedo aperto, salgo, quando vedo chiuso aspetto da questa signora di fronte. Ancora non faceva giorno e stava la casa piena, e c'era pure mia suocera e mio marito si è sentito male. E' venuto don Antonio De Florio perché don Nunzio non c'era e ha detto che non aveva più di 10 giorni di vita.
Un giorno, c'era un pacchetto di sigarette sopra il camino, ma lui non era un gran fumatore né bevitore di vino e gli è venuto un altro dolore, ed ho trovato la tovaglia sul letto e l'ho visto con gli occhi aperti e spalancati, con i capelli unti ed è morto.
E' morto la sera, l'abbiamo tenuto tutta la notte e c'era tutta la famiglia e due case di persone. Poi l'hanno portato prima di mezzogiorno alla chiesa madre. Quando stavamo in campagna, è venuto don Pio Moscarella e ha detto: -
Il morto l'hanno vestito le donne e gli uomini; io e mia suocera tenevamo una pena, stavamo in un angolo senza far niente: piangevamo assai. Gli hanno messo il vestito di quando ci siamo sposati: era nero con la camicia bianca.
Il morto se lo sono portati a spalla: ci volevano quattro uomini e dovevi dargli quattro tovaglie bianche che mettevano sopra le spalle, se no la tavoletta gli faceva male. Erano i compagni della masseria.
La bara l'hanno portata dalla chiesa al cimitero, non si faceva il giro del paese. Dietro andavano i preti di San Marco, i monaci di S. Matteo, la banda. I monaci di S. Matteo hanno cantato pure in casa.
Il primo consolo (recùnzele) l'hanno portato la buonanima di Michele D'Amico che m'era compare. La moglie ha cresimato Raffaelina.
Hanno portato il pranzo; mia suocera per la pena del figlio mangiava poco. Io mangiavo poco e non potevo neanche allattare perché le tenevo [le mammelle] troppo piene e una comare mi ha detto di allattare al contrario il bambino: non potevo uscire la mammella perché mi facevano male le spalle. Pure gli altri della famiglia hanno portato il pranzo e noi gliel'abbiamo sempre restituito, siamo stati riconoscenti.
Le persone sono venute a fare le visite per un mese di tempo.
Il vestito nero l'ho messo l'indomani: e mi sono fatta tingere i vestiti perché non tenevo soldi. Ho tenuto il lutto 29 anni.
Mio suocero non ci poteva vedere vestite di nero, me e mia suocera.
Quando gli abbiamo fatto mettere il gilè nero, è andato verso il bosco e se l'è tolto. Le persone dicevano: - Madonna, non è ancora un mese che è morto il figlio! Madonna.
Poi mia suocera gli ha fatto la fascia nera al braccio e pure se l'è tolta e ha detto: - Io somiglio a zio Arcangelo che diceva: il malato si deve vedere vivo, non morto! E cosi il lutto l'abbiamo tenuto io e mia suocera solamente.
Allora non si usava il lutto fuori, né i drappi neri (tesélle) ma il falegname portava il tavolo e metteva la bara sopra. Tu poi mettevi la coperta, mettevi la piega, il bel cuscino.
Ho avuto i gemelli e la femminuccia è morta subito; le hanno fatto la vestina, l'hanno messa nella baricella e l'hanno portata al cimitero senza dire la messa perché era nata di mezz'ora neanche.
Dopo un anno che è morto mio marito, abbiamo fatto dire la messa. Allora ci stavano i Fratelli Professi e cantavano l'ufficio nella chiesa e mettevano al centro della chiesa il lutto e le candele intorno che dovevi pagare tu. Dato che quelli cantavano, mia suocera ha portato pure il liquore perché allora così si usava.
Quando stavi a lutto non dovevi uscire per niente, neanche a fare la spesa, anzi allora non si faceva neanche la spesa perché eravamo tutti campagnoli.
Poi mio suocero ha detto: - Questa è la prima e ultima volta che veniamo di notte. Le altre volte andavamo di giorno e scendevamo davanti casa. Non uscivamo per niente; pagavamo una donna con le cose che portavamo dalla campagna e ci facevamo trasportare l'acqua.
Per un paio di anni abbiamo fatto così; poi, io tenevo i bambini, i soldi ci volevano e sono andata a lavorare.
L'inverno andavo da don Massimo a fare i servizi. Andavo a fare la salsa dalle persone. Poi, mia cognata ancora non si sposava e io filavo la lana, l'allargavo, dipanavo il cotone e lo portavo dalla tessitrice. E così è maritata mia cognata e si è sposato il figlio maschio. A questo figlio mia suocera non ha dato quello che ha dato a mio marito perché lui era il primo figlio e ha avuto molti panni.
Poi, mia suocera e mio suocero non seminavano più ed io come dovevo fare, dovevo campare d'aria? Allora ho venduto qualcosa e mio suocero ha detto: - Questi [soldi] adesso vai a conservarteli alla posta. In quei tempi 50 mila lire erano assai. E lui ha detto: - Poi, noi ci facciamo vecchi e in queste case stiamo d'affìtto. Tu hai due figli e con te, tre, almeno con questi soldi ti compri una casetta, vai a conservarteli. E così ho comprato questa casa che costava 36 mila lire a quei tempi e coi soldi che sono avanzati ho fatto fare la porta. Poi, quando si erano sposati i figli, uno se ne era andato in Francia, l'altro figlio lavorava in campagna ed io facevo un po' a casa dei Nardella e un po' qua: preparavo da mangiare alla sorella di mio marito, quando veniva il mezzogiorno, sopra il camino perché allora non c'era la cucina.
Poi sono andata a casa dei Nardella-Tardio e sono stata sempre là. Non mi sono sposata più: uno era il marito, non due. Io con quello mi conoscevo, con quello mi sono scritta quando stava sotto le armi quelle lettere così belle. Insomma la verginità l'ho portata fino a passata mezzanotte. E dovevo sposarmi un'altra volta! No!
Mio suocero voleva sposarmi, la mia matrigna pure e io dicevo: - Beh, quest'uomo non lo conosco e devo prendermi quest'uomo. Tenevo due figli, avevo fatto i gemelli, non dovevo avere gli altri! E dovevo farmi dire - A quelli li vuole bene e agli altri no!
Quando è morto mio marito non si cantava niente in casa. Solo l'anno dopo nella chiesa mio suocero ha fatto cantare i Fratelli Professi perché così si usava. Ha portato pure il liquore. Prima di portare il morto in chiesa, veniva il prete a benedire, diceva due cose e dava la benedizione. Lui quando stava malato, c'era don Marco qua, buonanima. Mio marito sapeva leggere e scrivere più di me e ha detto: - Don Marco, portatemi un libro, cosi passo il tempo. lo ha tenuto una decina di giomi, poi si è aggravato gliel'ha dato a don Marco che veniva tutti i giorni a vederlo, perché non ce la faceva più a leggere. E cosi se l'è portato.
Il Signore pure ha pregato e mi ha dato la salute per ciò che ho fatto.
Una volta ho sognato che abitavo dove è morto mio marito e dopo una quindicina di giorni dalla morte lui mi ha detto: - Ti ho portato due colombe e stanno sul balcone qua, tu non gliele dare a nessuno le colombe, vai a prenderle, poi se ne scappano. La mattina vado da mia suocera e c'era pure la mia matrigna che mi era come una mamma e io ho detto - Madonna, ho sognato così, così.... Mia suocera l'ha detto a Carmela Napoleone. Questa l'ha giocato al lotto e ha preso 30 mila a quei tempi. Poi, dopo due o tre notti, l'ho sognato di nuovo e ha detto con il dito alzato: - E' passato l'angelo davanti e non l'hai saputo riconoscere. La mattina gliel'ho detto a mia suocera e lei ha detto: - Ah, il sogno gliel'ho detto a comare Carmela e lei ha preso i soldi; adesso, tu non puoi fare niente più perché i soldi l'ha presi quella. E non l'ho sognato più da quella volta. Lui mi ha indicato [insegnate] pure la casa dove dovevo portare le colombe: era nella strada di Cicerale, dove sta adesso il banco di Napoli.