La grave crisi finanziaria scoppiata nel 2008 non si è ancora conclusa. I cosiddetti mercati finanziari, salvati attraverso generosi aiuti di Stato, continuano a essere un problema enorme per l’economia europea. L’ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer nel 2011 aggiunge una I all’acronimo PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna), che diventa PIIGS. Vi aggiunge l’Italia, che sembrava essere la più solida tra le economie occidentali. Il politico ha avuto perfettamente ragione. L’economia italiana è la grande malata d’Europa e il suo default rischia di distruggere l’intera costruzione europea, coinvolgendo addirittura l’economia mondiale. Le somme impegnate per il salvataggio dei 4 PIGS sarebbero insufficienti per salvare l’Italia, terza economia europea come PIL e detentrice del quarto debito pubblico mondiale.
L’Italia è too big to fail, troppo grande per fallire. Agli inizi di novembre 2011 lo spread con il Bund tedesco si avvicina ai 600 punti, che significano un tasso di interesse dei Btp decennali superiore al 7%, livello assolutamente insostenibile da parte dell’economia italiana. Il pericolo di fare la fine della Grecia, obbligata a dolorosi tagli, è reale.
La rovina dell’Italia sarebbe esiziale per tutta l’Europa e per le economie mondiali.
Il grafico mostra il deflusso di capitali dalla zona PIIGS verso le valute forti dell'Eurozona. Si noti l'impennata degli ultimi mesi.
Le iniziative prese negli ultimi mesi per salvare l’Italia, e con essa l’Europa, hanno assunto nei mesi scorsi cadenze frenetiche. (Vedi la Cronologia degli avvenimenti). Come si è arrivati a questa situazione?
L’ingresso dell’Italia ed in genere dei paesi mediterranei (i futuri PIIGS) nell’Euro è stato boicottato in ogni modo dai paesi 'forti' del nord-Europa (si pensi in modo speciale alla Germania e all’Olanda). L’Italia è entrata a far parte dell’Euro grazie all’azione di Prodi e Ciampi dopo avere co-fondato l’Europa di Maastricht con politici del calibro di Andreotti, Carli, De Michelis.
L’ingresso nell’euro fu sfruttato positivamente in un primo momento (1993-1998 - l’Italia entra nell’euro il 1 gennaio 1999) grazie all’opera dei Prodi, Ciampi e Dini, salvo una parentesi con Berlusconi durata 8 mesi. In questo periodo il debito pubblico ebbe una notevole flessione e l’avanzo primario, necessario per ripagare il debito pubblico, aumentò fino al 5%.
Nel secondo periodo (1999-2007) i vantaggi ottenuti dall’ingresso nella moneta unica non furono usati per ridurre ulteriormente il debito in rapporto al Pil per rilanciare lo sviluppo. Tutti i parametri economici peggiorarono.
La corruzione diventa endemica. Essa divora oltre 60 miliardi di Euro/anno. A questo bisogna aggiungere il “fatturato” dell’economia criminale, stimato in 170-180 miliardi di Euro l’anno. Ecco perché i nostri partner europei ed americani temono un default italiano: salterebbero anche loro.
Nell’incontro economico Italia-Usa organizzato dalla Italian Business & Investment Initiative a New York il 11.02.2013, l’ambasciatore americano elenca una serie di cause che ostacolano gli investimenti americani in Italia:
· Euro troppo caro
· Pochi investimenti nella istruzione
· Mancanza di protezione delle capacità manifatturiere
· Mancanza di cultura civica
· Corruzione diffusa
· Politici strapagati
· Mancanza di trasparenza nel capitalismo italiano
· Burocrazia nemica dell’economia di mercato
· Poca conoscenza dei mercati globali da parte delle piccole imprese, che a volte non conoscono neanche l’inglese
· Scarsa propensione all’economia digitale
· Ritardo nella alfabetizzazione a Internet anche nelle piccole imprese
· Giustizia civile lenta
A questo si aggiunga il fatto che il falso in bilancio, severamente punito in tutto il mondo, in Italia è stato depenalizzato. Tale depenalizzazione è entrata in vigore il 16 aprile 2002 con il Dlgs 61/2002.
“Probabilmente, senza la tempesta finanziaria sprigionata nel 2007-2008 da Wall Street, le linee di faglia interne alla nostra famiglia monetaria non sarebbero emerse con tanta implosiva brutalità”.
Il settimanale tedesco Der Spiegel scriveva il 15 settembre 2011:
“Il fallimento della Lehman Brothers causò la più grande crisi finanziaria del dopoguerra. Purtroppo 3 anni dopo l’avvenimento a Wall Street è cambiato poco ed il mondo si avvia al prossimo disastro, questa volta a causa dell’Europa”.
Nello stesso articolo afferma George Soros:
“La crisi potrebbe diventare ancora più grave di quella iniziata ufficialmente con il fallimento della Lehman Brothers”.
Nel frattempo le operazioni di tagli alla spesa pubblica stanno avendo costi sociali orrendi, specialmente in Grecia, Spagna ed Italia.
L’Unione europea ha sostenuto i mercati tartassando i cittadini. Il tasso di disoccupazione medio (disoccupati in rapporto alla forza-lavoro) nella UE ammonta all’11.6% (settembre 2012) con punte del 25.1 e 25.8% rispettivamente in Grecia ed in Spagna. In Italia ammonta al 10.8%.
Gli effetti distributivi causati dalla crisi hanno avuto un impatto catastrofico nei paesi cosiddetti PIIGS, aumentando a dismisura il disagio sociale.
In Grecia si hanno casi di guerriglia urbana, con morti nelle strade.
In Spagna deflagra il sistema delle autonomie regionali.
I movimenti populisti e/o separatisti hanno un grande sviluppo.