Da Qualesammarco, n. 3 del 1993
Interventi
L'animatore culturale: ecco il soggetto sottinteso di tanti discorsi
Mesi addietro ci fu un mio intervento su questo giornale, in merito a certi aspetti della nuova funzione intellettuale. Più precisamente cercavo di analizzare il fenomeno della vivacità editoriale di S. Marco negli ultimi 15-20 anni, mettendomi da un punto di vista socioculturale. Ne deducevo che era mancata non solo la socializzazione dei prodotti culturali, ma era venuta meno anche la capacità di analizzare il fenomeno dei molteplici messaggi a stampa e di trovarne una logica, anche se microstorica. In fondo, mi lamentavo che a fronte di tanto pullulare di libri, non ci fosse il pur minimo tentativo di capirne le motivazioni, di individuarne i contenuti e i destinatari, entro un contesto storico che invoca una logica della comunicazione. Solo riflettendo su quello che si è fatto, su come lo si è fatto, possiamo infatti aiutare noi stessi e gli altri a capire dove stiamo andando e perché abbiamo bisogno di certi strumenti per andare avanti.
Io credo che tale necessità oggi sia diventata irrinunciabile, specialmente se vogliamo far entrare la “cultura ” (la riscoperta della nostra cultura, in senso storico e antropologico) in un circuito di coinvolgimenti che sono anche morali e politici e si propongono come strategia di ricomposizione di società disgregate. E’ una necessità che incontra la realtà e la reinventa e rinnova, e che cade puntualmente alla svolta delle elezioni di giugno. Un paese come S. Marco che si scuote, ritrova il coraggio, la chiarezza, l'orgoglio e si riscopre ancora giovane, vivo, sobrio, serio: ebbene, un paese come questo, oggi, necessita ancora di più di una cultura resa chiara, comunicabile, disponibile, criticabile.
Sammarco, come il Sud, come l'Italia, ha attraversato gli anni più folli della già tanto folle storia del recente '900. E’ stato smarrito il senso morale, il senso umano del vivere, sacrificando l'intelligenza, la politica, la natura al dio mercato. Cosa si può fare praticamente per contribuire a questa nuova epoca di ricostruzione civile?
Per la mia parte e per quanto strettamente più mi compete, sono convinto che oltre alle esigenze di risanamento materiale della comunità, occorra dare al paese una più sistematica sollecitazione sul piano della crescita mentale, proprio in risposta ad una sua scomposta e torbida modernizzazione. Inutile dire che per una funzione intellettuale del tutto nuova occorre una figura intellettuale che è da noi inedita, ma che è stata sperimentata in altre realtà, anche molto più complesse.
Si tratta di un soggetto che forse abbiamo più volte sottinteso nei nostri discorsi sugli intellettuali, e che nella moderna organizzazione della società non è né l’intellettuale tradizionale né l'insegnante, ma si pone come mediatore in un Sistema Formativo Integrato. Questo soggetto è l’animatore culturale, che è beninteso un tecnico, ma con un particolare profilo di competenze, che spaziano dalla valorizzazione dell'esistente (del patrimonio culturale e storico, del “bene” culturale) alla sollecitazione, organizzazione, canalizzazione, fruizione e controllo dei bisogni culturali: come dire che l’animatore culturale riunifica le estremità recise della cultura come bene e della cultura come bisogno/partecipazione/aggregazione.
Se questo è il soggetto che andavamo cercando, se di esso in realtà si sentiva il bisogno, quel che si è sviluppato negli anni a Sammarco è stata una tendenza a surrogarne le funzioni, coprendone parzialmente le possibilità operative e facendo dei tentativi solo in parte riusciti.
Infatti, se il processo culturale è un processo anche politico e morale, come potevano gli intellettuali tradizionali o degli insegnanti coprire tutti i bisogni di una collettività in via di modernizzazione? In un Sistema Formativo Integrato la scuola (giusto perché la si tira sempre in ballo per le sue responsabilità) è solo un segmento del canale comunicativo, che in realtà comprende anche l'Ente Locale, le associazioni, i circoli, i centri o qualsivoglia agente operi nel territorio. Conforta quanto andiamo affermando quel che dice un filosofo del livello di Habermas, che nel suo ultimo libro (Morale Diritto Politica, ed Einaudi) fa appello all'uso della dialettica comunicativa, in cui valori e ideali del pubblico (mondo socioeconomico governato dalla razionalità) e del privato (mondo individuale esposto alle passioni) vengono reciprocamente chiariti e risistemati, restando (attenzione!) distinte e relativizzate le parti (e i partiti che sarebbero capaci di difendere i propri valori senza compromessi). Compito degli intellettuali, per Habermas, sarebbe quello di ricostruire un tessuto comunicativo razionale, indicando modelli, stili, bisogni contro l 'alienazione, l’emarginazione, la logica del potere.
Certo, anche come semplici animatori culturali il compito è molto impegnativo. Ma è il caso di ricordare che sono almeno 60 anni che le masse hanno fatto il loro ingresso nel mondo della cultura e della politica, per cui anche la funzione intellettuale si è massificata, è diventata, meglio, più democratica. Un altro grande studioso tedesco, il filologo e critico E. R. Curtius, diceva che l'unico modo per salvare la Tradizione consiste paradossalmente nel rivelarla a tutti, nello sconfiggere l'esoterismo che abita nella città degli spiriti eletti e nel fornire prove di una storia tangibile, dissacrata, di esempi viventi, di testi/parole utilizzabili in un ambito allargato di rappresentazioni mentali. E’ il passaggio da un modello umanistica classico ad un modello umanistica moderno, da un umanesimo elitario ad un umanesimo democratico.
E’ questa la prova che attende un po' tutti alla fine del millennio: anche quelli che cercano istintivamente una Heimat (una patria, un paese, un villaggio), dove il caso è ridotto al minimo e la ripetitività difende da possibili turbamenti; e dove il risvolto può essere la routine, il conformismo, la filosofia della passeggiata di don Abbondio, la rinuncia al rapporto critico con la propria realtà, la vanificazione delle risorse a favore della collettività. L’alternativa è un arrivederci alla prossima generazione.
Sergio D’Amaro