Si avrà modo così di scoprire la mirabile varietà della costa garganica, con luci e colori, mutevoli senza pari, nella sinuosità delle valli e degli antri, nell'imponenza dei picchi e delle rocce, nella distesa serenità dei suoi lidi.
La sonnolenta imbarcazione, che fa capo a Manfredonia e alle Tremiti, parte come per un gioco e per un viaggio, non preoccupata del tempo e della mèta.
Il viaggiatore antico, quello della preistoria, avrà ammirato di lontano la mutevole, avventurosa luce di questa 'isola-montagna', e, approdando, avrà fondato e sarà vissuto in città come Siri, Matino, Apeneste, Uria: tutte città ormai sepolte profondamente anche nella memoria; e i pochi scavi che se ne tentano testimoniano soltanto l'antichissima civiltà e nobiltà dei luoghi.
Ora, si potranno ammirare altre gemme non meno nobili e vivide. Manfredonia, la più fremente città garganica, oggidì vive una vita pulsante e intonata al ritmo dei tempi e delle nuove necessità: il padre Manfredi sarebbe stato orgogliosissimo nel vedere la larga fascia di bianche costruzioni, che si specchiano nell'Adriatico e l'antico sempre nuovo lido di Siponto e il cantiere e il porto ormai insufficiente al fervore di tante opere. Allarga sempre più le sue bianche braccia, tanto da far pensare che l'antica e la nuova Siponto e l'attuale Manfredonia saranno tutt'insieme una grandiosa città marinara e balneare. Così vasto è il respiro della sua attività, da far pensare prossimo tale congiungimento. Ora questo suo estendersi lungo l'arco del golfo fa pensare ad un altro, più vasto abbracciamento; a mezza strada com'è nel l'Adriatico, Manfredonia appare
'di una essenzialità persino eccessiva. I fìlari delle sue case assumono una piattezza grafica da tavole a colori. Nei paesi marittimi della Puglia, sotto il Gargano, c'è molta Grecia a anche un po' di Venezia' (V. Lilli).
Vieste, punta di diamante del promontorio, che si raggiunge dopo ore e ore di mare o dopo ore e ore di terra, fra boschi la cui interminabilità esalta chi crede di aver veramente scoperto la sede della favola perenne, è città insospettata, incredibile. Non si sospetta cioè ne si può credere all'esistenza di vita così vibrante e civile in rive tanto remote.
Ma questa apparente sua vita d'esilio ci è spiegata, più che dal mare, entro il quale Vieste si sporge come incuriosita verso la costa dalmata, dal retroterra. Circonda Vieste una ampia zona ora collinosa ora pianeggiante, che è la più ferace, la più ricca di vegetazione di tutto il Gargano. E ulivi, sempre ulivi, giganteschi come mai altrove, e mandorli e carrubi, peri, susini, tutta un'infinita varietà di alberi da frutta, danno l'impressione di essere finalmente giunti agli orti delle Esperidi. E l'elegante presenza di numerosi pini italici e degli eucalipti, dei frassini e degli ornelli, che creano una luce d'oro verde, tra la piana e le colline, compone, in questa contrada, uno dei più suggestivi paesaggi italiani.
Luminosa è questa città che, col bianco abbacinante delle case, si protende con dolce ansietà d'oriente sul mare reso una volta, come a Otranto, amaro dai Turchi: e di sangue e di pianto ancor ragionano memori scogli.
E così, sempre andando con la dormigliosa nave che si è disancorata dal porto di Manfredonia di buon mattino, dopo aver dato un saluto ali'isolotto del faro di Vieste, si doppiano, a metà giorno, adagiati sui colli verdi e scoscesi altri borghi non meno graziosi: Peschici, Vico, San Menaio, Rodi, dove approdare significherebbe voler vivere in un'aura perennemente incantata.
In queste grotte vive di umanità, negli sparsi avelli preistorici e nei cimiteri marini tra Peschici e Vico, che avrebbero incantato il Valéry, forse erra ancora il segreto più antico del Gargano.
Ma torniamo a questi luoghi di sogno, come è meglio, per via di terra.
Il trenino che si muove dalla stazione di San Severo è un bimbo svagato e vagabondo. Si intona così allo stato d'animo del viaggiatore perdigiorno. Il quale avrà modo di notare nel treno, per la varietà della gente rurale e marina, dalla parlata ardita e un po' guappa e dalla conversazione sempre rumorosa di quell'umanità stipata fra un cesto di verdura, una balla di lana e una sporta irrequieta di anguille del Varano e trainata come in un caravanserraglio, una permanente aria di sabato.
Il trenino, dunque, col suo moto frenetico e col ronzio d'un calabrone felice, ora corre tra vigne festanti, ora si ferma a un casolare come per dire qualcosa a un amico, ora fila come una nave grottesca in un mare di verde grano, ora si arresta incurante e distratto per un improvviso mancare del vigore elettrico.
Così svogliato e pigro in salita, dimentica paesi annidati nelle valli e borghi appollaiati sui monti; con aria troppo sbarazzina, spesso ti saluta da lontano e dimentica il suo servizio. Appena degna di uno sguardo Rignano ventoso, affacciato da un balzo sul Tavoliere; non scorge San Marco, accucciato nel grembo, quasi nell'inguine di un monte; sbircia maliziosamente Apricena, scivolata al piano dalle più aride pendici di Castelpagano, giocando a rimpiattino nell'imbucare una serie di brevi gallerie.
Ma questo suo caracollare giocando tra sproni e colli deve avere pure uno scopo: ha in corpo il desiderio, l'ansia di raggiungere i laghi e il mare. Terribilmente giulivo è, infatti, quel gridìo di bimbi festanti alla vista di una lunghissima e pallida striscia d'acqua.
Ma, a differenza del prode Anselmo che vide un lago ed era il mare, qui il mare col tempo è divenuto anche lago.
È la laguna di Lesina, pescosa di cefali, anguille e capitoni, la prima ricchezza del povero garganico, del pescatore lesinese e sannicandrese. Ma è anche il paradiso dei cacciatori nostrani, e soprattutto settentrionali, i quali spesso sognano il favoloso popolo alato di anitre, di oche, di folaghe, di beccacce, di colombacci e tutta la varia preda venatoria tra monte e lago, di cui la mia montagna è meritamente celebrata. Non per nulla alcune anitre, l'alzavola ('anas apula') e il garganelle, ricordano l'onomastica di questa terra.
Gli amici del nord, dopo una giornata di caccia, dopo una fortunata battuta, la sera siedono lieti a mensa negli ospitali casolari intorno al lago e a pié del monte. È però la cena stessa, con esclusivi prodotti locali, un tributo di omaggio a questa montagna. Ottimo rito sarebbe cenare con fiori di rape degli orti garganici, conditi abbondantemente di finissimo olio di Capoiale, e gustare la predata 'anas apula' e il garganello, con ampio contorno di lampascioni, altra esclusività, con vigoroso vino di San Severo, o con frizzante vinello delle petrose balze garganiche.
E amo anch'io ricevere il sole su questa spiaggia paesana, primitiva e vergine; e ancor più amo affidarmi a questo mare 'come una docile fibra dell'universo' e trarne vigore.
Salutano dall'alto dei poggi i miei contadini al lavoro questo mare, che è, a un tempo, per loro l'infinito e l'ignoto. Lo amano e lo temono come un dio capriccioso che spinge sulle provvide piogge, le nebbie assideranti (le sempre esiziali nebbie marine!), i morbidi maestrali e i più netti venti boreali che danno sospese trasparenze, eccitanti e folli, come in un'aria di vetro, sollevando in ciclo il paesaggio.
Ma quella riga azzurra è sempre di conforto e promessa all'esiliato abitatore dei campi.
Una buona volta, il treno sosta a una grossa borgata, un agglomerato di case su una collina, con l'urgenza di tetti su tetti, come chicchi di una melagrana: Sannicandro Garganico.
Borgo arioso, fra un girotondo di colline e il mare, depresso ed esaltato dal maestrale che, infilando tutto l'Adriatico, urta in queste alture e vi scarica la sua elettrica umidità raccolta.
In questa temperie gli abitanti vibrano di una intelligenza scanzonata e ironica, acuta e abulica, onde non manca che qualcuno abbia della moralità e della proprietà un concetto tutto personale. Lo spiegabile spirito di avventura perigliosa li fa, così, seguire i venti delle idee religiose e politiche più disparate.
Il viaggiatore ghiotto di questioni sociali e politiche, come oggidì spesso s'incontra, distinguibile dal suo cattedratico e apostolico piglio di moda, si butterà con l'avidità di un molosso sul mosaico di religioni che i sannicandresi gli offrono. Lasciamo a lui questo miscuglio impensato di ebrei, di cattolici, di evangelici e di marxisti.
Registriamo il fenomeno e notiamo la buona fede che ha concesso diritto di cittadinanza in Palestina a questa gente e lo ha negato a convertiti intellettuali; e le sarà sempre aperto il regno dei cieli, mentre a certi opportunisti è ancora negato il paradiso sulla terra. A noi, poi, impunita gente a diporto, privi del tarlo sociale, non corrose l'ossa dal malor civile, interesserà invece qualche portale angioino, qualche balcone di aggraziato barocco, quella gentile loggetta del castello, soprattutto la popolaresca architettura. Qui 'mugnali' sparsi o raccolti in vicoli e piazzette fanno ancora vago il remoto tempo leopardiano della vecchierella che, novellando del suo buon tempo, fila sempre. Passando infine per Sannicandro, è peccato mortale non fornirsi del buon pane: il migliore del Gargano e che sempre allieta la mia mensa. Né dimenticare le sapientemente elaborate scamorze odorose di timo e di menta.
Che dire delle uberi convalli e dei colli olivetati intorno alla coppa di Cagnano, di cui gli abitanti, con buone ragioni, vanno orgogliosi? E sono i cagnanesi, pescatori o contadini, per mitezza di carattere e chiarità di cuore, i più operosi di tutto il Gargano.
Non ti aspettare da loro l'esplosività social-politica dei vicini sannicandresi. La continua lotta in cui sono impegnati, tra lago e bosco, ha fatto loro il dono di una saggezza antica: sempre uguali a se stessi, operosi e pazienti, con la buona e la cattiva stella.
Scappato da una tenaglia rocciosa, peggio che di mano, ora il treno folleggia in corsa lungo la fertile piana di Carpino.
Non ci consente nemmeno di ascoltare il canto dell'allodola vertiginosa. A sinistra ancora il lago e il pantano fanno pensare a certe nordiche lande acquitrinose, chi sa dove mai vedute, mentre a destra il treno solo ci consente un cenno di saluto a Carpino, dando a quei fieri abitanti appuntamento in pianura. In questa piana, però, in qualche sera di maggio, tra il profumo imminente delle zagare e della mignolatura, inseguiremo il fantasma del più illustre figlio garganico, di un maestro di alta civiltà politica: Pietro Giannone, poiché tanto appena il trenino concede anche a quei di Ischitella.
E poi così, tra costa e spiaggia, lungo la sgranantesi teoria delle ville e dei casolari, che dà clausura ai giardini d'agrumi, fino a San Menaio, a Bella Riva, a una delle più festanti pinete italiane.
La contrada si offre al visitatore con schiettezza autentica e senza civetteria turistica. L'aria balsamica saporisce dei più squisiti aromi commisti: odor di pini, di aranci, di limoni, impastati sapientemente dal sale del mare e dal tepore del sole.
Si vive in un'aura dove luci e odori intridono il corpo e quasi tessono in noi nuovo sangue e nuova carne. Il prodigio si rinnova, con meraviglia crescente, oltre San Menalo, fino alla desolata torre dei doganieri, alla piana di Calenella, al mirabile monte Pucci, all'inimitabile Peschici e ancora una volta fino alla già notata, luminosa e ferace plaga di Vieste. Ma il sogno di un volo per un acrobatico tuffo nel mare dall'alto di una 'falaise' nei pressi di Peschici può tentare, come un delirio ultimo, l'ebro di tante meraviglie.
Al viaggiatore non distratto e sapiente, a conclusione di questo itinerario, faremo un degno regalo: la bruna bellezza delle donne di Peschici, alla quale non fu insensibile il Bacchelli.
E sia pure in una linda grotta di Peschici, gli concederemo questa estrema e meritata felicità. Se il sud del Gargano si associa nella mente al brullo color cilestrino dell'aridità, temperata dalla 'canizie benedicente degli ulivi', il nord esalta invece per la sua lussureggiante vegetazione.
In un campionario delle bellezze d'Italia esso non può, né deve mancare.