Da Qualesammarco, n. 4 del 1992
Sammarco popolo di scrittori orfani?
Ho letto con l’interesse che merita la rassegna di Cosma Siani sull’ultimo numero di Qualesammarco, relativa alle opere pubblicate in loco da vari autori.
A me sembra che la conclusione del pezzo suoni più come una condanna degli Enti, che una chiamata alla responsabilità dei singoli. Se gli autori citati (tra cui il sottoscritto) son tornati a coltivare i gerani del proprio orticello è colpa, sembra, degli amministratori che non vogliono più promuovere cultura.
Ma, io obietto, questa rinnovata solitudine degli uomini di penna non è casomai imputabile al loro carattere costituzionalmente alquanto schifiltoso e scettico, nonché alla loro manifesta refrattarietà al confronto democratico?
Trovo una parziale e confortante risposta a questa domanda retorica nella bella immagine del direttore di “Tecnopolis” Dioguardi, riportata nel dossier sul Mezzogiorno allegato al Manifesto del 29 ottobre scorso. Dice dunque Dioguardi che oggi l’intellettuale lavora un po' come il monaco medievale rinchiuso nelle spesse mura del suo convento, mentre fuori impazza lo sfacelo sociale. Lavora, il monaco, preparando un nuovo Rinascimento, quando la città, sappiamo, renderà liberi, i commerci rifioriranno, i politici diventeranno mecenati e, come in America, sponsorizzeranno (opportunisticamente) Fondazioni o Istituti. Dioguardi sembra dire: il futuro si prepara nel cuore degli uomini, è un atto di volontà e di pazienza, è una costruzione silenziosa di civiltà.
Ma dove sta più il conforto di questa immagine, se la ritagliamo su quel luogo devastato per antonomasia che è il Mezzogiorno d’Italia? Mi fa un pò sorridere Valentino Parlato quando, nel citato dossier, individua nella classe intellettuale meridionale di oggi (diplomati e laureati disoccupati) l’unica speranza per la formazione di un nuovo blocco sociale in grado di ricompattare una società dispersiva (Gramsci diceva disgregata), profondamente segnata dal potere monopolistico-feudale facente capo alle lobbies strette tra imprenditori, amministratori, professionisti e appaltatori. Una parte non piccola di quegli stessi intellettuali non sarà inghiottita, tra breve, in quel disgraziato vortice affaristico tra legge e fuorilegge che la struttura socioeconomica impone? L’Italia, si sa, e non solo il Sud è una “repubblica fondata sul consumo" (si veda, al proposito. la densa materia del libro di Silvio Lanaro Storia dell'Italia repubblicana, editore Marsilio): ovvero, l'unica (vera) unità è quella che vede la Timberland e il bastoncino Findus ugualmente distribuiti tra i piedi e le bocche di terùn e lumbàrd, con buona e cardinalesca benedizione (da 50 anni) di quelli di Roma.
Ora, se si ritorna con lo sguardo all'amena aiuola di Sammarco, non si assiste, con sgomentata puntualità, ad una serie impressionante di sintomi che confermano la diagnosi infausta?
Non sono gli Enti, caro Cosma, che hanno lasciato solo gli intellettuali, ma è l'intera comunità che si è rinserrata nella sua solitudine, nei suoi redditi, nei suoi status, nei suoi traffici (di bottega e retrobottega). Quanto più la comunità è arretrata e si è isolata, tanto più ha rinunciato a pensare come cervello sociale e civile, tanto più il suo corpo si è disarticolato, si è involgarito e incancrenito, dando spazio non da ora alla devastazione materiale (si legga Starale), e poi assistendo rassegnata alla criminalità, teppistica e non, montante.
E con l'avanzare di questa, essa ha rinunciato al diritto di cittadinanza, allo stato stesso di diritto. La crisi di S. Marco in Lamis è la crisi del Mezzogiorno e dell'Italia, la crisi degli intellettuali di S. Marco in Lamis è la crisi di tutti gli intellettuali meridionali e italiani. Si è troppo sacrificato al dio denaro, la politica è stata subordinata all’economia, e la natura ad entrambe!
Come ricostruire, anzitutto moralmente, un blocco di forze sociali capaci di superare la frammentazione e il particolarismo che sono dati strutturali della società italiana? Come può la parte meridionale di questa società, viziata dall’assistenzialismo e dalla corruzione, recuperare il senso della socialità e di una solidarietà che sono i presupposti di una convivenza civile e democratica?
Il fervore culturale di Sammarco tra anni '70 e '80 è stato dovuto, a mio avviso, al semplice fatto che intellettuali erano anche i politici che guidavano il Comune, inverando così ad occhio e croce il teorema gramsciano di una interdipendenza tra i due sistemi. Ricordiamoci che nel ‘78 ci fu il 4 centenario del convento di S. Matteo e ci fu un feeling non più ripetuto tra chierici e laici. Il centinaio di libri e libercoli che da quell’epoca è saltato fuori dagli scrittoi locali ha avuto solo qualche parziale destinazione e quasi tutta ricadente sui mittenti stessi (in termini di contatti, amicizie, viaggi, riconoscimenti, recensioni, citazioni ecc.). Se il bisogno di ricerca e l'ambizione di respirare altri climi culturali è fatto che appartiene alla più profonda natura umana (figuriamoci se può essere condannato chi si emancipa dalla provincialità e dalle concavità garganiche!), ugualmente necessaria è la presenza di nuovi più agguerriti strumenti materiali atti ad avviare processi di penetrazione e di circolazione di taluni prodotti.
Non sarà che quella schifiltosità e refrattarietà di cui sopra ha contribuito non solo alla mancata socializzazione di quel che era sacrosantamente socializzabile (voglio dire di opere relative più direttamente alla storia e alla cultura del paese), ma ha determinato più in generale l'incapacità ad analizzare il fenomeno stesso e a trovarne una logica, anche se microstorica?
Una logica della cultura, che è una cultura più logicamente inserita nel contesto di provenienza e di scambio, e che può aiutare per la sua parte ad integrare la comprensione di una realtà che, pur con i suoi cancri, è in … crescita.
E allora? Allora si cominci almeno da qui, da ciò che si è verificato in quasi vent’anni di tentativi e di proposte. Si discuta e si sistemi questo segmento di storia intellettuale e sociale.
Si potranno trarre preziose indicazioni sulla fisionomia di un aspetto della modernizzazione del paese, sulle tipologie dei comportamenti comunicativi, su storie individuali che non trovano prolungamento di ascolto se non in un impari colloquio con l’establishment esterno (accademici, intellettuali, letterati, scrittori, avvezzi ai mass media e a pubblici nazionali e internazionali).
In tal modo eviteremo, caro Cosma, il pericolo da te paventato del solipsismo? Mah, io non so neanche se questo discorso che ho appena fatto sarà preso sul serio o per vuota ciancia (con espressioni tipo: “ma che vo' stu fesse?”). Forse si riterrà più comodo tacere, vedendo la questione semplicemente inesistente. So solo che con la mia e tua generazione si sono gettate le basi di un uso diverso del libro e della cultura, ed è già tanto se siamo entrati in crisi ed agiamo da critici (ad autocritici) del già dato.
Sergio D’Amaro